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La Storia di Sergio D'Elia


1971-1977: i primi anni di militanza politica
 


  • Sergio D’Elia nasce a Pontecorvo (FR) il 5 gennaio 1952 e passa la sua infanzia e adolescenza in provincia di Lecce, luogo di origine dei suoi genitori. Si trasferisce a Firenze nel 1971 per frequentare la FacoltĂ  di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”, dove inizia a frequentare gli ambienti anarchici, entra a far parte di Potere Operaio per poi passare a Senza Tregua, organizzazione dell’autonomia operaia in cui erano confluiti ex compagni di Lotta Continua e appunto di Potere Operaio. Manifestazioni di massa, volantinaggi davanti alle fabbriche, proteste organizzate all’UniversitĂ  e nella mensa degli studenti, comitati di lotta nei quartieri popolari contro il caro tariffe delle bollette, costituiscono l’impegno quotidiano dei primi sei anni di militanza politica. Dopo di che aderisce a Prima Linea.
  • Viene arrestato la prima volta a Firenze per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale nell’ottobre del 1972 (fatto commesso durante una manifestazione) e resta in carcere per una settimana.
  • Viene arrestato di nuovo il 6 novembre 1977 per ricettazione in relazione al furto nella FacoltĂ  di Architettura occupata di materiale didattico e tecnico (fotocopiatrici, proiettori ecc...). Al processo, che si celebra il 13 gennaio 1978, viene condannato a due mesi e 7 giorni di reclusione con la condizionale e lo stesso giorno esce dal carcere (una settimana prima del tentativo di evasione). Si reca con la sua compagna in Puglia a trovare la madre, che era all’oscuro della sua carcerazione, e nei giorni successivi si reca a Roma dove in un albergo romano apprende dai Tg dell’assalto alle Murate. Nell’ambito di questo processo, il primo fatto per cui viene condannato risale al 25 settembre 1977 (furto pluriaggravato).

 
 
Maggio 1979: l’arresto per banda armata
 
Sergio D’Elia viene arrestato a Firenze il 17 maggio 1979 - nel cumulo giuridico c’è scritto per reati commessi tra il 25 settembre 1977 e il 22 maggio 1979 - e detenuto alle Murate.
Viene prima imputato per partecipazione ad associazione sovversiva; il 13 giugno, viene imputato per costituzione di associazione sovversiva e partecipazione a banda armata; il 21 novembre, viene imputato di organizzazione di banda armata e alcuni reati minori; successivamente viene imputato di detenzione di armi (sulla base di dichiarazioni – non veritiere, secondo D’Elia – rese già a maggio da un pentito, secondo cui avrebbe frequentato la sua abitazione dove furono trovati bossoli di pistola ed esplosivo). Era la tattica dei mandati di cattura “a grappolo” in voga in quegli anni! A partire dal giugno 1980, con l’arresto e la collaborazione dei primi pentiti di Prima Linea (Roberto Sandalo, Michele Viscardi e Marco Donat Cattin) i magistrati fiorentini raccolgono ulteriori elementi sul ruolo dirigenziale di D’Elia all’interno di Prima Linea. A quel punto, in base al teorema per cui il dirigente locale con responsabilità anche a livello nazionale deve rispondere di tutte le azioni condotte dall’organizzazione sul territorio di competenza, D’Elia viene imputato di tutti i fatti avvenuti a Firenze tra cui anche l’assalto alle Murate.
 
 
1979 – 1984: il tour nelle carceri speciali
 
Sergio D’Elia fa il giro di un buon numero di carceri speciali – Novara, Pianosa, Cuneo, Fossombrone, Trani, Nuoro - dove è sottoposto al regime dell’ex Art. 90 (simile all’attuale 41 bis).
Tale regime comporta la riduzione drastica di ogni rapporto con l’esterno: un colloquio al mese attraverso il vetro divisorio, limitazioni nella corrispondenza e nella socialità interna, ma anche una pratica costante di pestaggi e di intimidazioni.
Nel dicembre 1984 arriva all’Area Omogenea di Rebibbia, carcere nel quale rimarrà fino alla sua scarcerazione nel gennaio 1991.
 
