I fatti più importanti del 2010 (e dei primi sei mesi del 2011)

02 Gennaio 2013 :

La situazione ad oggi

L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre dieci anni, si è confermata nel 2010 e anche nei primi sei mesi del 2011.
I Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 155. Di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 97; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 8; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 6; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 44.
I Paesi mantenitori della pena di morte sono scesi a 42, a fronte dei 45 del 2009, dei 48 del 2008, dei 49 del 2007, dei 51 del 2006 e dei 54 del 2005.

Nel 2010, i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati almeno 22, rispetto ai 19 del 2009 e ai 26 del 2008.
Nel 2010, le esecuzioni sono state almeno 5.837, a fronte delle almeno 5.741 del 2009 e delle almeno 5.735 del 2008. L’aumento delle esecuzioni rispetto ai due anni precedenti si giustifica con l’impressionante escalation delle esecuzioni in Iran che sono passate dalle almeno 402 del 2009 alle almeno 546 del 2010.
Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, non si sono registrate esecuzioni in 3 Paesi – Oman, Singapore e Thailandia – che le avevano effettuate nel 2009.
Viceversa, 8 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Autorità Nazionale Palestinese (5), Bahrein (1), Bielorussia (2), Guinea Equatoriale (4), Somalia (almeno 8) e Taiwan (4) nel 2010; Afghanistan (2) ed Emirati Arabi Uniti (1) nel 2011.
Negli Stati Uniti, nessuno Stato “abolizionista” ha reintrodotto la pena di morte, ma due Stati che non compivano esecuzioni da molto tempo ne hanno compiuta una. Nel giugno 2010 lo Utah ha compiuto la prima dal 1999 (tramite fucilazione, che non veniva usata negli USA dal 1996) e nel settembre 2010 lo Stato di Washington ha effettuato la prima esecuzione dal 2001.

Ancora una volta, l’Asia si conferma essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se stimiamo che in Cina vi sono state circa 5.000 esecuzioni (più o meno come nel 2009 e, comunque, in calo rispetto agli anni precedenti), il dato complessivo del 2010 nel continente asiatico corrisponde ad almeno 5.746 esecuzioni (il 98,4%), in aumento rispetto al 2009 quando erano state almeno 5.670.
Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico Paese del continente che ha compiuto esecuzioni (46) nel 2010.
In Africa, nel 2010 la pena di morte è stata eseguita in 6 Paesi (erano stati 4 nel 2009) e sono state registrate almeno 43 esecuzioni: Libia (almeno 18), Somalia (almeno 8), Sudan (almeno 8), Egitto (4), Guinea Equatoriale (4) e Botswana (1). Nel 2009 le esecuzioni effettuate in tutto il continente erano state almeno 19, come nel 2008 e contro le almeno 26 del 2007 e le 87 del 2006.
In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte. Nel 2010 due uomini sono stati giustiziati per omicidio e altri due sono stati giustiziati il 21 luglio 2011.

Cina, Iran e Corea del Nord i primi paesi boia del 2010

Dei 42 mantenitori della pena di morte, 35 sono Paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. In 18 di questi Paesi, nel 2010, sono state compiute almeno 5.784 esecuzioni, circa il 99% del totale mondiale.
Un Paese solo, la Cina, ne ha effettuate circa 5.000, l’85,6% del totale mondiale; l’Iran ne ha effettuate almeno 546; la Corea del Nord almeno 60; lo Yemen almeno 53; l’Arabia Saudita almeno 27; la Libia almeno 18; l’Iraq almeno 17; la Siria almeno 17; il Bangladesh 9; la Somalia almeno 8; il Sudan almeno 8; l’Autorità Nazionale Palestinese (Striscia di Gaza) 5; il Vietnam almeno 4; l’Egitto 4; la Guinea Equatoriale 4; la Bielorussia 2; il Bahrein 1; la Malesia almeno 1.
Molti di questi Paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.
A ben vedere, in tutti questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.
Sul terribile podio dei primi tre Paesi che nel 2010 hanno compiuto più esecuzioni nel mondo figurano tre Paesi autoritari: la Cina, l’Iran e la Corea del Nord.

Cina, primatista di esecuzioni (anche se continuano a diminuire)

Anche se la pena di morte continua a essere considerata in Cina un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie, anche di fonte ufficiale, in base alle quali le condanne a morte emesse dai tribunali cinesi sarebbero via via diminuite rispetto all’anno precedente.
Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal 1° gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema.
Il 26 novembre 2010, il China Daily ha riportato che la Corte Suprema cinese ha annullato circa il 10% delle condanne a morte da quando ha avocato a sé il diritto esclusivo di ratificare le condanne capitali.
La Corte Suprema nel 2010 ha trattato 12.086 casi di vario tipo e ne ha definiti 10.626, in diminuzione rispetto al 2009 quando i casi trattati erano stati 13.318 e quelli conclusi 11.749. E’ da ritenere che per la stragrande maggioranza (oltre il 90 per cento) di questi casi si tratta di revisione delle condanne a morte, considerato che la Corte Suprema non ha giurisdizione su molti altri casi.
Se le cose stanno così, una stima approssimativa ma realistica sarebbe quella che fissa il numero delle condanne a morte del 2010, tra quelle definitive e quelle sospese per due anni, intorno alle 9.500, in lieve calo rispetto al 2009.
Nel febbraio 2010, la più alta corte cinese ha emesso nuove linee guida sulla pena di morte che indicano ai tribunali minori di limitarne l’applicazione a un numero ristretto di casi “estremamente gravi”. Nel suo Rapporto del 2011, la Corte Suprema ha reso noto che continuerà a ridurre il numero delle esecuzioni facendo in modo che a essere giustiziati siano solo un piccolo numero di criminali estremamente pericolosi.
Il 25 febbraio 2011, il Congresso Nazionale del Popolo ha approvato l’emendamento al Codice Penale che riduce di 13 il numero dei reati punibili con la pena di morte, portandoli a 55. Le nuove norme sono entrate in vigore il 1° maggio 2011. I 13 reati sono di natura economica e non violenta, e i cambiamenti non ridurranno di molto il numero dei giustiziati dal momento che riguardano reati che raramente comportano la condanna capitale degli imputati.

Iran, di nuovo secondo sul podio della disumanità

Anche nel 2010, l’Iran si è piazzato al secondo posto quanto a numero di esecuzioni e, insieme a Cina e Corea del Nord, sale così sul terribile podio dei primi tre Stati-boia al mondo.
Secondo un monitoraggio effettuato da Iran Human Rights (IHR), ONG con sede in Norvegia che si batte contro la pena di morte nella Repubblica Islamica, nel 2010 in Iran sono state effettuate almeno 546 esecuzioni, un aumento spaventoso rispetto agli anni precedenti. Nel 2009, Iran Human Rights aveva calcolato almeno 402 esecuzioni.
Nel 2011, non vi è stato alcun segno di una inversione di tendenza. Anzi, l’Iran ha visto un aumento drammatico delle esecuzioni nei primi mesi dell’anno, un dato tre volte superiore a quello del 2010: Iran Human Rights ha registrato 390 esecuzioni fino al 7 luglio.
Ma i dati reali potrebbero essere ancora più alti, se si considerano le notizie diffuse da fonti indipendenti come ex detenuti, familiari e avvocati di condannati a morte.
Nel 2010, sono state giustiziate almeno 2 persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato, fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Almeno altri 3 minorenni sono stati impiccati nei primi sei mesi del 2011.
A riprova della recrudescenza del regime iraniano, nel 2010 e nei primi mesi del 2011 la pratica pubblica delle esecuzioni è ripresa quasi ai ritmi del passato. Nel 2010, sono state impiccate sulla pubblica piazza almeno 19 persone. Nel 2011, le esecuzioni pubbliche sono aumentate e, al 20 giugno, erano già state impiccate in pubblico almeno 36 persone.
L’applicazione della pena di morte con condanne ed esecuzioni per motivi essenzialmente politici è continuata anche nel 2010. Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” erano in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, kurdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte.
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.

Corea del Nord, esecuzioni triplicate

Dopo che, a partire dal 2000, le critiche internazionali avevano portato a una loro diminuzione, le esecuzioni pubbliche in Corea del Nord sono aumentate nel 2010. Tra i condannati, vi sono soprattutto funzionari pubblici accusati di traffico di droga, appropriazione indebita e altri reati non violenti, oppure cittadini nordcoreani che hanno tentato di fuggire in Cina o in Corea del Sud, spinti dalla carenza di cibo e dalla oppressione politica nel proprio Paese.
Il 12 gennaio 2011, una fonte diplomatica vicina alla Corea del Nord ha detto che nel 2010 ci sono state 60 esecuzioni pubbliche confermate, più del triplo dell’anno precedente.
Le esecuzioni nella Corea del Nord sarebbero aumentate nel tentativo di rafforzare il regime durante il periodo di transizione al potere di Kim Jong-un, designato alla successione del padre Kim Jong-il. L’erede avrebbe richiesto “fucilazioni in tutto il Paese”.

Democrazia e pena di morte

Dei 42 Paesi mantenitori della pena capitale, sono solo 7 quelli che possiamo definire di democrazia liberale, con ciò considerando non solo il sistema politico del Paese, ma anche il rispetto dei diritti umani, delle libertà economiche e delle regole dello Stato di diritto.
Le democrazie liberali che nel 2010 hanno praticato la pena di morte sono state 4 e hanno effettuato in tutto 53 esecuzioni, circa l’1% del totale mondiale: Stati Uniti (46), Taiwan (4), Giappone (2) e Botswana (1). Nel 2009 erano state 3 e avevano effettuato in tutto 60 esecuzioni: Stati Uniti (52), Giappone (7) e Botswana (1).
In Indonesia, il 2010 è stato il secondo anno senza esecuzioni dal 2004, mentre l’India non ha eseguito condanne a morte per il sesto anno consecutivo.

Stati Uniti: continuano a diminuire le esecuzioni e i detenuti nel braccio della morte

Nel corso del 2010, solo 12 Stati americani hanno compiuto esecuzioni: sono state 46, contro le 52 del 2009. Nel 2010, le nuove condanne a morte sono state 114. Nei primi sei mesi del 2011, sono state effettuate 25 esecuzioni in 9 Stati.
Le 46 esecuzioni del 2010 sono avvenute in Texas (17), Ohio (8), Alabama (5), Oklahoma, Virginia e Mississippi (3), Georgia (2), Florida, Louisiana, Arizona, Utah e Washington (1).
Il 1° gennaio 2011 nei bracci della morte c’erano 3.261 persone. Alla stessa data dell’anno precedente erano 2 di più, 3.263. Il numero massimo di detenuti nei bracci della morte si registrò nel 2000, con 3.593. Da allora è diminuito costantemente.
Nel corso del 2010 e all’inizio del 2011 sono state presentate molte leggi sulla pena di morte, alcune per abolirla, altre per rendere più rigide le norme per la sua applicazione, altre ancora per poterla utilizzare con più facilità. Molte di queste proposte hanno avuto vita breve, fermandosi nelle fasi preliminari dell’esame parlamentare.
L’Illinois ha portato a compimento il percorso della legge abolizionista che è entrata in vigore il 1° luglio 2011. Mentre reggono ancora le moratorie che si sono determinate de facto nelle giurisdizioni in cui vige la pena di morte ma non vengono compiute esecuzioni da almeno 10 anni: Colorado, Idaho, Kansas, Nebraska, New Hampshire, Oregon, Pennsylvania, Wyoming e Amministrazione Militare.

