I fatti più importanti del 2012 (e dei primi sei mesi del 2013)

03 Gennaio 2015 :

SINTESI DEL RAPPORTO 2013

La situazione a oggi

L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre quindici anni, si è confermata nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013.

I Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 158. Di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 100; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 7; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 5; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 46.

I Paesi mantenitori della pena di morte sono scesi a 40 (al 30 giugno 2013) rispetto ai 43 del 2011. I Paesi mantenitori sono progressivamente diminuiti nel corso degli ultimi anni: erano 42 nel 2010, 45 nel 2009, 48 nel 2008, 49 nel 2007, 51 nel 2006 e 54 nel 2005.

Nel 2012, i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati 22, rispetto ai 20 del 2011, ai 22 del 2010, ai 19 del 2009 e ai 26 del 2008.

Nel 2012, le esecuzioni sono state almeno 3.967, a fronte delle almeno 5.004 del 2011, delle almeno 5.946 del 2010, delle almeno 5.741 del 2009 e delle almeno 5.735 del 2008. Il calo delle esecuzioni rispetto agli anni precedenti si giustifica con la significativa riduzione stimata in Cina dove sono passate dalle circa 4.000 del 2011 alle circa 3.000 del 2012.

Nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, non si sono registrate esecuzioni in 3 Paesi – Egitto, Singapore e Vietnam – che le avevano effettuate nel 2011.

Viceversa, 8 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Botswana (almeno 1), Gambia (9), Giappone (7), India (1) e Pakistan (1) nel 2012; Indonesia (1), Kuwait (5) e Nigeria (4) nel 2013.

Ancora una volta, l’Asia si conferma essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se stimiamo che in Cina vi sono state circa 3.000 esecuzioni (circa 1.000 in meno rispetto al 2011), il dato complessivo del 2012 nel continente asiatico corrisponde ad almeno 3.879 (il 97,8%), in calo rispetto al 2011 quando erano state almeno 4.935.

Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico Paese del continente che ha compiuto esecuzioni (43) nel 2012. Il 7 agosto 2012, la Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani ha chiesto agli Stati membri dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) che hanno ancora la pena di morte ad abolirla o, almeno, a introdurre una moratoria sulla sua applicazione.

In Africa, nel 2012, la pena di morte è stata eseguita in 5 Paesi (erano stati 4 nel 2011) e sono state registrate almeno 42 esecuzioni: Sudan (almeno 19), Gambia (9), Somalia (almeno 8), Sudan del Sud (almeno 5), Botswana (almeno 1). Nel 2011 le esecuzioni effettuate in tutto il continente erano state almeno 24.

In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte. Nel 2012 tre uomini sono stati giustiziati per omicidio.

Cina, Iran e Iraq i primi paesi boia del 2012

Dei 40 mantenitori della pena di morte, 33 sono Paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. In 17 di questi Paesi, nel 2012, sono state compiute almeno 3.909 esecuzioni, il 98,5% del totale mondiale.

Un Paese solo, la Cina, ne ha effettuate circa 3.000, circa il 76% del totale mondiale; l’Iran ne ha effettuate almeno 580; l’Iraq almeno 129; l’Arabia Saudita almeno 84; lo Yemen almeno 28; la Corea del Nord almeno 20; il Sudan almeno 19; l’Afghanistan 14; il Gambia 9; la Somalia almeno 8; la Palestina (Striscia di Gaza) 6; il Sudan del Sud almeno 5; la Bielorussia almeno 3; la Siria almeno 1; il Bangladesh 1; gli Emirati Arabi Uniti 1 e il Pakistan 1.

Molti di questi Paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.

A ben vedere, in molti di questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.

Sul terribile podio dei primi tre Paesi nel mondo che nel 2012 hanno compiuto più esecuzioni figurano tre Stati autoritari: Cina, Iran e Iraq.

Cina, esecuzioni più che dimezzate rispetto al 2006

Anche se la pena di morte continua a essere considerata in Cina un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie, anche di fonte ufficiale, in base alle quali condanne a morte ed esecuzioni sarebbero via via diminuite rispetto all’anno precedente.

Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal 1° gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema del Popolo. Da allora, la Corte Suprema ha annullato “in media” il 10 per cento delle condanne a morte pronunciate ogni anno nel Paese.

Secondo le stime di un esperto cinese, Liu Renwen, direttore del dipartimento di diritto penale della Facoltà di Legge dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali, da quando la Corte Suprema del Popolo ha riacquistato il potere di condurre la revisione finale delle condanne a morte, il numero delle esecuzioni è diminuito di oltre il 50 per cento. Nel 2006, media statali avevano riportato le stime del professor Liu secondo cui il numero di circa 8.000 esecuzioni l’anno era allora un dato ‘realistico’.

