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UNA TELEFONATA ALLUNGA LA VITA, NO A PASSI INDIETRO SUI COLLOQUI

23 ottobre 2021:

Lettera-appello dei detenuti di Catanzaro alla Ministra della Giustizia Marta Cartabia

Esimia Ministra,
è notorio che le persone detenute o internate nei vari circuiti di Alta Sicurezza – AS1, AS2, AS3 – scontano una doppia pena: quella detentiva della sentenza di condanna o della custodia cautelare e quella dello stigma legato alla tipologia di reati per cui sono condannati, indagati o imputati. In forza di questo iniquo e insopportabile (in uno Stato di Diritto) doppio binario del diritto penale del nemico, esse hanno diritto a un numero assai esiguo di colloqui visivi e telefonici coi propri cari, in particolare: 2 telefonate al mese da 10 minuti ciascuna e 4 ore di colloqui visivi se si è stati tratti in arresto dopo l’anno 2000 e una telefonata settimanale – sempre di 10 minuti – e 6 ore di colloqui mensili per chi fu arrestato prima di quella data.
Altrettanto noto è il fatto che, nella quasi totalità dei casi, le persone detenute classificate come Alta Sicurezza sono assegnate a istituti lontanissimi dai luoghi di residenza, a volte anche 1.000 km o più, per raggiungere i quali v’è la ineludibile necessità per i loro familiari di sacrificare diversi giorni di impegni lavorativi e di sobbarcarsi spese ingentissime che solo una piccolissima minoranza è capace di sostenere e per poche volte l’anno. Dunque, anche l’esercizio effettivo delle ore di colloquio visivo – che siano 4 o 6 ore poco importa – è reso pressoché impossibile da attuare e in alcuni casi è vanificato del tutto, ad esempio per chi ha genitori, parenti anziani o gravemente malati. Quanto fin qui descritto conferma il parere dell’Istituito Superiore di Studi Penitenziari, secondi cui «sono del tutto inadeguate, rispetto alla volontà del legislatore, le dimensioni dello spazio e del tempo riservati [...] all’affettività intesa nel senso più globale possibile delle relazioni familiari».
Come giustamente Lei stessa s’è domandata, facendo Sue le parole del Cardinal Martini, «è umano ciò che [i detenuti] stanno vivendo? È efficace per un’adeguata tutela della giustizia? Serve davvero alla riabilitazione e al recupero dei detenuti? Cosa ci guadagna e cosa ci perde la società da un sistema del genere?». Tutto ciò, evidentemente, «non è giustizia» – per citare sempre il Cardinale. Ancora una volta, appoggiandosi all’alta dottrina e profondissima sensibilità da Lei manifestata, il paradosso diventa “normalità”, il mondo-carcere si tramuta – come Lei ha detto, riprendendo le espressioni di Jean Vanier – in una realtà «dove per fermare la violenza, si deve compiere un atto di forza; dove, per tutelare i diritti, si debbono limitare i diritti; dove, per assicurare la libertà, si deve restringere la libertà; dove, per proteggere i deboli, si devono rendere deboli e indifesi gli aggressori e i violenti».
Ora, essendo che già da tempo si paventa l’eventualità di ridurre o, peggio ancora, azzerare la possibilità di accedere a tali mezzi di comunicazione coi propri cari da parte delle persone detenute – il che di fatto si sta realizzando in alcuni istituti –, ad onta di quanto raccomandato nella circolare del 22 giugno scorso a firma del Direttore Gianfranco De Gesu, i sottoscritti chiedono a Lei, Signora Ministra, non solo di poter continuare a usufruire di video-colloqui e di più colloqui telefonici così come è di norma in numerosi Paesi europei, ma anche di voler considerare la possibilità di normare sotto il profilo ordinamentale l’accesso a tali mezzi-ponte tra chi vive in carcere e chi vive fuori al fine di mantenere vivi i rapporti familiari, perché – come diceva quel famoso spot pubblicitario degli anni ’90 – «una telefonata allunga la vita».
Se v’è una certezza, di cui si doveva già prendere atto senza aspettare questo tempo tanto infausto che ancora miete vittime ogni giorno, è che il dare più contatti umani e veri anche alle persone detenute in Alta Sicurezza non ha arrecato alcun danno alla sicurezza della Società. Anzi, ha, per la prima volta, appena lambito la costituzionalità della pena, così prevista e come dovrebbe essere in base alla Carta Fondamentale. Infine, sono in tanti quelli – genitori, figli, fratelli, coniugi… – che grazie a tali mezzi sono finalmente riusciti a riallacciare e ritessere relazioni sane e fondanti per ogni essere umano che, per le motivazioni familiari più disparate, s’erano interrotte o diradate o stavano per perdersi irreparabilmente.
Certi di trovare in Lei la giusta comprensione e sensibilità al tema, La ringraziamo anticipatamente e porgiamo ossequiosi saluti. In fede,

Lettera firmata da Catello Romano e altri 200 detenuti del carcere di Catanzaro

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