 
Aprile 1983: la sentenza di primo grado
 
Il 24 aprile 1983, la Corte d’Assise di Firenze condanna Sergio D’Elia a 30 anni di reclusione per concorso in omicidio (l’assalto al carcere delle Murate dove viene ucciso l’agente Fausto Dionisi, fatto per cui il sostituto Procuratore Pierluigi Vigna lo imputa addirittura di strage) e per altri 81 capi di imputazione, quasi tutti i fatti compiuti da Prima Linea a Firenze, accogliendo le richieste e l’impostazione del Procuratore Vigna, impostazione per la quale chi ha fatto parte di un determinato livello organizzativo deve essere condannato per tutte le azioni addebitabili all’organizzazione, indipendentemente dalla sua effettiva partecipazione ai singoli fatti. Viene applicato anche l' art. 289 bis (il cosiddetto "sequestro di persona con finalita' di terrorismo", introdotto in occasione del rapimento Moro) a una serie di irruzioni armate compiute da Prima Linea durante le quali impiegati e presenti vengono chiusi nel bagno.
 
 
Aprile 1983 – febbraio 1985: dallo scioglimento di Prima Linea alla dissociazione politica dal terrorismo
 

  • Il 25 novembre 1982, al processo di primo grado a Prima Linea a Firenze, Sergio D’Elia proclama la sua appartenenza all’organizzazione e inizia il percorso di revisione critica del suo passato. Insieme ai suoi compagni - è scritto nella sentenza della Corte d’Assise del 24 aprile 1983 - mette “agli atti un lungo documento ideologico, firmato da 36 imputati, contenente riflessioni anche autocritiche sulla tematica della lotta armata, e sulle nuove forme di antagonismo sociale.” Nel documento - scrive sempre la Corte - “pur constatando l’esaurimento di una fase storica della lotta armata, si formula il progetto di rilanciare, in forme rinnovate, l’esperimento rivoluzionario, attraverso ‘movimenti di lotta e liberazione, dentro e fuori le carceri, che facciano della liberazione dei prigionieri e della estinzione del carcere un punto significativo del programma di trasformazione rivoluzionaria’.”  
  • Durante il processo di Firenze nei primi mesi del 1983, si svolge anche una sorta di congresso di PL in cui viene deciso lo scioglimento dell’organizzazione. Lo scioglimento viene annunciato il 14 aprile 1983 in una conferenza stampa tenuta da due militanti di PL sotto processo a Bologna (“Conferenza stampa degli imputati di Prima Linea al processo presso la Corte d'Assise di Bologna, 14 aprile 1983).
  • La fine dell’esperienza di PL viene ratificata in una Conferenza interna d'Organizzazione tenuta nel carcere di Torino (primavera-estate 1983) in occasione del processone per i “fatti specifici” compiuti in quella cittĂ . Le ragioni del superamento della lotta armata vengono spiegate in un lungo documento-manifesto del giugno 1983 dal titolo “SarĂ  che avete nella testa un maledetto muro”, noto semplicemente come “Il Muro”. 
  • In questo documento, gli ex di Prima Linea prendono le distanze sia dal continuismo brigatista sia dai primi fenomeni di “dissociazione” intesi come pentitismo o mera collaborazione con la giustizia. Per gli ex di PL, “all’opposto, è centrale il nodo della memoria, strumento prioritario di ogni opzione critica”. La loro dissociazione dal terrorismo non significa la fine dell’impegno politico. “La posta in gioco è la ripresa adeguata di un processo rivoluzionario finalmente sgravato da ogni tesi totalizzante che depauperi l'enorme ricchezza e complessitĂ  delle pratiche antagoniste.” Per gli ex di PL “si tratta di capire il desiderio profondo di libertĂ , delle libertĂ  personali e collettive che percorre il corpo della società” e, quindi, si relazionano a quei movimenti che “compiono incursioni, attraversamenti, intrecci con l'assetto istituzionale della societĂ , portando anche al suo interno critica radicale, interagendo con esso per reimporre modificazioni o 'estorcere vittorie'. [...] È il caso delle grandi opzioni popolari in tema di libertĂ  sociali e di destini umani, aborto, divorzio, centrali nucleari, ecc.” (Stralci dal documento “Il Muro”, giugno 1983).
  • Nel giugno del 1984, Prima Linea consegna le armi al cardinale di Milano Carlo Maria Martini. “Una consegna extra-giudiziale delle armi perchĂŠ siamo fuori da ogni logica di guerra, rifiutiamo l'antinomia amico-nemico ed i suoi addentellati mercantili e scambiali.” (Documento “In merito alla consegna delle armi a S.E. il Cardinale Martini...”, S. Vittore, giugno 1984).
  • Nel dicembre del 1984, al processo di secondo grado a Firenze contro Prima Linea, D’Elia considera superata l’esperienza della lotta armata e sciolto il patto associativo. Con ciò non si sottrae assolutamente alle sue responsabilitĂ  politiche di dirigente dell’organizzazione e da quelle relative ai fatti specifici che la corte gli avesse attribuito. “Si tratta di una dichiarazione politica personale e unilaterale non sollecitata da nulla che non sia un libero convincimento, da una acquisizione che è innanzitutto teorica e intellettuale, di cui non vorrei esistessero risvolti pratici, meno che mai venisse tradotta in termini di scambio, quindi di una sottrazione alle responsabilitĂ  penali e alla pena”. (“Appunti di Sergio D’Elia relativi alle dichiarazioni spontanee rese al processo di secondo grado”, dicembre 1984 – febbraio 1985)
  • Nel corso del 1985, gli ex di Prima Linea adottano una serie di documenti che segnano tappe importanti del movimento della dissociazione politica dal terrorismo, tra cui un “Manifesto” dei detenuti politici sulla “riconciliazione” (il documento fu pubblicato anche su “il manifesto” nel gennaio del 1985) e il documento “Dallo scioglimento di Prima Linea alle Aree Omogenee” (ciclostilato, Torino, 1985).
  • Il fenomeno della dissociazione politica dal terrorismo fu la chiave fondamentale per sconfiggere la lotta armata in Italia, tant’è che coloro che ne furono protagonisti furono considerati dai brigatisti “irriducibili”, nelle carceri e fuori, i nemici principali da colpire. (Sul significato politico del fenomeno della dissociazione, vedi l’articolo di Giuseppe Pisauro pubblicato dall’UnitĂ  il 13 giugno 2006 e l’intervista a Tommaso Mancini su Radio Radicale del 16 giugno 2006).

