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Lettera dall'ergastolo Quei Figli della Libertà

  (di Maurice Bignami e Sergio D'Elia)  


Roma, Rebibbia 29 ottobre/2 novembre 1986 Da Notizie Radicali n·271 del 22 novembre 1986         Quando alcuni Figli della Libertà, in braghini da bagno e travestiti da indiani, salirono su tre navi britanniche nel porto di Boston e gettarono a mare le balle di the, non sapevano di partecipare al Boston Tea Party, a una grande azione simbolica.
La democrazia non ha per principio delle basi granitiche: la democrazia americana è nata in mezzo al mare.
Quando i rappresentanti del Terzo Stato, tre settimane prima della presa della Bastiglia, si costituirono in Assemblea Nazionale e giurarono di non sciogliersi se non dopo aver dato alla Francia una nuova Costituzione, non si formalizzarono a scegliere come luogo di riunione una puzzolente palestra.
La democrazia non ha per forza i suoi luoghi deputati: la democrazia francese è nata tra il primo e il secondo tempo di una partita alla pallacorda.
E quando tre uomini in fuga - un francese, un inglese e un americano - in una Parigi in grigio s'incontrarono furtivamente in un bagno turco fischiettando Tea for two, non sapevano di dare il via alla riscossa nell'Europa occupata.
La democrazia non è un gioco noioso e obbligatorio per tutti: la democrazia, in quanto tale, seppur ridotta all'osso, è un gran bel giocare, anche in pochi e in pessime condizioni, basta conoscerne le regole e apprezzarne il gusto.
In altre parole, si può scoprire e inventare la democrazia in una trincea, a chiacchierare o al cinema, ma in ogni caso l'accedervi è un atto volontario: non la si può considerare semplicemente il solo gioco possibile.
Infatti, non è l'ultimo dei giochi dopo averli provati tutti, come d'altronde non è il governo di quelli che non sanno quello che vogliono.
Siamo stati invitati dagli amici radicali a intervenire a questo congresso.
Ci pare di aver capito che la posta in gioco ecceda i limiti dell'ordine del giorno: non si tratta di verificare se vi sono le condizioni oggettive che permettano al PR di esistere, né tanto meno di stare a guardare quel che i militanti radicali vogliono fare del loro partito.
Le condizioni possono anche essere pessime, e probabilmente i militanti non sanno quel che fanno.
Si tratta forse di decidere se abbiamo tutti voglia di fare una Convenzione Democratica.
Infatti, questo è il congresso di chi ha la doppia tessera, di chi è una cosa, un'altra e un'altra ancora ma nello stesso tempo è radicale, vale a dire radicalmente democratico.
L'ideale sarebbe che il PR fosse esclusivamente il partito di quelli della doppia tessera.
La prima tessera è quel che uno è e anche quel che uno ha: la sua identità, la sua concezione del mondo, le sue relazioni e i suoi interessi.
La seconda tessera è il riconoscimento dell'altro per quello che è e per quello che ha: la sua identità, la sua concezione del mondo, le sue relazioni e i suoi interessi.
Come socialista, vorrei che tutti fossero socialisti come me; in quanto monarchico, mi piacerebbe che tutti auspicassero il ritorno della Famiglia Reale.
Da radicali, il socialista e il monarchico possono combinare assieme ottimi affari.
La prima tessera, nella migliore delle ipotesi, permette di conoscere se stessi e quelli della propria specie. È come un documento di identità, uno stato di famiglia, un biglietto chilometrico, un libretto al portatore.
La seconda tessera è il riconoscimento reciproco, una tessera che riesce a valorizzare anche la prima.
Il gioco della doppia tessera sta nell'offrire più di quanto si è e più di quanto si possiede.
È un Potlach politico, uno scambio simbolico eccessivo. A un dono si risponde con un dono più grande.
I militanti del PR offrono sicuramente più di quanto hanno: offrono una tessera in più, una doppia tessera agli altri mentre loro ne mantengono una sola.
Gli altri offrono anch'essi più di quanto hanno: offrono da socialisti e monarchici un partito in più, che non è socialista né tanto meno monarchico.
Il Potlach è uno scambio ineguale: la regola che lo governa non è quella del dare e dell'avere, bensì quella della reciproca eccitazione, del rialzo nello scambio simbolico.
Il Potlach è un gioco necessario in un mondo governato dalla disparità per consentire straordinariamente il gioco tra pari.
