Prefazione di Abdoulaye Wade, Presidente della Repubblica del Senegal

07 Gennaio 2008 :


Perché ho deciso di abolire la pena di morte?
E’ a questa domanda che vorrei dare una risposta a mo’ di prefazione al Rapporto 2005 dell’organizzazione umanitaria Nessuno tocchi Caino.
Lasciatemi innanzitutto ringraziare dal profondo del cuore i dirigenti della prestigiosa Associazione che dirige Emma Bonino, parlamentare europea e militante instancabile dei diritti umani.
In effetti, la duplice scelta caduta sulla mia persona, da un lato, di insignirmi del premio “Abolizionista dell’Anno 2005” e, dall’altro, di farmi scrivere una prefazione alla presente opera, costituisce un atto di stima intellettuale che mi colpisce profondamente.
La persona umana è sacra. E’ inviolabile. Questa convinzione profonda, che risale ai primi anni del mio giuramento come avvocato del foro di Besançon e al periodo della mia carriera di giurista, di avvocato e docente universitario, ha nutrito il mio impegno a cancellare per sempre questo castigo iniquo dall’arsenale giuridico del mio paese.
E’ per questo che non ho esitato il 15 luglio 2004 a fare una dichiarazione solenne al popolo senegalese, facendo ciò davanti al Consiglio dei Ministri del mio Governo, per chiedere l’abolizione pura e semplice della pena di morte.
Il Senegal ha una lunga tradizione di rifiuto della pena capitale nonostante le disposizioni dell’articolo 12 del Codice Penale del nostro paese.
In effetti, la giustizia del Senegal ha applicato la pena di morte solo in due occasioni: una prima volta, nel 1967, nei confronti della persona considerata responsabile dell’assassinio del deputato socialista Demba Diop nel Comune di Thiès e una seconda e ultima volta, nel 1968, per l’autore del tentato assassinio del Presidente Léopold Sédar Senghor, avvenuto presso la grande Moschea di Dakar in occasione della preghiera dell’Aîd-el-Kabîr.
Il mio predecessore, il Presidente Abdou Diouf, a sua volta, aveva espresso il desiderio di non fare mai ricorso alla pena capitale.
Quindi, si comprende facilmente perché, assunto anch’io l’alto incarico, non ho potuto essere da meno dei due primi Presidenti del Senegal indipendente.
In quanto docente universitario, avvocato e militante dei diritti umani, dovevo fare di più per assicurarmi che mai più la pena capitale sarebbe stata applicata nel mio paese.
Nei  valori sociali e culturali della nostra tradizione la vita è considerata come un dono di Dio che, solo, è titolato a riprenderla. E la sanzione tradizionale suprema per i crimini gravi non era altro che la messa al bando, che consisteva nel rinnegare e nell’allontanare per sempre dalla comunità il colpevole.
D’altro canto, nell’Africa nera questa è una concezione diffusa. Gli altri paesi africani devono ispirarsi a questa scala di valori intangibili e abolire la pena di morte dalle loro rispettive legislazioni.
Ai giorni nostri, la comunità internazionale è ben consapevole che si tratta di un retaggio d’altri tempi e ciò fonda ampiamente la legittimità di una simile battaglia.
Io penso come il poeta Victor Hugo, principe degli abolizionisti, che “non serve il boia laddove basta il carceriere” e che la società “non deve punire per vendicarsi, deve correggere per migliorare”.
La pena capitale colpisce spesso le persone senza difesa, senza mezzi e senza scampo. E’ a volte pronunciata a seguito di procedure che non hanno le garanzie di un processo giusto e con possibili errori giudiziari dalle conseguenze irrimediabili per la famiglia del condannato e per la società.
La mia lunga esperienza di operatore del diritto mi autorizza a pensare che nessuna giurisdizione è al riparo dall’errore giudiziario mentre la morte estingue ogni possibilità di porvi rimedio.
La giustizia deve restare umana ed equilibrata per essere adeguata alla misericordia di Dio che offre all’uomo la possibilità di emendarsi.
Occorre dare piena attuazione a questi principi che consacrano il diritto più elementare dell’uomo senza il quale l’esercizio di altri diritti e libertà fondamentali sarebbe illusorio.
Gli uomini e le donne e soprattutto i minori a cui la morte è imposta come punizione perché hanno commesso dei crimini gravi, non sono né dei mostri né esseri sbucati dal nulla. Essi sono la conseguenza logica e naturale delle nostre società, per come gli accade di diventare in ragione di dinamiche interne e influenze esterne.
E’ dunque sulle nostre società che bisogna intervenire perché non siano più tali da generare dei criminali.
Si tratta, da questo punto di vista, su scala nazionale come sul piano internazionale, di combattere la miseria, l’oscurantismo e l’ignoranza, ma anche di assicurare l’integrazione piena e completa di tutte le minoranze, siano esse etniche, culturali, politiche o religiose.
Qualsiasi altra soluzione, in particolare quella volta a sopprimere sistematicamente delle vite umane, si limiterebbe a prendere in considerazione le sole manifestazioni del male, ignorandone le radici profonde.
La politica è uno spazio di libertà dove operano gli uomini liberi che credono nell’uomo e nella dignità umana. E’ per questo che ho scelto di fare una scommessa ottimistica sull’essere umano per tutto quello che in lui v’è di più bello e di più grande e affidando il resto all’immensa misericordia del supremo creatore dell’universo.      

Abdoulaye Wade
Presidente della Repubblica del Senegal
Giugno 2005