INTRODUZIONE AL RAPPORTO 2012

02 Gennaio 2013 :

di Ernest Bai Koroma, Presidente della Repubblica della Sierra Leone

Negli ultimi decenni, l’Africa è stata teatro di lotte fratricide, che continuano ancora oggi. I conflitti in Uganda, Burundi, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo e molti altri Paesi – compresa la mia amata Sierra Leone – hanno sconvolto la vita di milioni di persone, affogandole in un bagno di morte, distruzione e disperazione. Questo fenomeno non è limitato all’Africa; guerre brutali e una immane violenza politica hanno afflitto altri Paesi, dall’Afghanistan all’ex Iugoslavia e, più recentemente, hanno attraversato il Medio Oriente e il Nord Africa. Noi non possiamo fare a meno di piangere i morti ed essere vicini a quelli che sono sopravvissuti, mentre diamo corpo alla speranza di giorni migliori a venire.
Le cause di questi conflitti e violenze sono diverse da Paese a Paese, ma hanno un connotato che le accomuna: la violazione grave dei diritti umani e politici fondamentali. Come pure è comune l’istanza di giustizia delle singole vittime e di ciascun Paese nel suo complesso; i diritti delle vittime devono essere sanciti e i responsabili delle violazioni devono rendere conto. Soprattutto, deve essere preso e mantenuto l’impegno a che i diritti umani siano salvaguardati in futuro, come pure l’impegno di coloro che hanno preso in mano le redini del potere durante e dopo periodi di transizione a essere e sentirsi vincolati alla tutela dei diritti umani. Questa è la spina dorsale che permetterà di costruire e mantenere la pace e la stabilità.
In Sierra Leone, abbiamo passato un intero decennio combattendo una guerra brutale. Dalla fine della guerra nel 2002, abbiamo dovuto affrontare le sfide terribili della promozione della pace, del risanamento e dello sviluppo nazionali. Mentre, come Paese, ci siamo trovati ad affrontare queste sfide, non abbiamo mai dimenticato per un attimo che una base solida dei diritti umani era essenziale per aiutarci a superarle e per accompagnare la Sierra Leone lungo il suo cammino verso un futuro luminoso e prospero per tutti i suoi cittadini. Come ho detto in occasione della presentazione del Rapporto 2011 sui Diritti Umani da parte della Commissione Diritti Umani della Sierra Leone, “Una cultura dei diritti sta prendendo piede, non ci sono prigionieri politici, nessun giornalista è stato incarcerato, nessuna persona è stata giustiziata sotto il mio governo, e stiamo promuovendo i diritti sociali dei soggetti più vulnerabili, donne e bambini, attraverso la nostra iniziativa per una assistenza sanitaria aperta a tutti”.
Dall’inizio degli anni 1990, la pena di morte è stata sempre più riconosciuta come un problema di diritti umani che rientra nel quadro giuridico internazionale e, sempre più, da esso esclusa. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha deciso all’unanimità di non includere la pena di morte tra le opzioni di condanna per i tribunali internazionali istituiti per giudicare i crimini commessi nella ex Jugoslavia e in Ruanda. La Conferenza Plenipotenziaria delle Nazioni Unite tenutasi a Roma nel luglio 1998 ha approvato lo Statuto della Corte Penale Internazionale, che esclude la pena di morte anche per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio ovunque siano commessi nel mondo. Anche il nostro Tribunale Speciale, istituito su richiesta della Repubblica della Sierra Leone, esclude la pena di morte, il che ha portato a discutere seriamente di questo problema nel nostro contesto normativo nazionale.
Più recentemente, nel 2007, la 62ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Risoluzione che invita tutti gli Stati che ancora mantengono la pena di morte a “stabilire una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte”. Con questa Risoluzione, le Nazioni Unite, per la prima volta, hanno dichiarato esplicitamente che la pena di morte è una questione di diritti umani e la sua eliminazione rappresenta un progresso enorme in tal senso per il mondo intero. Nel respingere una serie di emendamenti alla Risoluzione basati sul principio della “sovranità interna”, per dare invece priorità ai diritti umani e individuali, le Nazioni Unite hanno creato un nuovo percorso che si basa sul patrimonio di corti e tribunali internazionali che escludono la pena di morte dai loro statuti. Questa Risoluzione è stata una pietra miliare nel quasi ventennale impegno di Nessuno tocchi Caino, del Partito Radicale Nonviolento e di Emma Bonino, che hanno sostenuto la causa dal 1993 in poi, così come dell’Associazione radicale “Non c’è Pace Senza Giustizia”, alla quale siamo grati per il suo lavoro in Sierra Leone e l’aiuto che ci ha dato per porre fine all’impunità e ripristinare lo Stato di diritto.