Nel gennaio 2011, l’unica casa farmaceutica autorizzata a produrre e vendere il Pentothal negli Stati Uniti, la Hospira Inc. con sede in Illinois, ha prima deciso di trasferire la linea di produzione presso una sua sussidiaria italiana e, dopo una intensa campagna condotta in particolare da Nessuno tocchi Caino, ha deciso di chiuderla definitivamente per evitare il rischio che il barbiturico finisse in qualche modo nei penitenziari americani.
Per la penuria di Pentothal o per l’imminente data di scadenza delle scorte del farmaco su tutto il territorio nazionale, molti Stati americani sono stati costretti a sospendere o a rinviare le esecuzioni.
In mancanza del Pentothal, molti Stati hanno modificato i loro protocolli inserendo un barbiturico di nuova generazione, il Pentobarbital. Il 16 dicembre 2010, l’Oklahoma, per la prima volta negli Stati Uniti, ha usato il Pentobarbital per una esecuzione e, alla data del 30 giugno 2011, altri sei Stati hanno compiuto esecuzioni utilizzando per la prima volta il Pentobarbital: Alabama, Arizona, Mississippi, Ohio, Texas e South Carolina.
Il 1° luglio 2011, la società farmaceutica danese Lundbeck Inc., che non è l’unica produttrice al mondo del Pentobarbital ma è l’unica con la sua filiale americana ad avere la licenza a produrlo negli USA, ha annunciato che avrebbe posto rigidi controlli alla distribuzione del suo Nembutal [nome commerciale del Pentobarbital] per evitare il suo uso nelle iniezioni letali nei penitenziari americani.

Oltre alla questione degli errori giudiziari, che ha animato il dibattito politico negli anni recenti, sta prendendo piede la questione dei “costi della pena di morte”. In media negli Stati Uniti una condanna a morte costa tra 1 e 3 milioni di dollari, contro i 500.000 dollari di una condanna all’ergastolo senza condizionale. In California, ad esempio, i 714 detenuti del braccio della morte costano 184 milioni in più all’anno rispetto a quelli condannati all’ergastolo.
L’argomento dei “costi” è certamente destinato a montare nei prossimi anni e unito a quello degli errori giudiziari dovrebbe portare a importanti cambiamenti. Infatti, sta sempre più prendendo piede un’idea alternativa: rinunciare ai processi capitali, che di solito si svolgono contro persone sulle quali esistono già prove convincenti, e dedicare i fondi risparmiati alla riapertura di casi archiviati, per andare alla ricerca di assassini non ancora individuati.
Certo, quasi immancabilmente i media registrano che dopo una esecuzione i parenti della vittima si dicono “molto soddisfatti e finalmente sollevati”, ma a questo argomento, che fa presa sui politici alla ricerca di consensi, alcune associazioni di parenti delle vittime stanno rispondendo che, proprio nell’interesse delle vittime, sarebbe meglio dirottare i fondi verso i “cold cases”, i casi archiviati che sono molte migliaia ogni anno.

Giappone, significativo calo delle esecuzioni  

Il numero delle esecuzioni sono diminuite in maniera significativa da quando il Partito Democratico del Giappone ha preso il potere nel settembre 2009, dopo oltre 50 anni di praticamente ininterrotto governo dei conservatori.
Le sole esecuzioni da allora sono avvenute nel luglio del 2010, quando due uomini sono stati impiccati dopo essere stati riconosciuti colpevoli di omicidio. Prima del cambio di governo, nel 2009 erano stati giustiziati 7 detenuti.
Il 28 luglio 2011, il Ministro della Giustizia Satsuki Eda ha detto di non avere “per il momento” alcuna intenzione di autorizzare esecuzioni capitali. Nell’agosto 2010, il Ministero aveva annunciato la costituzione di un gruppo interno di studio sul sistema della pena di morte, includendo la possibilità di abolirla.

Indonesia

In Indonesia, il 2010 è stato il secondo anno senza esecuzioni dal 2004. Le ultime sono state effettuate nel novembre del 2008, quando sono stati giustiziati i “dinamitardi di Bali” Amrozi, Mukhlas e Imam Samudra.
E’ difficile pronosticare che la moratoria di fatto durerà per sempre o che l’Indonesia abolirà le condanne a morte, è evidente però un cambio di atteggiamento, dovuto anche a una sentenza della Corte Costituzionale del 2008 che afferma che la pena capitale dovrebbe essere applicata con parsimonia e che anche ai detenuti del braccio della morte dovrebbero essere concessa una chance di riabilitazione.

India 

Nel 2010, per il sesto anno consecutivo, l’India non ha eseguito condanne a morte. Nel febbraio 2010, la Corte Suprema ha chiarito che l’aver già scontato una lunga detenzione e le precarie condizioni socio-economiche sono circostanze attenuanti che possono condurre alla commutazione in ergastolo di una condanna capitale. A parte quelle disposte in sede giurisdizionale, nel 2010 tredici altre commutazioni sono state decise dalla Presidente indiana Pratibha Devisingh Patil.

Europa libera dalla pena di morte, se non fosse per la Bielorussia e la Russia

L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, Paese che anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare i suoi cittadini. Nel 2010, sono stati giustiziati per omicidio 2 uomini e altri e sono stati uccisi il 21 luglio 2011.
La Russia, sebbene ancora Paese mantenitore, è impegnata ad abolire la pena di morte in quanto membro del Consiglio d’Europa e dal 1996 rispetta una moratoria legale delle esecuzioni.
Per quanto riguarda il resto dell’Europa, a parte la Lettonia che prevede la pena di morte solo per reati commessi in tempo di guerra, tutti gli altri Paesi europei hanno abolito la pena di morte in tutte le circostanze.

Abolizioni legali, di fatto e moratorie

Dopo che, nel 2009, 4 Paesi hanno cambiato status rafforzando il fronte a vario titolo abolizionista, altri 4 lo hanno fatto nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011.
Nel gennaio 2010, le Bahamas hanno superato dieci anni senza praticare la pena di morte e quindi vanno considerate abolizioniste di fatto.
Nel gennaio 2010, il Presidente della Mongolia ha annunciato una moratoria sulle esecuzioni capitali.
Nel febbraio 2010, il Gabon ha abolito totalmente la pena di morte.
Nell’aprile del 2011, la Guinea ha superato dieci anni senza praticare la pena di morte e quindi va considerata abolizionista di fatto.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il 9 marzo 2011, l’Illinois è divenuto il 16° Stato USA senza pena capitale. Per quanto riguarda gli anni più recenti, l’hanno abolita il New Mexico nel 2009 e il New Jersey nel 2007.

Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, ulteriori passi politici e legislativi verso l’abolizione o fatti comunque positivi come commutazioni collettive di pene capitali si sono verificati in numerosi Paesi.
Il governo della Thailandia ha dichiarato la sua intenzione di abolire la pena di morte, come annunciato nel suo programma sui diritti umani per gli anni 2009-2013.
Nell’aprile 2010, in Tagikistan, è stato istituito un gruppo di lavoro sull’abolizione della pena di morte.
Nel gennaio 2010, è entrata in vigore in Vietnam la legge che elimina la pena di morte per otto reati.
Nel febbraio 2011, la Tunisia ha annunciato la ratifica del Secondo Protocollo Opzionale relativo all’abolizione della pena di morte.
Vi è poi stato un numero significativo di amnistie o commutazioni delle condanne a morte in Etiopia, Uganda, a Cuba, in Marocco e Sierra Leone. Nel maggio 2011, il nuovo presidente di Myanmar ha commutato in ergastolo tutte le condanne a morte.

Ripresa delle esecuzioni 

Sul fronte opposto, nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, 8 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Autorità Nazionale Palestinese (5), Bahrein (1), Bielorussia (2), Guinea Equatoriale (4), Somalia (almeno 8) e Taiwan (4) nel 2010; Afghanistan (2) ed Emirati Arabi Uniti (1) nel 2011.
Alcuni di essi lo hanno fatto dopo molti anni di sospensione.
Negli Stati Uniti, nel giugno 2010, lo Utah ha compiuto la prima esecuzione dal 1999 e, nel settembre 2010, lo Stato di Washington ha effettuato la prima esecuzione dal 2001.

Pena di morte in base alla Sharia

Nel 2010, almeno 714 esecuzioni, contro le almeno 658 del 2009, sono state effettuate in 13 Paesi a maggioranza musulmana (erano stati 10 nel 2009), molte delle quali ordinate da tribunali islamici in base a una stretta applicazione della Sharia.
Sono 18 i Paesi mantenitori che hanno nei loro ordinamenti giuridici richiami espliciti alla Sharia. Ma il problema non è il Corano, perché non tutti i Paesi islamici che a esso si ispirano praticano la pena di morte o fanno di quel testo il proprio codice penale, civile o, addirittura, la propria legge fondamentale. Il problema è la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi cambiamento democratico.
Dei 47 Paesi a maggioranza musulmana nel mondo, 23 possono essere considerati a vario titolo abolizionisti, mentre i mantenitori della pena di morte sono 24, dei quali 13 l’hanno praticata nel 2010.
Impiccagione, decapitazione e fucilazione sono stati i metodi con cui è stata applicata la Sharia nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011. In Iran sono state emesse condanne a morte tramite lapidazione, ma non risulta siano state effettuate nel 2010 (l’ultima volta è avvenuto nel 2009).

La lapidazione

Tra le punizioni islamiche, la lapidazione è la più terribile. Il condannato viene avvolto da capo a piedi in un sudario bianco e interrato. La donna viene interrata fino alle ascelle, mentre l’uomo fino alla vita. Un carico di pietre viene portato sul luogo e funzionari incaricati – in alcuni casi anche semplici cittadini autorizzati dalle autorità – effettuano la lapidazione. Le pietre non devono essere così grandi da provocare la morte con uno o due colpi in modo da poter provocare una morte lenta e dolorosa. Se il condannato riesce in qualche modo a sopravvivere alla lapidazione, verrà imprigionato per almeno 15 anni ma non verrà giustiziato.
Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, condanne a morte tramite lapidazione sono state emesse solo in Iran, Nigeria e Pakistan, anche se non risulta siano state eseguite.
Almeno una persona è stata lapidata in Somalia nel 2010, ma era stata condannata a morte in via extra-giudiziaria da un tribunale islamico per aver stuprato una ragazza. Altre lapidazioni extra-giudiziarie per adulterio sono state effettuate nel 2010 in Afghanistan e Pakistan, in zone controllate dai Talebani.