Secondo William A. Schabas, Professore di diritto internazionale presso la Middlesex University di Londra, nel 2012 “la Cina ha probabilmente giustiziato circa 3.000 persone”. “Ciò rappresenta un calo di oltre il 50% rispetto a solo cinque anni fa”, ha osservato sul suo blog il 18 dicembre 2012, forte della partecipazione per più di un decennio a numerose conferenze sulla pena di morte in Cina e dei molti incontri con esperti del sistema cinese di giustizia penale.

Secondo quanto ha riportato il 28 febbraio 2013 la Fondazione statunitense Dui Hua, “il numero delle esecuzioni è stato drasticamente ridotto, anche se nel 2012 è rimasto a un livello elevato pari a circa 3.000 esecuzioni”. La Fondazione Dui Hua, diretta da John Kamm, un ex dirigente d’affari che si è votato alla difesa dei diritti umani e che continua a mantenere buoni rapporti con funzionari governativi cinesi, aveva stimato che nel 2011 erano state effettuate “circa” 4.000 esecuzioni, mentre nel 2010 ne erano state effettuate “circa” 5.000, come nel 2009 e in lieve calo rispetto al 2008 quando, secondo la Fondazione, il numero delle esecuzioni “ha superato le 5.000 e può essersi avvicinato alle 7.000”.

Considerato che almeno il 90 per cento dei casi trattati dalla Corte Suprema è composto da casi capitali e che la Corte, nel 2012, ha definito 9.248 casi (1.267 in meno rispetto al 2011), una stima approssimativa ma realistica di Nessuno tocchi Caino fissa il numero delle condanne a morte del 2012, tra quelle definitive e quelle sospese per due anni, intorno alle 8.300 (in netto calo rispetto alle circa 9.400 stimate nel 2011).

Considerato inoltre che, sin dal febbraio 2010, la Corte Suprema ha raccomandato ai tribunali di privilegiare – rispetto all’esecuzione immediata – la pena di morte con due anni di sospensione (normalmente poi commutata nel carcere a vita o a una pena detentiva a termine), è realistico ritenere che le esecuzioni nel 2012, come stimato dal Professor William Schabas e dalla Fondazione Dui Hua, siano state circa 3.000, in netto calo rispetto alle 4.000 circa del 2011.

Il 14 marzo 2012, il Congresso Nazionale del Popolo ha approvato un nuovo emendamento che riforma la legge di procedura penale cinese in senso più garantista. Innanzitutto, la frase “rispettare e proteggere i diritti umani” è scritta nel primo capitolo della nuova legge relativo a obiettivi e principi fondamentali. Nell’emendamento, sono specificate ulteriormente le procedure per la Corte Suprema del Popolo nel riesame dei casi di pena di morte affinché tali casi siano trattati “con sufficiente attenzione” e sia rafforzata la “supervisione legale”.

Iran, primatista assoluto della pena capitale per numero di abitanti

Nella storia moderna, la Cina si è classificata sempre al primo posto per numero di esecuzioni, ma negli ultimi anni l’Iran è stato il primatista assoluto della pena capitale per numero di abitanti.

Secondo il quinto rapporto annuale di Iran Human Rights (IHR) sulla pena di morte nella Repubblica Islamica, nel 2012 sono state effettuate almeno 580 esecuzioni, un numero tra i più alti degli ultimi anni. Secondo Human Rights Activists in Iran, nel 2012 sono state giustiziate almeno 587 persone.

Iran Human Rights sottolinea che il numero effettivo delle esecuzioni in Iran è probabilmente molto superiore ai dati forniti nel suo rapporto annuale: almeno 240 altre esecuzioni non sono state incluse nel suo conteggio per le difficoltà incontrate nella ricerca di conferme. Ad esempio, sono state incluse nel rapporto 2012 solo 85 delle 325 esecuzioni che sarebbero avvenute segretamente nel carcere di Vakilabad. Nel 2011, sulla base delle stesse fonti, Iran Human Rights aveva calcolato almeno 676 esecuzioni.

Dopo le proteste post-elettorali del 2009, il numero di esecuzioni pubbliche in Iran è aumentato drammaticamente. Secondo Iran Human Rights, nel 2012 sono state almeno 60, un numero sei volte superiore rispetto al 2009, quando almeno 12 persone sono state impiccate in luoghi pubblici. La tendenza è proseguita nel 2013. Nel mese di gennaio e febbraio soltanto, sono state impiccate sulla pubblica piazza almeno 20 persone e, al 30 giugno, si erano già svolte almeno 37 esecuzioni pubbliche.