 
 
Febbraio 1985: la sentenza di secondo grado
 

  • Il 1° febbraio 1985, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Firenze riducono notevolmente le pene comminate con la sentenza di primo grado e condannano Sergio D’Elia a 25 anni di reclusione sulla base di 31 capi di imputazione tra cui il concorso nel tentativo di evasione dal carcere delle Murate di Firenze e l’uccisione del poliziotto Fausto Dionisi. (Per una analisi critica della sentenza di secondo grado su questo episodio, vedi la nota dell’avvocato Giuseppe Rossodivita)
  • D’Elia viene assolto da 51 capi di imputazione e cade anche la fattispecie del "sequestro di persona con finalitĂ  di terrorismo".
  • La sentenza riconosce la dissociazione dal terrorismo di D’Elia e degli ex "irriducibili" e concede quindi a tutti le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti.
  • Il 9 giugno 2006, Pierluigi Vigna, pubblico ministero al processo di primo grado, nel contestare le affermazioni di D’Elia contenute nella lettera del 4 giugno al Presidente della Camera e ai Colleghi deputati (vedi Lettera allegata) secondo cui la sua condanna era frutto della dottrina emergenzialista dell’epoca, dichiara: “D’Elia è stato assolto [nel processo di secondo grado] per 45 reati”. A parte il fatto che l’assoluzione riguarda ben 51 capi di imputazione e, quindi, un maggior numero di reati, l’ex procuratore Vigna non ricorda che fu proprio lui a chiedere e ottenere in primo grado la condanna anche per quei fatti, compreso il sequestro di persona con finalitĂ  di terrorismo. Vigna non dice anche che il sostituto procuratore generale Antonino Guttadauro ha chiesto la conferma integrale del giudizio di primo grado. Se la logica emergenzialista del processo di primo grado non è totalmente confermata in appello, non è stato certo merito di Pierluigi Vigna.