L’impiccagione, ma non solo…

Tra i metodi di esecuzione di sentenze capitali in base alla Sharia, il più diffuso è l’impiccagione, la quale è preferita per gli uomini ma non risparmia le donne.
Impiccagioni in base alla Sharia sono state effettuate nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011 in Egitto, Iran, Iraq e Sudan.
L’impiccagione è spesso eseguita in pubblico e combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione.
L’impiccagione in versione iraniana avviene di solito tramite delle gru o piattaforme più basse per assicurare una morte più lenta e dolorosa. Come cappio viene usata una robusta corda oppure un filo d’acciaio che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte. Il 12 luglio 2011, la Tadano, società giapponese produttrice di gru, ha comunicato di non voler più stipulare contratti con il governo iraniano a seguito di una “Campagna sulle Gru” lanciata dall’associazione UANI (Uniti Contro l’Iran Nucleare), che ha pubblicato sul suo sito una lista di otto multinazionali che inviano in Iran gru o loro parti, con tanto di foto di gru utilizzate per effettuare impiccagioni in pubblico.

La decapitazione

La decapitazione come metodo “legale” per eseguire sentenze in base alla Sharia è un’esclusiva dell’Arabia Saudita, il Paese islamico che segue l’interpretazione più rigida della legge islamica. Come “esecuzioni extragiudiziarie” andrebbero invece classificate le decapitazioni effettuate in Somalia dagli estremisti islamici di Al-Shabaab.
In Arabia Saudita, l’esecuzione avviene di solito nella città dove è stato commesso il crimine, in un luogo aperto al pubblico vicino alla moschea più grande. Il condannato viene portato sul posto con le mani legate e costretto a chinarsi davanti al boia, il quale sguaina una lunga spada tra le grida della folla che urla “Allahu Akbar!” (“Dio è grande”). A volte, alla decapitazione segue anche l’esposizione in pubblico dei corpi dei giustiziati. La procedura prevede che il boia stesso fissi la testa mozzata al corpo del giustiziato, per poi farlo pendere, per circa due ore, dalla finestra o balcone di una moschea o appenderlo a un palo, durante la preghiera di mezzogiorno. Talvolta i pali formano una croce, da cui l’uso del termine “crocifissione”. Nel 2010 ci sono state 27 esecuzioni, meno della metà di quelle effettuate nel 2009 (almeno 69), ma nel 2011 le decapitazioni sono aumentate in maniera significativa (34 al 25 luglio).

La fucilazione

Non propriamente una punizione islamica, la fucilazione è pure stata usata nel 2010 e nei primi mesi del 2011 in Yemen, Libia e Somalia in esecuzione di condanne basate anche sulla Sharia.

Il “prezzo del sangue”

Secondo la legge islamica, i parenti della vittima di un delitto hanno tre possibilità: chiedere l’esecuzione della sentenza, risparmiare la vita dell’assassino con la benedizione di Dio oppure concedergli la grazia in cambio di un compenso in denaro, detto diyah (prezzo del sangue).
Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, casi relativi al “prezzo del sangue” si sono risolti col perdono o con l’esecuzione in Afghanistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Pakistan e Yemen.
In Arabia Saudita, numerosi casi di “prezzo del sangue” si sono risolti positivamente grazie all’opera del Comitato per la Riconciliazione, un’organizzazione nazionale che assicura il perdono ai prigionieri del braccio della morte e aiuta a risolvere le lunghe dispute inter-familiari e tribali tramite sforzi costanti.
La versione iraniana del “prezzo del sangue” stabilisce che per una vittima donna esso sia la metà di quello di un uomo. Inoltre, se uccide una donna, un uomo non potrà essere giustiziato, anche se condannato a morte, senza che la famiglia della donna abbia prima pagato a quella dell’assassino la metà del suo prezzo del sangue.

Blasfemia e apostasia

In alcuni Paesi islamici, la pena capitale è stata estesa in base alla Sharia anche ai casi di blasfemia, cioè può essere imposta a chi offende il profeta Maometto, altri profeti o le sacre scritture.
I non-musulmani non possono fare proseliti e alcuni Governi proibiscono ufficialmente i riti religiosi pubblici da parte di non-musulmani. Convertire dall’Islam ad altra religione o rinunciare all’Islam è considerato apostasia ed è tecnicamente un reato capitale.
In Arabia Saudita, Iran e Pakistan vi sono persone detenute nel braccio della morte con l’accusa di stregoneria, apostasia e blasfemia.

Pena di morte nei confronti di minori

Applicare la pena di morte a persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato è in aperto contrasto con quanto stabilito dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo.
Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, l’Iran è stato l’unico Paese al mondo in cui risulta sia stata praticata la pena di morte nei confronti di minori di 18 anni al momento del fatto. Condanne a morte nei confronti di minorenni sono state emesse nel 2010, ma non eseguite, anche in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Sudan. Nei primi sei mesi del 2011, persone minorenni al momento del reato sono state condannate a morte anche in Mauritania ed Egitto.

 
 
La “guerra alla droga”

Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici ammette un’eccezione al diritto alla vita per quei Paesi che ancora non hanno abolito la pena di morte, ma solo riguardo ai “reati più gravi”. Gli organismi delle Nazioni Unite sui diritti umani hanno dichiarato i reati di droga non ascrivibili alla categoria dei “reati più gravi”. Il limite dei “reati più gravi” per l’applicazione legittima della pena di morte è sostenuto anche dagli organismi politici delle Nazioni Unite i quali chiariscono che per “reati più gravi” si intendono solo quelli “con conseguenze letali o estremamente gravi”.
Un’altra questione riguarda la presenza, in molti Stati, di leggi che prescivono la condanna a morte obbligatoria per alcuni reati di droga. Secondo il Rapporto 2010, The Death Penalty for Drug Offences, prodotto da Harm Reduction International (HRI), i Paesi o territori che nel mondo mantengono leggi che prevedono la pena di morte per reati legati alla droga sono 32, dei quali 13 la prevedono obbligatoriamente in certi casi particolari: Brunei-Darussalam, Egitto, India, Iran, Malesia, Singapore, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Siria, Laos, Yemen, Oman e Sudan.
L’ideologia proibizionista in materia di droga, imperante nel mondo, ha continuato a dare un contributo consistente alla pratica della pena di morte anche nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011.
Nel nome della guerra alla droga e in base a leggi sempre più restrittive, sono state effettuate esecuzioni in Arabia Saudita, Cina e Iran. Condanne a morte per droga sono state pronunciate, anche se non eseguite, in Bangladesh, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Kuwait, Laos, Libia, Malesia, Pakistan, Singapore, Thailandia, Vietnam e Yemen.
 
La “guerra al terrorismo”

Numerose esecuzioni per fatti di terrorismo sono state effettuate in Bangladesh, Iran e Iraq, mentre centinaia di condanne a morte sono state pronunciate anche se non eseguite in Algeria, India, Libano, Mauritania, Sudan e Yemen.
In nome della lotta al terrorismo e “legittimati” dalla partecipazione alla Grande Coalizione nata in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, Paesi autoritari e illiberali come la Cina e l’Iran hanno continuato nella violazione dei diritti umani al proprio interno e, in alcuni casi, hanno giustiziato e perseguitato persone in realtà coinvolte solo nella opposizione pacifica o in attività sgradite al regime.
 
La persecuzione di appartenenti a movimenti religiosi o spirituali

Nel 2010 e nei primi mesi del 2011, la repressione nei confronti di membri di minoranze religiose o di movimenti religiosi o spirituali non riconosciuti dalle autorità, è continuata in Cina, Corea del Nord, Iran e Vietnam.
Il 15 maggio 2010, la Corea del Nord ha ucciso tre leader della chiesa cristiana, ha riportato Asianews. La polizia ha fatto irruzione in un’abitazione di Kuwal-dong, nella contea di Pyungsung, provincia di Pyongan, arrestando 23 persone per attività religiosa. I leader sono stati giustiziati e gli altri sarebbero stati mandati in un campo di lavoro.
La repressione nei confronti di membri di minoranze religiose o di movimenti religiosi o spirituali non riconosciuti dalle autorità, in particolare seguaci della religione cristiana, della congregazione sciita Ahl-e Haq e della fede Baha’i, è continuata in Iran anche nel 2010.
In Vietnam, particolarmente dura è continuata a essere la repressione nei confronti dei Montagnard, la minoranza etnica di religione cristiana che abita gli altipiani centrali.

Pena di morte per reati politici e di opinione

Nel 2010 e nei primi mesi del 2011, condanne a morte o esecuzioni per motivi essenzialmente politici si sono verificate in Corea del Nord, Iran e Vietnam.
Il codice penale della Corea del Nord prevede la pena di morte obbligatoria per attività “in collusione con gli imperialisti” volte a “sopprimere la lotta di liberazione nazionale”. La pena di morte può essere inoltre applicata per “divergenza ideologica”, “opposizione al socialismo” e “crimini controrivoluzionari”. In base a questi “reati” il regime comunista ha continuato a giustiziare prigionieri politici, oppositori pacifici, disertori o transfughi rimpatriati, ascoltatori di trasmissioni estere, possessori di materiale stampato cosiddetto “reazionario”.
Nel corso del 2010 sono state eseguite le prime condanne a morte per la partecipazione alle manifestazioni di piazza contro i risultati truffaldini delle elezioni presidenziali del 12 giugno 2009 che hanno portato alla riconferma di Mahmoud Ahmadinejad.

Pena di morte per reati non violenti

Secondo il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, “nei Paesi in cui la pena di morte non è stata abolita, una sentenza capitale può essere pronunciata soltanto per i delitti più gravi”. Il limite dei “reati più gravi” per l’applicazione legittima della pena di morte è sostenuto anche dagli organismi politici delle Nazioni Unite i quali chiariscono che per “reati più gravi” si intendono solo quelli “con conseguenze letali o estremamente gravi”.
Ciò nonostante, nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, la pena di morte per reati non violenti, la maggior parte dei quali di natura economica, è stata inflitta o eseguita in Cina, Corea del Nord e Iran.

I fatti più importanti del 2010 (e dei primi sei mesi del 2011)

 

La situazione ad oggi

 

L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre dieci anni, si è confermata nel 2010 e anche nei primi sei mesi del 2011.

I Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 155. Di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 97; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 8; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 6; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 44.

I Paesi mantenitori della pena di morte sono scesi a 42, a fronte dei 45 del 2009, dei 48 del 2008, dei 49 del 2007, dei 51 del 2006 e dei 54 del 2005.

