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OPERAZIONE ‘SPES CONTRA SPEM’, LA DDA USURPA LE PAROLE DI SAN PAOLO

13 giugno 2021:

Antonio Coniglio su Il Riformista dell’11 giugno 2021

Venne un tempo in cui Renato Guttuso, assalito dal “sovvenir”, impastò i pezzi di una vita e, tra teste mostruose, una bambina dal passo veloce e una donna nuda con le finestre spalancate sull’infinito del mare siciliano, disegnò se stesso dicendo “Spes contra spem”: la speranza contro ogni speranza. La speranza che si fa soggetto e solleva da terra tirandoti per i capelli. Anche nei momenti più mesti, bui, quando la lupa di mare nasconde al marinaio qualsiasi orizzonte, qualsivoglia barlume di visibilità. “Spes contra spem” fu la fede incrollabile di Abramo, raccontata da San Paolo nella Lettera ai Romani, 4, 18: «Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza». È la storia di Caino sul quale il Signore pose un segno perché nessuno lo toccasse che, nella stessa vita, divenne finanche costruttore di città. Può la cifra di San Paolo, la divisa di Abramo, diventare qualcosa di totalmente diverso, essere violentata nella sua inviolabilità?
Accade talvolta nella vita che le parole, le quali hanno ontologicamente una forza creatrice, vengano travisate, distorte, utilizzate nel peggiore dei modi possibili. È capitato in Calabria dove “Spes contra spem” è divenuta la denominazione di un’inchiesta avviata dalla Compagnia dei Carabinieri, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Tra gli arrestati dell’operazione c’è Pasquale Zagari il quale, recita il provvedimento restrittivo, dopo aver finito di scontare una lunga pena ed esser ritornato in libertà, «aveva avviato un apparente percorso di riabilitazione sociale, partecipando a dibattiti, convegni e incontri, come testimone di redenzione, pentendosi del suo passato criminale, e contro l’ergastolo ostativo, in ultimo a Taurianova, nel settembre 2020».
Nel settembre del 2020, noi di Nessuno tocchi Caino, organizzavamo proprio a Taurianova una delle tante presentazioni del libro “Il viaggio della speranza”: il racconto del Congresso di Opera che ha celebrato la sentenza Viola contro Italia della Corte Edu come una rivoluzione copernicana. Cosa è accaduto con quella sentenza? La Corte dei diritti umani ha codificato il diritto alla speranza, affermando che la collaborazione con la giustizia non può essere l’unico criterio di valutazione del cambiamento di un condannato per mafia. Questo principio è stato ribadito poi dalla Corte Costituzionale, che di recente ha sancito l’incompatibilità dell’ergastolo ostativo con l’articolo 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, indicando al Parlamento un anno di tempo per modificare la normativa attuale.
Un osservatore malizioso potrebbe scorgere in quella frase paolina, utilizzata impropriamente per un’operazione antimafia, una contestazione neanche troppo velata nei confronti delle più alte giurisdizioni, della Corte Costituzionale di Marta Cartabia e della Corte Edu di Guido Raimondi; un altro più benevolo potrebbe forse più modestamente ravvisare la delusione dei magistrati inquirenti per il fallimento del percorso rieducativo di un ex detenuto. Noi di Nessuno tocchi Caino, che abbiamo voluto aggiungere alla nostra denominazione “Spes contra spem”, animando insieme ai detenuti di Opera, Rebibbia, Voghera, Parma, Secondigliano, i laboratori “Spes contra spem” che illuminano il buio dell’ostatività e della morte per pena, non facciamo di quanto avvenuto qualche giorno fa “un fatto personale”. In fondo, siamo stati noi a gridare “Nessuno tocchi Brusca” quando l’antimafia della terribilità si indignava anche per la scarcerazione di un collaboratore di giustizia, dissociandosi da sé stessa. La questione è più seria e incrocia il cuore della nostra civiltà.
Signori magistrati, cosa avrebbe detto dell’operazione “Spes contra spem” di Taurianova Giorgio La Pira che fece proprio di “Spes contra spem”, dell’anelito a osare l’inosabile, in tempi di guerra fredda e di minaccia nucleare, l’appello per una nuova fraternità universale? Come potrebbe commentare ciò Papa Francesco che abbracciò, qualche anno fa, gli Iracheni, nel nome del sentimento di speranza di Abramo? Può il titolo del viaggio del Papa che, come il patriarca del Cristianesimo, si fece pellegrino a Bagdad, donando speranza a un popolo falcidiato da decenni di conflitti, designare una operazione della Direzione Distrettuale Antimafia?
A ben vedere è sempre una questione di porte, di finestre, di tapparelle e persiane aperte o chiuse. Sarà capitato anche a voi, signori magistrati – ne siamo sicuri – di sentire i medici di una volta che invitavano i parenti di un infermo, nel corso di una malattia, ad aprire le tapparelle per “cambiare aria”. Anche Guttuso affidò il suo testamento a “Spes contra spem”, a una donna che spalancava le finestre sul mare. Da una piccola finestra dell’ultimo piano di via della Panetteria, Marco Pannella, un mese prima di morire, spinto dal «vento dello spirito che muove il mondo», tra le piante impazzite e i gabbiani, scriveva a Papa Francesco: «in questo tempo non posso più uscire ma ti sto accanto in tutte le uscite che fai tu. Un pensiero fisso mi accompagna ancora oggi: Spes contra spem».
Vedete, signori magistrati, anche noi continuiamo a tenere le finestre aperte, a sperare contro ogni speranza. Continuano a farlo i detenuti che prendono parte ai laboratori di “Spes contra spem”, che hanno partecipato al docufilm di Ambrogio Crespi, mettendosi a nudo senza nulla chiedere in cambio. Crediamo che solo la speranza come soggetto, la ricerca di un nuovo livello di coscienza, un cambiamento che non diventi sinallagmatico, reificazione, renda liberi dentro, consenta di passare dalla dimensione dell’essere “liberi da”, dell’avere speranza, a quella dell’essere “liberi di”, dell’essere speranza, di guardare a una vita diversa, come voleva San Paolo. “Spes contra spem” è l’archetipo antropologico della nostra civiltà. Ridurlo a un’operazione repressiva è un sacrilegio nel senso etimologico: si porta via qualcosa di sacro, per credenti e non, di inviolabile. Si chiudono porte e finestre, nel nome della diffidenza e della paura. Non è ironia, che per Calvino è sempre «annuncio di un’armonia possibile». È maltolto che, presto o tardi, va sempre restituito.

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