 
 
Novembre 1986: l’iscrizione al Partito Radicale
 
Nel novembre del 1986, rispondendo all'appello per la vita del Partito radicale, numerosi detenuti appartenenti alle Brigate rosse, Prima linea ed altre bande armate, condannati all'ergastolo e a lunghe pene detentive, fra cui Sergio D'Elia e Maurice Bignami, si iscrivono al partito del diritto e della nonviolenza.
Nell'impossibilità di muoversi dal carcere, inviano un intervento al Congresso del Partito radicale che si svolge a Roma. “Siamo venuti qua per giurare sulla democrazia (...) Ci dispiace tremendamente di aver fatto la lotta armata, ma, se questo è possibile, ci dispiace ancora di più di non aver fatto sin da subito la democrazia.” (“Lettera dall'ergastolo: quei Figli della Libertà”, Notizie Radicali del 22 novembre 1986)
 
 
Dicembre 1986: Appello ad Action Directe
 
Nel dicembre del 1986, Sergio D'Elia e altri ex terroristi detenuti a Rebibbia lanciano un Appello ad Action Directe e lo affidano agli intellettuali francesi perchè sia diffuso e utilizzato nel dibattito contro lo spreco terroristico della vita. “Sarebbe il caso di fermarsi. E realizzare il sogno qui e ora, vivere la vita e salvare l'umanità; qui, ora... Si può rischiare la pelle se si pensa che valga la pena di mettere in gioco la propria vita, ma nulla vale quella del nostro vicino.” (Appello a Action directe, Rebibbia, dicembre 1986)
 
Febbraio 1987: Appello alle Brigate Rosse
 
Il 14 febbraio 1987, le Brigate rosse assaltano a Roma un furgone postale per rapinare un miliardo di lire. Due agenti di polizia rimangono uccisi. Sergio D’Elia, insieme a un gruppo di ex appartenenti alle formazioni terroristiche, condannati all'ergastolo o a decine di anni di reclusione, si rivolge con un appello ai ‘compagni assassini’. “Non vi sono progetti, futuri, umanità, speranze, che valgano una vita, la vita di chiunque... Non uccidete. Uccidere è sempre una perdita. Non vi è storia della salvezza, compagni assassini, che possa proseguire se spezza una vita”. (“Compagno assassino non uccidere”, Rebibbia, febbraio 1987)
 
 
Febbraio-Marzo 1987. Sergio D’Elia “consegna Prima Linea al Congresso del Partito Radicale
 
Usufruendo di un permesso speciale un gruppo di ex terroristi, tra cui Sergio D’Elia, partecipa al 32° Congresso del Partito radicale che si svolge a Roma dal 26 febbraio al 1° marzo 1987. “Noi vi consegniamo un'organizzazione terroristica, nuda, mani e piedi, cuore e anima finalmente liberati”, afferma D’Elia nel suo intervento, nel quale consegna simbolicamente al partito della nonviolenza sè stesso ed ex appartenenti e dirigenti alla lotta armata, neoiscritti al Partito radicale. “Vi abbiamo offerto disposizione dello spirito e piena dedizione, da voi ci aspettiamo un dono più grande, ci aspettiamo una tecnica della speranza e della nonviolenza, un sentimento della politica e della conoscenza, ci aspettiamo una filosofia politica ed una educazione sentimentale... finalmente al servizio della Democrazia.” (“Vi consegniamo Prima Linea...”, di Maurice Bignami e Sergio D'Elia, 26 febbraio-1 marzo 1987)
“C'è un profondo dispiacere per quanto di irreversibile la mia attività politica ha prodotto nelle famiglie, soprattutto nelle famiglie delle vittime. Mi rendo conto di aver apportato dei guasti irreparabili, a cui è impossibile anche pensare, sarebbe volgare pensare in termini di risarcimento.” (Intervista di Carlo Romeo a Sergio D’Elia, Teleroma 56, 3 marzo 1987)
Alla fine del Congresso, D’Elia viene chiamato a far parte della Segreteria federale del Partito radicale.
 
 
Marzo 1987: Per la vita di Paula Cooper
 
Nel marzo del 1987, un gruppo di detenuti nel carcere di Rebibbia, tra cui Sergio D’Elia, aderisce alla campagna per la vita di Paula Cooper, omicida a quattordici anni, negra, rinchiusa nel braccio della morte di un penitenziario USA. Da ex terroristi, che hanno anche ucciso, rivolgono un appello alla democrazia americana perché non rinneghi se stessa, decidendo a sua volta di uccidere. “Amate la democrazia, graziate Paula Cooper. Per lei, per voi e per tutti noi”. (Appello per Paula Cooper, Rebibbia, marzo 1987)
 