 

Nel 2010, i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati almeno 22, rispetto ai 19 del 2009 e ai 26 del 2008.

Nel 2010, le esecuzioni sono state almeno 5.837, a fronte delle almeno 5.741 del 2009 e delle almeno 5.735 del 2008. L’aumento delle esecuzioni rispetto ai due anni precedenti si giustifica con l’impressionante escalation delle esecuzioni in Iran che sono passate dalle almeno 402 del 2009 alle almeno 546 del 2010.

Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, non si sono registrate esecuzioni in 3 Paesi – Oman, Singapore e Thailandia – che le avevano effettuate nel 2009.

Viceversa, 8 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Autorità Nazionale Palestinese (5), Bahrein (1), Bielorussia (2), Guinea Equatoriale (4), Somalia (almeno 8) e Taiwan (4) nel 2010; Afghanistan (2) ed Emirati Arabi Uniti (1) nel 2011.

Negli Stati Uniti, nessuno Stato “abolizionista” ha reintrodotto la pena di morte, ma due Stati che non compivano esecuzioni da molto tempo ne hanno compiuta una. Nel giugno 2010 lo Utah ha compiuto la prima dal 1999 (tramite fucilazione, che non veniva usata negli USA dal 1996) e nel settembre 2010 lo Stato di Washington ha effettuato la prima esecuzione dal 2001.

 

Ancora una volta, l’Asia si conferma essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se stimiamo che in Cina vi sono state circa 5.000 esecuzioni (più o meno come nel 2009 e, comunque, in calo rispetto agli anni precedenti), il dato complessivo del 2010 nel continente asiatico corrisponde ad almeno 5.746 esecuzioni (il 98,4%), in aumento rispetto al 2009 quando erano state almeno 5.670.

Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico Paese del continente che ha compiuto esecuzioni (46) nel 2010.

In Africa, nel 2010 la pena di morte è stata eseguita in 6 Paesi (erano stati 4 nel 2009) e sono state registrate almeno 43 esecuzioni: Libia (almeno 18), Somalia (almeno 8), Sudan (almeno 8), Egitto (4), Guinea Equatoriale (4) e Botswana (1). Nel 2009 le esecuzioni effettuate in tutto il continente erano state almeno 19, come nel 2008 e contro le almeno 26 del 2007 e le 87 del 2006.

In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte. Nel 2010 due uomini sono stati giustiziati per omicidio e altri due sono stati giustiziati il 21 luglio 2011.

 

Cina, Iran e Corea del Nord i primi paesi boia del 2010

 

Dei 42 mantenitori della pena di morte, 35 sono Paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. In 18 di questi Paesi, nel 2010, sono state compiute almeno 5.784 esecuzioni, circa il 99% del totale mondiale.

Un Paese solo, la Cina, ne ha effettuate circa 5.000, l’85,6% del totale mondiale; l’Iran ne ha effettuate almeno 546; la Corea del Nord almeno 60; lo Yemen almeno 53; l’Arabia Saudita almeno 27; la Libia almeno 18; l’Iraq almeno 17; la Siria almeno 17; il Bangladesh 9; la Somalia almeno 8; il Sudan almeno 8; l’Autorità Nazionale Palestinese (Striscia di Gaza) 5; il Vietnam almeno 4; l’Egitto 4; la Guinea Equatoriale 4; la Bielorussia 2; il Bahrein 1; la Malesia almeno 1.

Molti di questi Paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.

A ben vedere, in tutti questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.

Sul terribile podio dei primi tre Paesi che nel 2010 hanno compiuto più esecuzioni nel mondo figurano tre Paesi autoritari: la Cina, l’Iran e la Corea del Nord.

 

Cina, primatista di esecuzioni (anche se continuano a diminuire)

 

Anche se la pena di morte continua a essere considerata in Cina un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie, anche di fonte ufficiale, in base alle quali le condanne a morte emesse dai tribunali cinesi sarebbero via via diminuite rispetto all’anno precedente.

Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal 1° gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema.

Il 26 novembre 2010, il China Daily ha riportato che la Corte Suprema cinese ha annullato circa il 10% delle condanne a morte da quando ha avocato a sé il diritto esclusivo di ratificare le condanne capitali.

La Corte Suprema nel 2010 ha trattato 12.086 casi di vario tipo e ne ha definiti 10.626, in diminuzione rispetto al 2009 quando i casi trattati erano stati 13.318 e quelli conclusi 11.749. E’ da ritenere che per la stragrande maggioranza (oltre il 90 per cento) di questi casi si tratta di revisione delle condanne a morte, considerato che la Corte Suprema non ha giurisdizione su molti altri casi.

Se le cose stanno così, una stima approssimativa ma realistica sarebbe quella che fissa il numero delle condanne a morte del 2010, tra quelle definitive e quelle sospese per due anni, intorno alle 9.500, in lieve calo rispetto al 2009.

Nel febbraio 2010, la più alta corte cinese ha emesso nuove linee guida sulla pena di morte che indicano ai tribunali minori di limitarne l’applicazione a un numero ristretto di casi “estremamente gravi”. Nel suo Rapporto del 2011, la Corte Suprema ha reso noto che continuerà a ridurre il numero delle esecuzioni facendo in modo che a essere giustiziati siano solo un piccolo numero di criminali estremamente pericolosi.

Il 25 febbraio 2011, il Congresso Nazionale del Popolo ha approvato l’emendamento al Codice Penale che riduce di 13 il numero dei reati punibili con la pena di morte, portandoli a 55. Le nuove norme sono entrate in vigore il 1° maggio 2011. I 13 reati sono di natura economica e non violenta, e i cambiamenti non ridurranno di molto il numero dei giustiziati dal momento che riguardano reati che raramente comportano la condanna capitale degli imputati.

 

Iran, di nuovo secondo sul podio della disumanità

 

Anche nel 2010, l’Iran si è piazzato al secondo posto quanto a numero di esecuzioni e, insieme a Cina e Corea del Nord, sale così sul terribile podio dei primi tre Stati-boia al mondo.

Secondo un monitoraggio effettuato da Iran Human Rights (IHR), ONG con sede in Norvegia che si batte contro la pena di morte nella Repubblica Islamica, nel 2010 in Iran sono state effettuate almeno 546 esecuzioni, un aumento spaventoso rispetto agli anni precedenti. Nel 2009, Iran Human Rights aveva calcolato almeno 402 esecuzioni.

Nel 2011, non vi è stato alcun segno di una inversione di tendenza. Anzi, l’Iran ha visto un aumento drammatico delle esecuzioni nei primi mesi dell’anno, un dato tre volte superiore a quello del 2010: Iran Human Rights ha registrato 390 esecuzioni fino al 7 luglio.

Ma i dati reali potrebbero essere ancora più alti, se si considerano le notizie diffuse da fonti indipendenti come ex detenuti, familiari e avvocati di condannati a morte.

Nel 2010, sono state giustiziate almeno 2 persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato, fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Almeno altri 3 minorenni sono stati impiccati nei primi sei mesi del 2011.

A riprova della recrudescenza del regime iraniano, nel 2010 e nei primi mesi del 2011 la pratica pubblica delle esecuzioni è ripresa quasi ai ritmi del passato. Nel 2010, sono state impiccate sulla pubblica piazza almeno 19 persone. Nel 2011, le esecuzioni pubbliche sono aumentate e, al 20 giugno, erano già state impiccate in pubblico almeno 36 persone.

L’applicazione della pena di morte con condanne ed esecuzioni per motivi essenzialmente politici è continuata anche nel 2010. Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” erano in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, kurdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte.

Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.

 

Corea del Nord, esecuzioni triplicate

 

Dopo che, a partire dal 2000, le critiche internazionali avevano portato a una loro diminuzione, le esecuzioni pubbliche in Corea del Nord sono aumentate nel 2010. Tra i condannati, vi sono soprattutto funzionari pubblici accusati di traffico di droga, appropriazione indebita e altri reati non violenti, oppure cittadini nordcoreani che hanno tentato di fuggire in Cina o in Corea del Sud, spinti dalla carenza di cibo e dalla oppressione politica nel proprio Paese.

Il 12 gennaio 2011, una fonte diplomatica vicina alla Corea del Nord ha detto che nel 2010 ci sono state 60 esecuzioni pubbliche confermate, più del triplo dell’anno precedente.

Le esecuzioni nella Corea del Nord sarebbero aumentate nel tentativo di rafforzare il regime durante il periodo di transizione al potere di Kim Jong-un, designato alla successione del padre Kim Jong-il. L’erede avrebbe richiesto “fucilazioni in tutto il Paese”.

 

Democrazia e pena di morte

 

Dei 42 Paesi mantenitori della pena capitale, sono solo 7 quelli che possiamo definire di democrazia liberale, con ciò considerando non solo il sistema politico del Paese, ma anche il rispetto dei diritti umani, delle libertà economiche e delle regole dello Stato di diritto.

Le democrazie liberali che nel 2010 hanno praticato la pena di morte sono state 4 e hanno effettuato in tutto 53 esecuzioni, circa l’1% del totale mondiale: Stati Uniti (46), Taiwan (4), Giappone (2) e Botswana (1). Nel 2009 erano state 3 e avevano effettuato in tutto 60 esecuzioni: Stati Uniti (52), Giappone (7) e Botswana (1).

In Indonesia, il 2010 è stato il secondo anno senza esecuzioni dal 2004, mentre l’India non ha eseguito condanne a morte per il sesto anno consecutivo.

 

Stati Uniti: continuano a diminuire le esecuzioni e i detenuti nel braccio della morte

 

Nel corso del 2010, solo 12 Stati americani hanno compiuto esecuzioni: sono state 46, contro le 52 del 2009. Nel 2010, le nuove condanne a morte sono state 114. Nei primi sei mesi del 2011, sono state effettuate 25 esecuzioni in 9 Stati.

Le 46 esecuzioni del 2010 sono avvenute in Texas (17), Ohio (8), Alabama (5), Oklahoma, Virginia e Mississippi (3), Georgia (2), Florida, Louisiana, Arizona, Utah e Washington (1).

Il 1° gennaio 2011 nei bracci della morte c’erano 3.261 persone. Alla stessa data dell’anno precedente erano 2 di più, 3.263. Il numero massimo di detenuti nei bracci della morte si registrò nel 2000, con 3.593. Da allora è diminuito costantemente.

Nel corso del 2010 e all’inizio del 2011 sono state presentate molte leggi sulla pena di morte, alcune per abolirla, altre per rendere più rigide le norme per la sua applicazione, altre ancora per poterla utilizzare con più facilità. Molte di queste proposte hanno avuto vita breve, fermandosi nelle fasi preliminari dell’esame parlamentare.