L’esecuzione di minorenni è proseguita nel 2012 e nel 2013, fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Un presunto minorenne al momento del reato è stato giustiziato in pubblico a marzo 2012. Altri due minori al momento del fatto sono stati giustiziati nel 2013, uno a gennaio e l’altro a febbraio.

L’applicazione della pena di morte con condanne ed esecuzioni per motivi essenzialmente politici è continuata in Iran anche nel 2012 e nel 2013. Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” erano in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte. Oltre alla morte, la punizione per Moharebeh è l’amputazione della mano destra e del piede sinistro, secondo il codice penale iraniano. Secondo Iran Human Rights (IHR), delle 294 persone giustiziate di cui fonti ufficiali iraniane hanno dato notizia nel 2012, almeno 23, il 3%, erano state accusate di Moharebeh (fare guerra a Dio).


Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.

Iraq, esecuzioni raddoppiate

Nel 2012, l’Iraq ha messo a morte almeno 129 persone, il numero più alto dal 2005 e un aumento significativo e preoccupante rispetto al 2011, quando sono state giustiziate almeno 68 persone, che erano già il quadruplo rispetto alle 17 messe a morte nel 2010.

L’Iraq ha già giustiziato almeno 50 persone nel 2013 (al 16 aprile).

Le esecuzioni sono iniziate nell’agosto 2005. Da allora e fino al 16 aprile 2013, sono state eseguite almeno 497 condanne a morte, la gran parte per fatti di terrorismo.

Ad aprile 2013, c’erano circa 1.400 persone detenute nel braccio della morte, secondo il Ministro della Giustizia iracheno, Hassan al-Shammari.


Democrazia e pena di morte


Dei 40 Paesi mantenitori della pena capitale, sono solo 7 quelli che possiamo definire di democrazia liberale, con ciò considerando non solo il sistema politico del Paese, ma anche il sistema dei diritti umani, il rispetto dei diritti civili e politici, delle libertà economiche e delle regole dello Stato di diritto.

Le democrazie liberali che nel 2012 hanno praticato la pena di morte sono state 5 e hanno effettuato in tutto 58 esecuzioni, l’1,5% del totale mondiale: Stati Uniti (43), Giappone (7), Taiwan (6), Botswana (almeno 1) e India (1). Nel 2011 erano state 2 (Stati Uniti e Taiwan) e avevano effettuato in tutto 48 esecuzioni.

L’Indonesia ha ripreso le esecuzioni nel 2013 dopo una sospensione che durava dal 2008.

Stati Uniti: altri due Stati aboliscono la pena di morte, mentre continuano a diminuire gli Stati esecuzionisti e i detenuti nel braccio della morte

Nel 2012 le esecuzioni sono state 43, lo stesso numero del 2011, ma sono state effettuate in un numero minore di Stati.

Le esecuzioni sono avvenute in soli 9 Stati: Texas (15); Arizona (6); Oklahoma (6); Mississippi (6); Ohio (3); Florida (3); South Dakota (2); Delaware (1); Idaho (1).

Nel 2012, non ci sono state esecuzioni in cinque Stati – Alabama, Georgia, Missouri, South Carolina e Virginia – che le hanno effettuate nel 2011. D’altra parte, il South Dakota ha ripreso la pratica della pena di morte nel 2012, dopo una sospensione di fatto che durava dal 2007.

Nei primi sei mesi del 2013 (al 26 giugno), sono state effettuate 18 esecuzioni in 6 Stati.

Secondo il Death Penalty Information Center, nel 2012 le nuove condanne a morte sono state 78, il secondo numero più basso da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel 1976. Il numero più basso di condanne a morte è stato quello del 2011: 76, un fortissimo calo rispetto agli anni precedenti nei quali non erano mai scese sotto 100.

Al 1° gennaio 2013, c’erano 3.125 detenuti nel braccio della morte, 64 in meno rispetto ai 3.189 del 1° gennaio 2012.

Ad aprile 2012 il Connecticut ha abolito la pena di morte e a maggio 2013 il Maryland è diventato il sesto Stato ad abolirla in sei anni. Gli altri quattro Stati che hanno recentemente abbandonato del tutto la pena capitale sono: New Jersey (2007), New York (2007), New Mexico (2009) e Illinois (2011). Inoltre, il Governatore dell’Oregon ha dichiarato una moratoria di tre anni su tutte le esecuzioni nel novembre 2011.

Delle 34 giurisdizioni in cui vige ancora la pena di morte, 9 non hanno effettuato esecuzioni da più di dieci anni: Colorado (ultima esecuzione nel 1997), Kansas (1965), Nebraska (1997), New Hampshire (1939), Oregon (1997), Pennsylvania (1999), Wyoming (1992), Amministrazione Militare (1961) e Governo Federale (2003).