Adottando questa Risoluzione, l’Assemblea Generale dell’ONU non ha voluto – né poteva – imporre la moratoria agli Stati membri. La Risoluzione ha comunque un valore straordinario in termini di principio e di indirizzo politico, perché rappresenta una “linea guida” per coloro che praticano ancora la pena di morte. Ripeto: per la prima volta, le Nazioni Unite hanno stabilito che la questione della pena di morte rientra nella sfera dei diritti della persona e non della giustizia interna, e che il suo superamento segna un importante progresso per i diritti umani in generale.
Negli ultimi anni, ci sono stati importanti misure adottate da molti Paesi proprio per applicare le linee guida della Risoluzione dell’Assemblea Generale. L’Africa ha il maggior numero di Paesi abolizionisti di fatto; alcuni Paesi, come il Burundi e il Ruanda, hanno abolito la pena di morte de jure, il che ha uno straordinario valore simbolico, considerata la storia lacerante e violenta di quei Paesi. In generale, c’è stata una crescente tendenza verso l’abolizione legale delle esecuzioni e la loro generale diminuzione in molti Paesi, come pure una riduzione dei reati capitali o la commutazione delle condanne a morte.
In Sierra Leone, non ci sono state esecuzioni per quasi 14 anni; nel 2008, la nostra Commissione di Revisione Costituzionale ha raccomandato, tra l’altro, che la pena di morte sia abolita in tutti i casi di tradimento o di altri crimini di natura politica che non provochino direttamente la morte di un’altra persona, e che sia sostituita con l’ergastolo. Nel 2011, in occasione del nostro 50° anniversario dell’Indipendenza, come Presidente della Sierra Leone, ho deciso di commutare in ergastolo tutte le condanne a morte e di graziare cinque condannati a morte. Allora, resi omaggio ai progressi fatti dal Paese dalla fine delle ostilità nel 2002: abbiamo combattuto una guerra, ma abbiamo costruito e mantenuto una pace che è l’invidia del mondo, abbiamo sopportato leadership non elette democraticamente, ma oggi siamo l’esempio lampante di un Paese che sta consolidando la sua democrazia. Alla fine dello stesso anno, la delegazione della Sierra Leone presso il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha accolto, in linea di principio, le raccomandazioni ad abolire la pena di morte, ad aderire al Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e a stabilire una moratoria legale dell’applicazione della pena di morte, finalizzata alla sua definitiva abolizione. Queste raccomandazioni sono ora sotto esame, nel quadro della nostra riforma costituzionale.
La Sierra Leone ha ora una moratoria, che è come una “tregua”; in guerra, una tregua serve da passaggio verso la pace, apre ai negoziati e prepara la fine dei combattimenti; la moratoria è una “tregua” nella pratica della pena di morte, è il tempo necessario politicamente, proceduralmente, legislativamente e civilmente per discutere, riflettere e preparare l’abolizione. Il Sudafrica, per esempio, ha abolito la pena di morte dopo cinque anni di moratoria; anzi, quasi tutte le abolizioni negli ultimi dieci anni sono venute solo dopo anni di moratoria de jure o de facto. L’abolizione diventerà una realtà duratura quando può essere incorporata con mezzi democratici, da un lato, nei cuori e nelle menti delle persone e, dall’altro, nelle costituzioni e nelle leggi degli Stati. Tuttavia, la corrente sta cambiando in Sierra Leone, grazie al nostro forte impegno per i diritti umani; ne sono la riprova la nostra accettazione della mancanza di pena capitale nel nostro Tribunale Speciale e l’accettazione da parte del nostro popolo delle sentenze pronunciate dal Tribunale Speciale per le violazioni più gravi che abbiamo sofferto per tutto il decennio del conflitto.
Continueremo a operare su questo e a lavorare con i nostri fratelli e sorelle in Africa e in tutto il mondo per sanare i nostri conflitti, abbracciare la democrazia e lanciare messaggi di nonviolenza e di tolleranza.