I militanti del PR, con la seconda tessera, offrono agli altri lo spazio e l'occasione per giocare tra pari, esattamente quel che i militanti del PR non hanno e non possono avere.
Gli altri, con la seconda tessera, offrono ai militanti del PR lo spazio e l'occasione per giocare tra pari, esattamente quel che gli altri non hanno e non hanno mai voluto concedere.
La democrazia è un patto volontario, abbiamo detto.
La democrazia è un patto formale, che fissa precise regole di procedura.
Non è obbligatoria e nemmeno sovradeterminabile da emergenze politiche o sociali.
Non è la democrazia astratta, né tanto meno la democrazia programmatica, due concezioni che coincidono esattamente con due tipi di infattibilità: un'infattibilità astratta che teorizza il consenso, o il dissenso, obbligatorio per tutti, ch'è l'ideologia della partecipazione; un'infattibilità concreta che pratica il piano delle cose che "non" verranno fatte per il breve, il medio e il lungo periodo, ch'è l'ideologia della programmazione.
È una democrazia formale, temperata dai valori del liberalismo, temperati a loro volta dalle buone maniere.
Il rispetto delle regole del gioco, ovvero la possibilità per tutti di avere una chance; il rispetto delle qualità, ossia la possibilità che vinca il migliore; il rispetto dell'altro, vale a dire la possibilità che il gioco continui.
La democrazia formale fa si che vi sia un gioco, il liberalismo che il gioco si movimenti e le buone maniere che non diventi un gioco al massacro.
Questa democrazia dei galantuomini sarà anche una Commedia Sofisticata, ma è l'unico modo perché la democrazia possa essere un governo pratico, efficace e risoluto: una sintesi tra il possibile e il doveroso, ovverosia l'attuazione del fattibile: accordi precisi, ben localizzati, per definire affari soddisfacenti per tutti.
È una Convenzione fra democratici, il luogo e l'occasione ove si trova il piacere di trattare sulle cose concrete per un tempo determinato.
In questo quadro, sono fuori luogo le Grandi Opzioni e i Movimenti che le accompagnano.
Prendi il Nucleare: non si tratta di abbaiare "Nucleare si, Nucleare no", ciò che è efficace è l'eventuale decisione, ad esempio, di alcune comunità a denuclearizzare il proprio territorio e il loro saper agire da gruppo di pressione e contrattazione.
In questo modo non si spazzerà via il Nucleare dal Mondo, ch'è precisamente quel che gli Antinucleari non riescono a fare.
Si riuscirà invece a farci i conti in un luogo definito, in una comunità concreta -un comune, una chiesa, una roulotte- ch'è precisamente quel che gli Antinucleari non vogliono fare.
Quello che apprezziamo nel PR sono soprattutto le scelte e il coraggio di chiamarsi fuori dai luoghi comuni della Politica e dell'Antipolitica, i luoghi delle infattibilità: quelle del Governo e quelle della Lotta, e quelle del Governo e della Lotta.
Riconosciamo al PR una grande invenzione politica, che espone uno stile e rilancia un gioco, qui, ora, in questo congresso, anche laddove si parla di autoscioglimento: perché offre a tutti, qui e ora, uno spazio e un'occasione per giocare straordinariamente in un mondo delle disparità il gioco tra pari.
Amici, siamo in pieno clima di Convention.
Solo al PR poteva riuscire questo colpo gobbo, solo un partito di duemila iscritti ha la credibilità necessaria per invogliare tutti gli scommettitori a rischiare almeno una volta nel gioco della democrazia.
È con questo spirito che ci siamo mossi dal carcere, per aderire a una Convenzione democratica, per rischiare il nostro e più di quanto abbiamo e fors'anche più di quanto ci viene richiesto.
Siamo venuti qua per giurare sulla democrazia, quel giuramento che un galantuomo, un po' di tempo fa, poneva -inascoltato- a fondamento di una vera pacificazione.
Questo non è sicuramente un luogo deputato, qui non vi sono le basi granitiche della nostra democrazia, il rituale del giuramento potrà anche apparire retorico; in ogni caso, per noi, questo è il "qui e ora", il luogo e l'occasione, il momento giusto per fare e sottoscrivere il nostro giuramento.
Perché una cosa è certa: ci dispiace tremendamente di aver fatto la lotta armata, ma, se questo è possibile, ci dispiace ancor di più di non aver fatto fin da subito la democrazia.

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