L’Illinois ha portato a compimento il percorso della legge abolizionista che è entrata in vigore il 1° luglio 2011. Mentre reggono ancora le moratorie che si sono determinate de facto nelle giurisdizioni in cui vige la pena di morte ma non vengono compiute esecuzioni da almeno 10 anni: Colorado, Idaho, Kansas, Nebraska, New Hampshire, Oregon, Pennsylvania, Wyoming e Amministrazione Militare.

 

Nel gennaio 2011, l’unica casa farmaceutica autorizzata a produrre e vendere il Pentothal negli Stati Uniti, la Hospira Inc. con sede in Illinois, ha prima deciso di trasferire la linea di produzione presso una sua sussidiaria italiana e, dopo una intensa campagna condotta in particolare da Nessuno tocchi Caino, ha deciso di chiuderla definitivamente per evitare il rischio che il barbiturico finisse in qualche modo nei penitenziari americani.

Per la penuria di Pentothal o per l’imminente data di scadenza delle scorte del farmaco su tutto il territorio nazionale, molti Stati americani sono stati costretti a sospendere o a rinviare le esecuzioni.

In mancanza del Pentothal, molti Stati hanno modificato i loro protocolli inserendo un barbiturico di nuova generazione, il Pentobarbital. Il 16 dicembre 2010, l’Oklahoma, per la prima volta negli Stati Uniti, ha usato il Pentobarbital per una esecuzione e, alla data del 30 giugno 2011, altri sei Stati hanno compiuto esecuzioni utilizzando per la prima volta il Pentobarbital: Alabama, Arizona, Mississippi, Ohio, Texas e South Carolina.

Il 1° luglio 2011, la società farmaceutica danese Lundbeck Inc., che non è l’unica produttrice al mondo del Pentobarbital ma è l’unica con la sua filiale americana ad avere la licenza a produrlo negli USA, ha annunciato che avrebbe posto rigidi controlli alla distribuzione del suo Nembutal [nome commerciale del Pentobarbital] per evitare il suo uso nelle iniezioni letali nei penitenziari americani.

 

Oltre alla questione degli errori giudiziari, che ha animato il dibattito politico negli anni recenti, sta prendendo piede la questione dei “costi della pena di morte”. In media negli Stati Uniti una condanna a morte costa tra 1 e 3 milioni di dollari, contro i 500.000 dollari di una condanna all’ergastolo senza condizionale. In California, ad esempio, i 714 detenuti del braccio della morte costano 184 milioni in più all’anno rispetto a quelli condannati all’ergastolo.

L’argomento dei “costi” è certamente destinato a montare nei prossimi anni e unito a quello degli errori giudiziari dovrebbe portare a importanti cambiamenti. Infatti, sta sempre più prendendo piede un’idea alternativa: rinunciare ai processi capitali, che di solito si svolgono contro persone sulle quali esistono già prove convincenti, e dedicare i fondi risparmiati alla riapertura di casi archiviati, per andare alla ricerca di assassini non ancora individuati.

Certo, quasi immancabilmente i media registrano che dopo una esecuzione i parenti della vittima si dicono “molto soddisfatti e finalmente sollevati”, ma a questo argomento, che fa presa sui politici alla ricerca di consensi, alcune associazioni di parenti delle vittime stanno rispondendo che, proprio nell’interesse delle vittime, sarebbe meglio dirottare i fondi verso i “cold cases”, i casi archiviati che sono molte migliaia ogni anno.

 

Giappone, significativo calo delle esecuzioni  

 

Il numero delle esecuzioni sono diminuite in maniera significativa da quando il Partito Democratico del Giappone ha preso il potere nel settembre 2009, dopo oltre 50 anni di praticamente ininterrotto governo dei conservatori.

Le sole esecuzioni da allora sono avvenute nel luglio del 2010, quando due uomini sono stati impiccati dopo essere stati riconosciuti colpevoli di omicidio. Prima del cambio di governo, nel 2009 erano stati giustiziati 7 detenuti.

Il 28 luglio 2011, il Ministro della Giustizia Satsuki Eda ha detto di non avere “per il momento” alcuna intenzione di autorizzare esecuzioni capitali. Nell’agosto 2010, il Ministero aveva annunciato la costituzione di un gruppo interno di studio sul sistema della pena di morte, includendo la possibilità di abolirla.

 

Indonesia

 

In Indonesia, il 2010 è stato il secondo anno senza esecuzioni dal 2004. Le ultime sono state effettuate nel novembre del 2008, quando sono stati giustiziati i “dinamitardi di Bali” Amrozi, Mukhlas e Imam Samudra.

E’ difficile pronosticare che la moratoria di fatto durerà per sempre o che l’Indonesia abolirà le condanne a morte, è evidente però un cambio di atteggiamento, dovuto anche a una sentenza della Corte Costituzionale del 2008 che afferma che la pena capitale dovrebbe essere applicata con parsimonia e che anche ai detenuti del braccio della morte dovrebbero essere concessa una chance di riabilitazione.

 

India 

 

Nel 2010, per il sesto anno consecutivo, l’India non ha eseguito condanne a morte. Nel febbraio 2010, la Corte Suprema ha chiarito che l’aver già scontato una lunga detenzione e le precarie condizioni socio-economiche sono circostanze attenuanti che possono condurre alla commutazione in ergastolo di una condanna capitale. A parte quelle disposte in sede giurisdizionale, nel 2010 tredici altre commutazioni sono state decise dalla Presidente indiana Pratibha Devisingh Patil.

 

Europa libera dalla pena di morte, se non fosse per la Bielorussia e la Russia

 

L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, Paese che anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare i suoi cittadini. Nel 2010, sono stati giustiziati per omicidio 2 uomini e altri e sono stati uccisi il 21 luglio 2011.

La Russia, sebbene ancora Paese mantenitore, è impegnata ad abolire la pena di morte in quanto membro del Consiglio d’Europa e dal 1996 rispetta una moratoria legale delle esecuzioni.

Per quanto riguarda il resto dell’Europa, a parte la Lettonia che prevede la pena di morte solo per reati commessi in tempo di guerra, tutti gli altri Paesi europei hanno abolito la pena di morte in tutte le circostanze.

 

Abolizioni legali, di fatto e moratorie

 

Dopo che, nel 2009, 4 Paesi hanno cambiato status rafforzando il fronte a vario titolo abolizionista, altri 4 lo hanno fatto nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011.

Nel gennaio 2010, le Bahamas hanno superato dieci anni senza praticare la pena di morte e quindi vanno considerate abolizioniste di fatto.

Nel gennaio 2010, il Presidente della Mongolia ha annunciato una moratoria sulle esecuzioni capitali.

Nel febbraio 2010, il Gabon ha abolito totalmente la pena di morte.

Nell’aprile del 2011, la Guinea ha superato dieci anni senza praticare la pena di morte e quindi va considerata abolizionista di fatto.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il 9 marzo 2011, l’Illinois è divenuto il 16° Stato USA senza pena capitale. Per quanto riguarda gli anni più recenti, l’hanno abolita il New Mexico nel 2009 e il New Jersey nel 2007.

 

Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, ulteriori passi politici e legislativi verso l’abolizione o fatti comunque positivi come commutazioni collettive di pene capitali si sono verificati in numerosi Paesi.

Il governo della Thailandia ha dichiarato la sua intenzione di abolire la pena di morte, come annunciato nel suo programma sui diritti umani per gli anni 2009-2013.

Nell’aprile 2010, in Tagikistan, è stato istituito un gruppo di lavoro sull’abolizione della pena di morte.

Nel gennaio 2010, è entrata in vigore in Vietnam la legge che elimina la pena di morte per otto reati.

Nel febbraio 2011, la Tunisia ha annunciato la ratifica del Secondo Protocollo Opzionale relativo all’abolizione della pena di morte.

Vi è poi stato un numero significativo di amnistie o commutazioni delle condanne a morte in Etiopia, Uganda, a Cuba, in Marocco e Sierra Leone. Nel maggio 2011, il nuovo presidente di Myanmar ha commutato in ergastolo tutte le condanne a morte.

 

Ripresa delle esecuzioni 

 

Sul fronte opposto, nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, 8 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Autorità Nazionale Palestinese (5), Bahrein (1), Bielorussia (2), Guinea Equatoriale (4), Somalia (almeno 8) e Taiwan (4) nel 2010; Afghanistan (2) ed Emirati Arabi Uniti (1) nel 2011.

Alcuni di essi lo hanno fatto dopo molti anni di sospensione.

Negli Stati Uniti, nel giugno 2010, lo Utah ha compiuto la prima esecuzione dal 1999 e, nel settembre 2010, lo Stato di Washington ha effettuato la prima esecuzione dal 2001.

 

Pena di morte in base alla Sharia

 

Nel 2010, almeno 714 esecuzioni, contro le almeno 658 del 2009, sono state effettuate in 13 Paesi a maggioranza musulmana (erano stati 10 nel 2009), molte delle quali ordinate da tribunali islamici in base a una stretta applicazione della Sharia.

Sono 18 i Paesi mantenitori che hanno nei loro ordinamenti giuridici richiami espliciti alla Sharia. Ma il problema non è il Corano, perché non tutti i Paesi islamici che a esso si ispirano praticano la pena di morte o fanno di quel testo il proprio codice penale, civile o, addirittura, la propria legge fondamentale. Il problema è la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi cambiamento democratico.

Dei 47 Paesi a maggioranza musulmana nel mondo, 23 possono essere considerati a vario titolo abolizionisti, mentre i mantenitori della pena di morte sono 24, dei quali 13 l’hanno praticata nel 2010.

Impiccagione, decapitazione e fucilazione sono stati i metodi con cui è stata applicata la Sharia nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011. In Iran sono state emesse condanne a morte tramite lapidazione, ma non risulta siano state effettuate nel 2010 (l’ultima volta è avvenuto nel 2009).

 

La lapidazione

 

Tra le punizioni islamiche, la lapidazione è la più terribile. Il condannato viene avvolto da capo a piedi in un sudario bianco e interrato. La donna viene interrata fino alle ascelle, mentre l’uomo fino alla vita. Un carico di pietre viene portato sul luogo e funzionari incaricati – in alcuni casi anche semplici cittadini autorizzati dalle autorità – effettuano la lapidazione. Le pietre non devono essere così grandi da provocare la morte con uno o due colpi in modo da poter provocare una morte lenta e dolorosa. Se il condannato riesce in qualche modo a sopravvivere alla lapidazione, verrà imprigionato per almeno 15 anni ma non verrà giustiziato.

Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, condanne a morte tramite lapidazione sono state emesse solo in Iran, Nigeria e Pakistan, anche se non risulta siano state eseguite.

Almeno una persona è stata lapidata in Somalia nel 2010, ma era stata condannata a morte in via extra-giudiziaria da un tribunale islamico per aver stuprato una ragazza. Altre lapidazioni extra-giudiziarie per adulterio sono state effettuate nel 2010 in Afghanistan e Pakistan, in zone controllate dai Talebani.