 
Aprile 1987: dissidenti sovietici incontrano in carcere Sergio D’Elia
 
Nell’aprile del 1987, un gruppo di ex terroristi aderenti al Partito radicale, tra cui Sergio D’Elia, incontrano nel carcere romano di Rebibbia i tre dissidenti sovietici, Bukovskij, Maximov e Pliusc. “Siamo ex terroristi, ma non ci sogniamo neanche di provocare un'analogia tra la nostra violenza e la vostra dissidenza. Eppure oggi ci piace considerarci come voi, approdati alla libertà, esuli dal terrore e dal comunismo.”
In una nota di commento, l'agenzia sovietica TASS critica il governo italiano che ha autorizzato l'incontro tra i “pericolosi criminali e i tre dissidenti rinnegati”. (Lettera ai dissidenti sovietici..., Rebibbia, aprile 1987)
 
 
1° maggio 1987: Sulla nobiltà dell’abiura
 
Dopo l’incontro con i dissidenti sovietici, Sergio D’Elia e Maurice Bignami intervengono nel dibattito pubblico sulla soluzione politica degli anni di piombo apertosi a seguito della pubblicazione sul Manifesto di una lettera scritta da Bertolazzi, Curcio, Jannelli e Moretti. Con parole nette e chiare, i due ex Prima Linea ribadiscono il distacco dal loro passato ma rinnovano anche il senso del loro impegno politico. “Da tempo abbiamo operato la rottura, sciolto la banda armata, smontato l'armamentario politico e ideologico. Esaurita la spinta propulsiva della rivoluzione, non siamo rimasti ad aspettare in mezzo al guado tempi migliori, calamitati ancora dai sedimenti della tradizione comunista. Pur non essendo attratti dallo spettacolo offerto dai partiti che occupano la scena politica, abbiamo scelto decisamente la democrazia, il rispetto delle regole del gioco, la libera competizione delle idee e delle opzioni, il metodo della tolleranza. E proprio per questo motivo non aderiamo acriticamente all'esistente, ma ci impegniamo - per quanto è possibile - affinché la democrazia si rifondi.” (“Sulla nobiltà dell'abiura”, Lettera inviata ai quotidiani Il Manifesto e Il Popolo, Rebibbia, 1° maggio 1987)
 
21 maggio 1987: digiuno per gli ebrei sovietici
 
Nel maggio del 1987, ex terroristi detenuti nel carcere di Rebibbia, tra cui Sergio D’Elia, partecipano a uno sciopero della fame e - simbolicamente - alla manifestazione organizzata dal Partito radicale davanti all'ambasciata sovietica per la libertà e il diritto degli ebrei sovietici di emigrare in Israele. “Siamo fraternamente solidali perché viviamo circondati da un muro e sappiamo quello che si prova, perché abbandonando l'intolleranza e scegliendo la democrazia siamo diventati infinitamente più ricchi di libertà”. (Lettera di adesione allo sciopero della fame per la libertà e il diritto di emigrazione in Israele degli ebrei sovietici, Rebibbia, 21 maggio 1987)
 
 
Settembre 1987: sciopero della fame per Paolo Signorelli
 
Nel settembre 1987, Sergio D’Elia promuove insieme ad altri detenuti politici di sinistra uno sciopero della fame per portare all’attenzione il caso di Paolo Signorelli, militante politico di destra detenuto da oltre sette anni in attesa di giudizio e in pericolo di vita per le sue gravi condizioni di salute. (Comunicato sullo sciopero della fame per Paolo Signorelli, Rebibbia, 2 settembre 1987)
 
 
Gennaio 1988: D’Elia beneficia della legge sulla dissociazione dal terrorismo
 
Il 18 Febbraio del 1987, viene approvata la Legge n.34/1987 per la dissociazione dal terrorismo. Sergio D’Elia ne beneficia il 27 gennaio 1988.
Nella sua ordinanza la Corte di Appello di Firenze afferma:
“A favore del D’Elia ricorrono le condizioni previste dalla legge n.34/1987 per la concessione dei chiesti benefici poichè il D’Elia si è definitivamente dissociato dal terrorismo, ha ripudiato la violenza come metodo di lotta politica, ha tenuto comportamenti univocamente ed obiettivamente incompatibili con il permanere del vincolo associativo, come risulta provato dalla relazione comportamentale dell’educatore della casa circondariale di Roma Rebibbia e da tutta la documentazione prodotta che comprende interviste a giornalisti di vari quotidiani con l’invito ai superstiti di rifiutare il terrorismo e di non più uccidere”.
 