 

L’impiccagione, ma non solo…

 

Tra i metodi di esecuzione di sentenze capitali in base alla Sharia, il più diffuso è l’impiccagione, la quale è preferita per gli uomini ma non risparmia le donne.

Impiccagioni in base alla Sharia sono state effettuate nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011 in Egitto, Iran, Iraq e Sudan.

L’impiccagione è spesso eseguita in pubblico e combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione.

L’impiccagione in versione iraniana avviene di solito tramite delle gru o piattaforme più basse per assicurare una morte più lenta e dolorosa. Come cappio viene usata una robusta corda oppure un filo d’acciaio che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte. Il 12 luglio 2011, la Tadano, società giapponese produttrice di gru, ha comunicato di non voler più stipulare contratti con il governo iraniano a seguito di una “Campagna sulle Gru” lanciata dall’associazione UANI (Uniti Contro l’Iran Nucleare), che ha pubblicato sul suo sito una lista di otto multinazionali che inviano in Iran gru o loro parti, con tanto di foto di gru utilizzate per effettuare impiccagioni in pubblico.

 

La decapitazione

 

La decapitazione come metodo “legale” per eseguire sentenze in base alla Sharia è un’esclusiva dell’Arabia Saudita, il Paese islamico che segue l’interpretazione più rigida della legge islamica. Come “esecuzioni extragiudiziarie” andrebbero invece classificate le decapitazioni effettuate in Somalia dagli estremisti islamici di Al-Shabaab.

In Arabia Saudita, l’esecuzione avviene di solito nella città dove è stato commesso il crimine, in un luogo aperto al pubblico vicino alla moschea più grande. Il condannato viene portato sul posto con le mani legate e costretto a chinarsi davanti al boia, il quale sguaina una lunga spada tra le grida della folla che urla “Allahu Akbar!” (“Dio è grande”). A volte, alla decapitazione segue anche l’esposizione in pubblico dei corpi dei giustiziati. La procedura prevede che il boia stesso fissi la testa mozzata al corpo del giustiziato, per poi farlo pendere, per circa due ore, dalla finestra o balcone di una moschea o appenderlo a un palo, durante la preghiera di mezzogiorno. Talvolta i pali formano una croce, da cui l’uso del termine “crocifissione”. Nel 2010 ci sono state 27 esecuzioni, meno della metà di quelle effettuate nel 2009 (almeno 69), ma nel 2011 le decapitazioni sono aumentate in maniera significativa (34 al 25 luglio).

 

La fucilazione

 

Non propriamente una punizione islamica, la fucilazione è pure stata usata nel 2010 e nei primi mesi del 2011 in Yemen, Libia e Somalia in esecuzione di condanne basate anche sulla Sharia.

 

Il “prezzo del sangue”

 

Secondo la legge islamica, i parenti della vittima di un delitto hanno tre possibilità: chiedere l’esecuzione della sentenza, risparmiare la vita dell’assassino con la benedizione di Dio oppure concedergli la grazia in cambio di un compenso in denaro, detto diyah (prezzo del sangue).

Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, casi relativi al “prezzo del sangue” si sono risolti col perdono o con l’esecuzione in Afghanistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Pakistan e Yemen.

In Arabia Saudita, numerosi casi di “prezzo del sangue” si sono risolti positivamente grazie all’opera del Comitato per la Riconciliazione, un’organizzazione nazionale che assicura il perdono ai prigionieri del braccio della morte e aiuta a risolvere le lunghe dispute inter-familiari e tribali tramite sforzi costanti.

La versione iraniana del “prezzo del sangue” stabilisce che per una vittima donna esso sia la metà di quello di un uomo. Inoltre, se uccide una donna, un uomo non potrà essere giustiziato, anche se condannato a morte, senza che la famiglia della donna abbia prima pagato a quella dell’assassino la metà del suo prezzo del sangue.

 

Blasfemia e apostasia

 

In alcuni Paesi islamici, la pena capitale è stata estesa in base alla Sharia anche ai casi di blasfemia, cioè può essere imposta a chi offende il profeta Maometto, altri profeti o le sacre scritture.

I non-musulmani non possono fare proseliti e alcuni Governi proibiscono ufficialmente i riti religiosi pubblici da parte di non-musulmani. Convertire dall’Islam ad altra religione o rinunciare all’Islam è considerato apostasia ed è tecnicamente un reato capitale.

In Arabia Saudita, Iran e Pakistan vi sono persone detenute nel braccio della morte con l’accusa di stregoneria, apostasia e blasfemia.

 

Pena di morte nei confronti di minori

 

Applicare la pena di morte a persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato è in aperto contrasto con quanto stabilito dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo.

Nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011, l’Iran è stato l’unico Paese al mondo in cui risulta sia stata praticata la pena di morte nei confronti di minori di 18 anni al momento del fatto. Condanne a morte nei confronti di minorenni sono state emesse nel 2010, ma non eseguite, anche in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Sudan. Nei primi sei mesi del 2011, persone minorenni al momento del reato sono state condannate a morte anche in Mauritania ed Egitto.

 

 

 

La “guerra alla droga”

 

Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici ammette un’eccezione al diritto alla vita per quei Paesi che ancora non hanno abolito la pena di morte, ma solo riguardo ai “reati più gravi”. Gli organismi delle Nazioni Unite sui diritti umani hanno dichiarato i reati di droga non ascrivibili alla categoria dei “reati più gravi”. Il limite dei “reati più gravi” per l’applicazione legittima della pena di morte è sostenuto anche dagli organismi politici delle Nazioni Unite i quali chiariscono che per “reati più gravi” si intendono solo quelli “con conseguenze letali o estremamente gravi”.

Un’altra questione riguarda la presenza, in molti Stati, di leggi che prescivono la condanna a morte obbligatoria per alcuni reati di droga. Secondo il Rapporto 2010, The Death Penalty for Drug Offences, prodotto da Harm Reduction International (HRI), i Paesi o territori che nel mondo mantengono leggi che prevedono la pena di morte per reati legati alla droga sono 32, dei quali 13 la prevedono obbligatoriamente in certi casi particolari: Brunei-Darussalam, Egitto, India, Iran, Malesia, Singapore, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Siria, Laos, Yemen, Oman e Sudan.

L’ideologia proibizionista in materia di droga, imperante nel mondo, ha continuato a dare un contributo consistente alla pratica della pena di morte anche nel 2010 e nei primi sei mesi del 2011.

Nel nome della guerra alla droga e in base a leggi sempre più restrittive, sono state effettuate esecuzioni in Arabia Saudita, Cina e Iran. Condanne a morte per droga sono state pronunciate, anche se non eseguite, in Bangladesh, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Kuwait, Laos, Libia, Malesia, Pakistan, Singapore, Thailandia, Vietnam e Yemen.

 

La “guerra al terrorismo”

 

Numerose esecuzioni per fatti di terrorismo sono state effettuate in Bangladesh, Iran e Iraq, mentre centinaia di condanne a morte sono state pronunciate anche se non eseguite in Algeria, India, Libano, Mauritania, Sudan e Yemen.

In nome della lotta al terrorismo e “legittimati” dalla partecipazione alla Grande Coalizione nata in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, Paesi autoritari e illiberali come la Cina e l’Iran hanno continuato nella violazione dei diritti umani al proprio interno e, in alcuni casi, hanno giustiziato e perseguitato persone in realtà coinvolte solo nella opposizione pacifica o in attività sgradite al regime.

Le prospettive della campagna di Nessuno Tocchi Caino

L’approvazione, nel dicembre 2007, della Risoluzione per la Moratoria Universale delle esecuzioni capitali da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stata una tappa fondamentale non solo della lotta alla pena capitale ma anche per l’affermazione dello Stato di diritto e di quei diritti naturali storicamente acquisiti e spesso scritti nelle leggi dei Paesi, ma non rispettati.

Da allora, gli effetti concreti della Risoluzione ONU, che al Palazzo di Vetro ha registrato un sostegno crescente nel 2008 e poi nel 2010, si sono visti in numerosi Paesi, anche in quelli che fino a poco tempo fa apparivano del tutto inaccessibili e dove, invece, sono avvenuti molti fatti positivi nel senso dell’abolizione, come documenta anche il Rapporto 2011 di Nessuno tocchi Caino.

Le prospettive dell’abolizione sono oggi ancora più favorevoli dopo quello che a livello politico e sociale è accaduto e continua ad accadere in molti Paesi arabi e non solo. La fine del mito dell’invincibilità di dittatori al potere da decenni, può sfociare in riforme in senso umanitario e democratico come già dimostrano fatti che segnano una soluzione di continuità rispetto a sistemi e pratiche del passato sulla pena di morte.

In Marocco, la nuova Costituzione approvata con il referendum popolare del 1° luglio scorso, per la prima volta, sancisce il diritto alla vita come diritto fondamentale. In Tunisia, il 1° febbraio 2011, il governo ad interim di unità nazionale ha annunciato la ratifica dei più importanti trattati internazionali, dallo Statuto di Roma sulla istituzione della Corte Penale Internazionale [effettivamente ratificato il 24 giugno 2011] ai due protocolli addizionali al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, tra cui quello relativo all’abolizione della pena di morte. Mentre moratorie di fatto si registrano in Giordania (dal 2006) e in Libano (dal 2004).

Ma il banco di prova forse decisivo di un vero cambio di regime nei Paesi arabi è costituito dall’Egitto, il Paese che all’ONU è stato sempre in prima linea nel contrasto alla Risoluzione pro moratoria. Se il governo egiziano ad interim saprà garantire ai massimi responsabili del vecchio regime, a partire dall’ex Presidente Hosni Mubarak, i diritti fondamentali della persona, ivi incluso un processo equo e trasparente che escluda la condanna a morte, ciò sarà la prova più evidente di una soluzione di continuità rispetto al passato.

Nel dicembre scorso, oltre alla Giordania e al Libano, si sono astenuti sulla nuova Risoluzione sulla moratoria approvata al Palazzo di Vetro anche il Bahrein, gli Emirati Arabi, la Mauritania e l’Oman. Mentre l’Algeria, ha votato a favore e ha anche cosponsorizzata il testo, in piena continuità con una moratoria legale delle esecuzioni che nel Paese dura dal 1993. La larghissima maggioranza con cui è stata approvata l’ultima Risoluzione ONU, è stata il frutto anche dei cambiamenti nel mondo arabo e un’ulteriore conferma che il mondo intero sta andando decisamente verso il superamento del fasullo e arcaico sistema della pena di morte.

Per porre davvero fine all’aberrante e contraddittorio principio secondo cui la vita si debba difendere infliggendo la morte, occorre però che i Paesi che hanno sostenuto all’Onu la moratoria la facciano rispettare in concreto e in tutte le circostanze.

Nessuno tocchi Caino farà la sua parte con un progetto che vedrà impegnata l’Associazione nei prossimi due anni in 17 Paesi del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Est e del Sud-Est asiatico dove negli anni più recenti si sono registrati eventi politici, riforme legislative o altri fatti positivi che possono condurre all’abolizione o quantomeno alla limitazione nell’uso della pena di morte, al rafforzamento di moratorie di fatto e a commutazioni collettive di pene capitali. In molti di questi Paesi, l’obiettivo prioritario è di superare i segreti di Stato sulla pena di morte, che sono spesso causa diretta di un maggior numero di condanne ed esecuzioni capitali.

Le attività si articoleranno su due piani, distinti ma complementari: il primo, volto a informare l’opinione pubblica e a sensibilizzarla sulla necessità di abolire la pena di morte, riguarda direttamente gli operatori dell’informazione e della comunicazione sociale nei Paesi target; il secondo riguarda più direttamente i soggetti istituzionali, in particolare Governi e Parlamenti, a cui compete prendere decisioni e approvare atti che vadano nel senso di quanto chiedono le Nazioni Unite e l’Unione Europea.

Non essendo sostenibili i costi di massicce campagne multimediali contro la pena di morte che siano finanziate e realizzate Paese per Paese direttamente dalle organizzazioni abolizioniste, Nessuno tocchi Caino si propone, attraverso due seminari di formazione, organizzati in collaborazione con Oliviero Toscani ed il Segretariato Sociale della RAI, di fornire e condividere con gli operatori locali e regionali dell’informazione e della comunicazione strumenti e conoscenze di base, esempi e tecniche di comunicazione sociale perché siano poi loro a realizzare, a partire dai diversi e particolari contesti, campagne di informazione sulla realtà della pena di morte e campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle ragioni dell’abolizione. Un seminario, rivolto ai Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, si terrà a Tunisi e sarà realizzato in partnership con l’Istituto Arabo per i Diritti Umani; l’altro, a Tokyo, sarà realizzato in partnership con l’Anti Death Penalty Asia Network e riguarderà i Paesi dell’Asia Orientale e del Sud-Est asiatico. Contemporaneamente, Nessuno tocchi Caino organizzerà missioni nei 17 Paesi target del progetto per spingerli a dare attuazione alla richiesta delle Nazioni Unite di moratoria delle esecuzioni nella prospettiva dell’abolizione definitiva e per acquisire nuovi consensi in vista delle prossime sessioni (2012 e 2014) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dove è già in agenda la prosecuzione del dibattito sulla Risoluzione contro la pena di morte.


Le prospettive della campagna di Nessuno Tocchi Caino L’approvazione, nel dicembre 2007, della Risoluzione per la Moratoria Universale delle esecuzioni capitali da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stata una tappa fondamentale non solo della lotta alla pena capitale ma anche per l’affermazione dello Stato di diritto e di quei diritti naturali storicamente acquisiti e spesso scritti nelle leggi dei Paesi, ma non rispettati.

Da allora, gli effetti concreti della Risoluzione ONU, che al Palazzo di Vetro ha registrato un sostegno crescente nel 2008 e poi nel 2010, si sono visti in numerosi Paesi, anche in quelli che fino a poco tempo fa apparivano del tutto inaccessibili e dove, invece, sono avvenuti molti fatti positivi nel senso dell’abolizione, come documenta anche il Rapporto 2011 di Nessuno tocchi Caino.

Le prospettive dell’abolizione sono oggi ancora più favorevoli dopo quello che a livello politico e sociale è accaduto e continua ad accadere in molti Paesi arabi e non solo. La fine del mito dell’invincibilità di dittatori al potere da decenni, può sfociare in riforme in senso umanitario e democratico come già dimostrano fatti che segnano una soluzione di continuità rispetto a sistemi e pratiche del passato sulla pena di morte.

In Marocco, la nuova Costituzione approvata con il referendum popolare del 1° luglio scorso, per la prima volta, sancisce il diritto alla vita come diritto fondamentale. In Tunisia, il 1° febbraio 2011, il governo ad interim di unità nazionale ha annunciato la ratifica dei più importanti trattati internazionali, dallo Statuto di Roma sulla istituzione della Corte Penale Internazionale [effettivamente ratificato il 24 giugno 2011] ai due protocolli addizionali al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, tra cui quello relativo all’abolizione della pena di morte. Mentre moratorie di fatto si registrano in Giordania (dal 2006) e in Libano (dal 2004).

Ma il banco di prova forse decisivo di un vero cambio di regime nei Paesi arabi è costituito dall’Egitto, il Paese che all’ONU è stato sempre in prima linea nel contrasto alla Risoluzione pro moratoria. Se il governo egiziano ad interim saprà garantire ai massimi responsabili del vecchio regime, a partire dall’ex Presidente Hosni Mubarak, i diritti fondamentali della persona, ivi incluso un processo equo e trasparente che escluda la condanna a morte, ciò sarà la prova più evidente di una soluzione di continuità rispetto al passato.

Nel dicembre scorso, oltre alla Giordania e al Libano, si sono astenuti sulla nuova Risoluzione sulla moratoria approvata al Palazzo di Vetro anche il Bahrein, gli Emirati Arabi, la Mauritania e l’Oman. Mentre l’Algeria, ha votato a favore e ha anche cosponsorizzata il testo, in piena continuità con una moratoria legale delle esecuzioni che nel Paese dura dal 1993. La larghissima maggioranza con cui è stata approvata l’ultima Risoluzione ONU, è stata il frutto anche dei cambiamenti nel mondo arabo e un’ulteriore conferma che il mondo intero sta andando decisamente verso il superamento del fasullo e arcaico sistema della pena di morte.

Per porre davvero fine all’aberrante e contraddittorio principio secondo cui la vita si debba difendere infliggendo la morte, occorre però che i Paesi che hanno sostenuto all’Onu la moratoria la facciano rispettare in concreto e in tutte le circostanze.

Nessuno tocchi Caino farà la sua parte con un progetto che vedrà impegnata l’Associazione nei prossimi due anni in 17 Paesi del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Est e del Sud-Est asiatico dove negli anni più recenti si sono registrati eventi politici, riforme legislative o altri fatti positivi che possono condurre all’abolizione o quantomeno alla limitazione nell’uso della pena di morte, al rafforzamento di moratorie di fatto e a commutazioni collettive di pene capitali. In molti di questi Paesi, l’obiettivo prioritario è di superare i segreti di Stato sulla pena di morte, che sono spesso causa diretta di un maggior numero di condanne ed esecuzioni capitali.

Le attività si articoleranno su due piani, distinti ma complementari: il primo, volto a informare l’opinione pubblica e a sensibilizzarla sulla necessità di abolire la pena di morte, riguarda direttamente gli operatori dell’informazione e della comunicazione sociale nei Paesi target; il secondo riguarda più direttamente i soggetti istituzionali, in particolare Governi e Parlamenti, a cui compete prendere decisioni e approvare atti che vadano nel senso di quanto chiedono le Nazioni Unite e l’Unione Europea.

Non essendo sostenibili i costi di massicce campagne multimediali contro la pena di morte che siano finanziate e realizzate Paese per Paese direttamente dalle organizzazioni abolizioniste, Nessuno tocchi Caino si propone, attraverso due seminari di formazione, organizzati in collaborazione con Oliviero Toscani ed il Segretariato Sociale della RAI, di fornire e condividere con gli operatori locali e regionali dell’informazione e della comunicazione strumenti e conoscenze di base, esempi e tecniche di comunicazione sociale perché siano poi loro a realizzare, a partire dai diversi e particolari contesti, campagne di informazione sulla realtà della pena di morte e campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle ragioni dell’abolizione. Un seminario, rivolto ai Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, si terrà a Tunisi e sarà realizzato in partnership con l’Istituto Arabo per i Diritti Umani; l’altro, a Tokyo, sarà realizzato in partnership con l’Anti Death Penalty Asia Network e riguarderà i Paesi dell’Asia Orientale e del Sud-Est asiatico. Contemporaneamente, Nessuno tocchi Caino organizzerà missioni nei 17 Paesi target del progetto per spingerli a dare attuazione alla richiesta delle Nazioni Unite di moratoria delle esecuzioni nella prospettiva dell’abolizione definitiva e per acquisire nuovi consensi in vista delle prossime sessioni (2012 e 2014) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dove è già in agenda la prosecuzione del dibattito sulla Risoluzione contro la pena di morte.



Le prospettive della campagna di Nessuno Tocchi Caino

 

L’approvazione, nel dicembre 2007, della Risoluzione per la Moratoria Universale delle esecuzioni capitali da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stata una tappa fondamentale non solo della lotta alla pena capitale ma anche per l’affermazione dello Stato di diritto e di quei diritti naturali storicamente acquisiti e spesso scritti nelle leggi dei Paesi, ma non rispettati.

Da allora, gli effetti concreti della Risoluzione ONU, che al Palazzo di Vetro ha registrato un sostegno crescente nel 2008 e poi nel 2010, si sono visti in numerosi Paesi, anche in quelli che fino a poco tempo fa apparivano del tutto inaccessibili e dove, invece, sono avvenuti molti fatti positivi nel senso dell’abolizione, come documenta anche il Rapporto 2011 di Nessuno tocchi Caino.

Le prospettive dell’abolizione sono oggi ancora più favorevoli dopo quello che a livello politico e sociale è accaduto e continua ad accadere in molti Paesi arabi e non solo. La fine del mito dell’invincibilità di dittatori al potere da decenni, può sfociare in riforme in senso umanitario e democratico come già dimostrano fatti che segnano una soluzione di continuità rispetto a sistemi e pratiche del passato sulla pena di morte.

In Marocco, la nuova Costituzione approvata con il referendum popolare del 1° luglio scorso, per la prima volta, sancisce il diritto alla vita come diritto fondamentale. In Tunisia, il 1° febbraio 2011, il governo ad interim di unità nazionale ha annunciato la ratifica dei più importanti trattati internazionali, dallo Statuto di Roma sulla istituzione della Corte Penale Internazionale [effettivamente ratificato il 24 giugno 2011] ai due protocolli addizionali al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, tra cui quello relativo all’abolizione della pena di morte. Mentre moratorie di fatto si registrano in Giordania (dal 2006) e in Libano (dal 2004).

Ma il banco di prova forse decisivo di un vero cambio di regime nei Paesi arabi è costituito dall’Egitto, il Paese che all’ONU è stato sempre in prima linea nel contrasto alla Risoluzione pro moratoria. Se il governo egiziano ad interim saprà garantire ai massimi responsabili del vecchio regime, a partire dall’ex Presidente Hosni Mubarak, i diritti fondamentali della persona, ivi incluso un processo equo e trasparente che escluda la condanna a morte, ciò sarà la prova più evidente di una soluzione di continuità rispetto al passato.