 
Agosto 1988 – gennaio 1991
 
Sergio D’Elia viene ammesso al lavoro esterno al carcere nell’agosto del 1988: esce la mattina da Rebibbia per andare a lavorare al Partito Radicale e rientra la sera per dormire, tutti i giorni eccetto i festivi, fino al 15 gennaio del 1991, quando viene scarcerato per fine pena.
 
 
1992 – 2006: dalla fondazione di Nessuno tocchi Caino alla elezione alla Camera dei Deputati
 

  • Sergio D'Elia è attualmente segretario di Nessuno tocchi Caino, lega internazionale di cittadini e di parlamentari per la moratoria universale delle esecuzioni capitali, cui aderiscono personalitĂ  della politica e della cultura a livello internazionale, che fonda nel 1993 insieme a Mariateresa Di Lascia, sua compagna e parlamentare radicale, Premio Strega 1995 con il romanzo “Passaggio in ombra”, pubblicato da Feltrinelli dopo la sua morte avvenuta nel ‘94.
  • Sotto la sua segreteria Nessuno tocchi Caino promuove iniziative su casi emblematici: Pietro Venezia, Joseph O'Dell, Karla Tucker,   Rocco Bernabei, Safiya Hussaini; le marce internazionali a S.Pietro nel '94, '95, '98; le conferenze internazionali a Tunisi, Mosca, New York, Ginevra.
  • Nel 1994 promuove la presentazione per la prima volta all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una risoluzione sulla moratoria delle esecuzioni che viene discussa e battuta per pochi voti. Dal '97 al 2005, promuove la presentazione della risoluzione per la moratoria delle esecuzioni alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra che l'approva in tutte le sessioni.
  • Dal 1993 ad oggi, grazie anche alla campagna di Nessuno tocchi Caino e, in particolare, alle sue iniziative all’Onu e nei confronti di paesi mantenitori, sono state ottenute nel mondo 44 tra abolizioni, moratorie legali e di fatto della pena di morte.
  • Sergio D'Elia realizza visite nei bracci della morte di Stati Uniti, Repubblica Democratica del Congo, Kenya e Zambia. Suoi reportage sono pubblicati dai settimanali Panorama, L’Espresso, Liberal, Gente. Suoi editoriali, interventi e interviste sono pubblicati dai principali quotidiani italiani e stranieri.
  • Dal 1997 collabora alla realizzazione del rapporto annuale di Nessuno tocchi Caino sulla pena di morte nel mondo curato da Elisabetta Zamparutti ed edito da Marsilio.
  • Nella sua attivitĂ  di lobbying promuove e partecipa a missioni del Senato e della Camera dei Deputati nei paesi mantenitori della pena di morte: Filippine, El Salvador, Guatemala, Cuba, Caraibi, Kirghizistan, Uzbekistan, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Zambia. In tali occasioni è ricevuto da capi di Stato e di Governo.
  • In questi anni, partecipa a forum internazionali sulla questione pena di morte e promuove incontri e dibattiti in Italia, anche sul tema piĂš generale del carcere e della pena, in particolare sulla realtĂ  del “carcere duro” su cui scrive, insieme a Maurizio Turco, il libro-inchiesta sul 41 bis “Tortura Democratica”.
  • Nel settembre del 2000, una ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma, con parere favorevole del Procuratore Generale, riabilita completamente Sergio D’Elia cancellando in tal modo l’interdizione dai pubblici uffici che gli fa riacquistare i diritti politici.
  • Si presenta alle elezioni politiche del 2001 nella Lista Emma Bonino e a quelle dell’aprile 2006 nelle liste della Rosa nel Pugno. La sua elezione scatta in due circoscrizioni: Lombardia 2 e Campania 1. D’Elia opta per quest’ultima.
  • Il 22 maggio 2006, D’Elia viene eletto a segretario d’Aula in rappresentanza del gruppo della Rosa nel Pugno. E’ anche membro della Commissione Esteri della Camera.
  • Nel primo inizio di legislatura presenta due proposte di legge: per l’abolizione di ogni riferimento alla pena di morte nella Costituzione italiana e per la concessione di amnistia e indulto. Intervenendo nel dibattito sulla fiducia al Governo Prodi, chiede la presentazione da parte dell’Italia di una risoluzione per la moratoria delle esecuzioni alla prossima Assemblea Generale dell'Onu ottenendo dal Presidente del Consiglio un impegno in tal senso.

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