Nel dicembre scorso, oltre alla Giordania e al Libano, si sono astenuti sulla nuova Risoluzione sulla moratoria approvata al Palazzo di Vetro anche il Bahrein, gli Emirati Arabi, la Mauritania e l’Oman. Mentre l’Algeria, ha votato a favore e ha anche cosponsorizzata il testo, in piena continuità con una moratoria legale delle esecuzioni che nel Paese dura dal 1993. La larghissima maggioranza con cui è stata approvata l’ultima Risoluzione ONU, è stata il frutto anche dei cambiamenti nel mondo arabo e un’ulteriore conferma che il mondo intero sta andando decisamente verso il superamento del fasullo e arcaico sistema della pena di morte.

Per porre davvero fine all’aberrante e contraddittorio principio secondo cui la vita si debba difendere infliggendo la morte, occorre però che i Paesi che hanno sostenuto all’Onu la moratoria la facciano rispettare in concreto e in tutte le circostanze.

Nessuno tocchi Caino farà la sua parte con un progetto che vedrà impegnata l’Associazione nei prossimi due anni in 17 Paesi del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Est e del Sud-Est asiatico dove negli anni più recenti si sono registrati eventi politici, riforme legislative o altri fatti positivi che possono condurre all’abolizione o quantomeno alla limitazione nell’uso della pena di morte, al rafforzamento di moratorie di fatto e a commutazioni collettive di pene capitali. In molti di questi Paesi, l’obiettivo prioritario è di superare i segreti di Stato sulla pena di morte, che sono spesso causa diretta di un maggior numero di condanne ed esecuzioni capitali.

Le attività si articoleranno su due piani, distinti ma complementari: il primo, volto a informare l’opinione pubblica e a sensibilizzarla sulla necessità di abolire la pena di morte, riguarda direttamente gli operatori dell’informazione e della comunicazione sociale nei Paesi target; il secondo riguarda più direttamente i soggetti istituzionali, in particolare Governi e Parlamenti, a cui compete prendere decisioni e approvare atti che vadano nel senso di quanto chiedono le Nazioni Unite e l’Unione Europea.

Non essendo sostenibili i costi di massicce campagne multimediali contro la pena di morte che siano finanziate e realizzate Paese per Paese direttamente dalle organizzazioni abolizioniste, Nessuno tocchi Caino si propone, attraverso due seminari di formazione, organizzati in collaborazione con Oliviero Toscani ed il Segretariato Sociale della RAI, di fornire e condividere con gli operatori locali e regionali dell’informazione e della comunicazione strumenti e conoscenze di base, esempi e tecniche di comunicazione sociale perché siano poi loro a realizzare, a partire dai diversi e particolari contesti, campagne di informazione sulla realtà della pena di morte e campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle ragioni dell’abolizione. Un seminario, rivolto ai Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, si terrà a Tunisi e sarà realizzato in partnership con l’Istituto Arabo per i Diritti Umani; l’altro, a Tokyo, sarà realizzato in partnership con l’Anti Death Penalty Asia Network e riguarderà i Paesi dell’Asia Orientale e del Sud-Est asiatico. Contemporaneamente, Nessuno tocchi Caino organizzerà missioni nei 17 Paesi target del progetto per spingerli a dare attuazione alla richiesta delle Nazioni Unite di moratoria delle esecuzioni nella prospettiva dell’abolizione definitiva e per acquisire nuovi consensi in vista delle prossime sessioni (2012 e 2014) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dove è già in agenda la prosecuzione del dibattito sulla Risoluzione contro la pena di morte.




In alcuni casi, come la Cina e il Vietnam, la questione è considerata un segreto di Stato e le notizie di esecuzioni riportate dai giornali locali o da fonti indipendenti rappresentano una minima parte del fenomeno. Anche in Bielorussia vige il segreto di Stato, retaggio della tradizione sovietica, e le notizie sulle esecuzioni filtrano dalle prigioni tramite parenti dei giustiziati o organizzazioni internazionali molto tempo dopo la data dell’esecuzione. In Iran, dove pure non esiste segreto di Stato sulla pena di morte, le sole informazioni disponibili sulle esecuzioni sono tratte da notizie selezionate dal regime e uscite su media statali o da fonti ufficiose o indipendenti. Ci sono poi situazioni in cui le esecuzioni sono tenute assolutamente nascoste e le notizie non filtrano nemmeno dai giornali locali. È il caso di Corea del Nord, Egitto, Malesia e Siria. In Iraq le esecuzioni segrete non si sono mai fermate, nemmeno sotto il governo di Nouri al-Maliki. Vi sono, infine, Paesi come Arabia Saudita, Giappone e Singapore, dove le esecuzioni sono di dominio pubblico solo una volta che sono state effettuate, mentre familiari, avvocati e gli stessi condannati a morte sono tenuti all’oscuro di tutto. La “civiltà” dell’iniezione letale I Paesi che hanno deciso di passare dalla sedia elettrica, l’impiccagione o la fucilazione alla iniezione letale come metodo di esecuzione, hanno presentato questa “riforma” come una conquista di civiltà e un modo più umano e indolore per giustiziare i condannati a morte. La realtà è diversa. Stati Uniti, la novità dell’iniezione a base di un solo farmaco Oggi tutti gli Stati della federazione americana hanno l’iniezione letale come primo metodo di esecuzione. In alcuni Stati rimangono in vigore i “vecchi metodi”, disponibili su richiesta del condannato e di solito solo per i reati commessi prima dell’entrata in uso dell’iniezione. Dopo molti anni di discussioni e di ricorsi, la Corte Suprema degli Stati Uniti, nell’aprile 2008, ha stabilito che il cocktail di sostanze letali usato non rappresenta una punizione “crudele e inusuale” e quindi non è contrario alla Costituzione americana. La Corte Suprema ha riconosciuto il rischio di incidenti e malfunzionamenti ma, ha argomentato, questi sono sempre possibili con qualsiasi sistema. La quota di dolore e/o rischio insita nel protocollo dell’iniezione letale, per quanto possa essere sgradevole e per quanto possa esserne auspicabile l’eliminazione, allo stato attuale però non costituisce elemento di incostituzionalità e, anzi, va considerata “inevitabile”. La Corte Suprema ha inoltre riconosciuto validità all’ipotesi prospettata da molti avvocati ed esperti di utilizzare una singola, massiccia dose di barbiturico al posto dell’attuale mix di tre farmaci. Per la Corte Suprema, è molto probabile che la singola dose di barbiturico sia un metodo di esecuzione meno doloroso e con meno rischi di imprevisti. Come è noto, negli ultimi anni molte polemiche si erano focalizzate sul secondo dei tre farmaci utilizzati nell’iniezione letale. Il secondo farmaco, quello che paralizza i muscoli, in realtà impedirebbe ai condannati soltanto di manifestare il dolore per il terzo farmaco, quello che blocca il cuore, ma non di provarlo. Diversi Stati hanno comunque avviato la procedura di modifica del protocollo per passare dal mix di tre farmaci alla singola e massiccia dose di sonnifero. Per la penuria di Pentothal su tutto il territorio nazionale e dopo la decisione della Hospira di chiudere definitivamente la produzione, molti Stati hanno modificato i loro protocolli inserendo un barbiturico di nuova generazione, il Pentobarbital, molto simile al Pentothal, ma a larghissima diffusione, quindi economico e di facile reperibilità. Oltre che come sedativo e anestetico, viene utilizzato nel trattamento del Morbo di Huntington, dell’epilessia e di una serie di altre disfunzioni del sistema nervoso centrale. Ma è noto anche per essere usato dai veterinari per uccidere cavalli azzoppati o animali malati in stato terminale. Il 16 dicembre 2010, è stata quindi effettuata la prima esecuzione in USA con il sedativo normalmente utilizzato per l’eutanasia di animali. John Duty, 58 anni, è stato giustiziato con un overdose di Pentobarbital nel centro penitenziario di massima sicurezza di Oklahoma City. E’ morto sei minuti dopo l’iniezione letale. Cina, un “privilegio” per alti funzionari e stranieri Le sentenze capitali in Cina sono ancora per lo più eseguite con un colpo di fucile sparato a distanza ravvicinata al cuore oppure alla nuca con il condannato in ginocchio, le caviglie ammanettate e le mani legate dietro la schiena. Anche se dal 1997 la Cina ha introdotto il metodo dell’iniezione letale e la metà dei 404 Tribunali Intermedi del Popolo già ricorre all’iniezione letale, il “privilegio” di essere giustiziati in questo modo è molto spesso riservato a ex alti funzionari del regime condannati a morte e a cittadini stranieri. Tra il 6 e il 9 aprile 2010, quattro giapponesi sono stati giustiziati tramite iniezione nella provincia di Liaoning per traffico di droga. Il 7 luglio 2010, anche Wen Qiang, ex capo della magistratura della provincia del Chongqing, è stato giustiziato tramite iniezione letale per stupro e per aver accettato tangenti per coprire bande criminali. Il 30 marzo 2011, tre filippini condannati per traffico di droga sono stati uccisi mediante iniezione letale. In molte Province sono state allestite anche delle unità mobili su dei furgoni da 24 posti, opportunamente modificati, che raggiungono il luogo dove si è svolto il processo. Il detenuto è assicurato con delle cinghie a un lettino di metallo posto sul retro del furgone. Una volta inserito l’ago, un poliziotto preme un bottone e automaticamente la sostanza letale viene iniettata nella vena. Secondo le autorità cinesi, il metodo dell’iniezione letale, portato grazie ai ‘bus’ fin nelle località più sperdute, è più pulito, sicuro, meno traumatico per il condannato e più efficace come deterrente. E’ facile immaginare che il passaggio dal colpo di pistola all’iniezione letale nelle unità mobili possa favorire il traffico illegale di organi dei condannati. Le iniezioni lasciano intatto l’intero corpo e richiedono la presenza di medici. Gli organi possono essere espiantati in un modo più veloce ed efficace che nel caso in cui i detenuti siano fucilati. Vietnam, l’iniezione costa meno e riduce lo stress psicologico del boia Il 17 giugno 2010, l’Assemblea Nazionale del Vietnam ha deciso di sostituire il metodo della fucilazione con l’iniezione letale. La nuova misura è stata adottata quasi all’unanimità anche perché – è scritto nel documento preparatorio elaborato da un gruppo ad hoc di deputati in vista della sessione legislativa del parlamento – “l’iniezione di veleno provoca meno dolore ai condannati e, poi, il loro corpo resta intatto; Costa di meno e riduce lo stress psicologico degli addetti all’esecuzione”. Le esecuzioni con il nuovo metodo sarebbero dovute partire dal 1° luglio 2011, tuttavia il Ministro della Sicurezza Pubblica ha proposto di posticipare il tutto al 1° settembre perché le strutture in cui effettuare le iniezioni letali dovevano ancora esser approntate e il personale doveva ancora essere istruito sul nuovo metodo. A causa del ritardo, le esecuzioni in programma sono state rimandate a settembre.