Da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel 1976, tre Stati hanno giustiziato solo “volontari”, ossia persone che chiedevano con forza di affrettare la procedura di esecuzione. La Pennsylvania ne ha giustiziati 3, l’Oregon 2 e il Connecticut 1.

Uno dei fatti più importanti del 2012 è stato certamente il referendum in California sull’abolizione della pena di morte. Il 6 novembre 2012, gli elettori della California hanno respinto, con stretto margine, la proposta di abolire la pena capitale, sostituirla con l’ergastolo senza condizionale e l’obbligo per i detenuti di lavorare per risarcire le vittime. Nel giorno in cui si votava per le elezioni presidenziali che hanno confermato Barak Obama, gli elettori hanno votato al 52,7% contro la “Proposition 34”.

Secondo il Death Penalty Information Center (DPIC) dal 1973 alla fine del 2012 i condannati a morte poi completamente prosciolti sono stati 142, di cui 3 nel 2012.

Oltre alla questione degli errori giudiziari, che ha animato il dibattito politico negli anni recenti, sta prendendo piede la questione dei “costi della pena di morte”. Alcuni studi hanno calcolato che circa la metà delle condanne a morte emesse in primo grado viene poi annullata nei gradi successivi e convertita in condanne all’ergastolo. Altri studi hanno accertato che, anche nei casi in cui una condanna a morte “regge”, tenere una persona all’ergastolo tutta la vita costa fino a 20 volte di meno che tenerla nel braccio della morte solo qualche anno e poi giustiziarla. In media negli Stati Uniti una condanna a morte costa tra 1 e 3 milioni di dollari, contro i 500.000 dollari di costo di una condanna all’ergastolo senza condizionale. Allora, sta sempre più prendendo piede un’idea alternativa: rinunciare ai processi capitali, che di solito si svolgono contro persone sulle quali esistono già prove convincenti, e dedicare i fondi risparmiati alla riapertura di casi archiviati, per andare alla ricerca di assassini non ancora individuati.

Giappone, ripresa delle esecuzioni nel 2012

Dopo che nel 2011, per la prima volta in quasi vent’anni, nessun prigioniero è stato messo a morte nel Paese, 7 persone sono state giustiziate nel 2012 durante il mandato del Primo Ministro del Partito Democratico, Yoshihiko Noda. Altre 5 persone sono state impiccate nel 2013 dopo la schiacciante vittoria del Partito Liberal-Democratico di Shinzo Abe alle elezioni anticipate del dicembre 2012.

Il 29 marzo 2012, tre detenuti sono stati impiccati nelle prigioni di Tokyo, Hiroshima e Fukuoka, le prime esecuzioni praticate nel Paese dal 2010. Il 3 agosto 2012, altri due prigionieri sono stati impiccati a Tokyo e Osaka, nel secondo giro di esecuzioni dell’anno. Il 27 settembre 2012, il Giappone ha impiccato altri due prigionieri nelle carceri di Sendai e Fukuoka, portando a sette il numero di persone giustiziate durante il governo del Partito Democratico guidato da Yoshihiko Noda.

Il 21 febbraio 2013, tre condannati a morte sono stati impiccati a Tokyo, Nagoya e Osaka, nelle prime esecuzioni effettuate dal nuovo governo del Partito Liberal-Democratico guidato da Shinzo Abe. Il 26 aprile 2013, altri due prigionieri sono stati impiccati a Tokyo per omicidio.

India, ripresa delle esecuzioni nel 2012

L’India ha ripreso le esecuzioni nel 2012 dopo una moratoria di fatto che durava dal 2004. Un’altra esecuzione è stata effettuata nel febbraio 2013.

Il 21 novembre 2012, è stato giustiziato un cittadino pakistano, Mohammad Ajmal Kasab, l’unico sopravvissuto di un gruppo di fuoco che aveva ucciso 166 persone durante un furioso attacco nella capitale finanziaria Mumbai nel novembre 2008.

Il 9 febbraio 2013, è stato impiccato Muhammad Afzal, noto come Afzal Guru, militante del gruppo Jaish-e-Muhammad, che era stato condannato a morte per il coinvolgimento nell’attacco suicida del 13 dicembre 2001 contro il Parlamento indiano.

Botswana, ripresa delle esecuzioni nel 2012

Il numero delle esecuzioni, spesso effettuate in segreto, è sempre stato molto basso, una o al massimo due all’anno.

Nel 2011 non sono state compiute esecuzioni, che sono riprese il 31 gennaio 2012, quando è stato impiccato Zibani Thamo, un detenuto finito nel braccio della morte per omicidio.

Un’altra esecuzione è stata fatta il 27 maggio 2013, quando Orelesitse Modise Thokamolemo è stato impiccato nella Prigione Centrale di Gaborone dopo aver ricevuto sei condanne a morte per gli omicidi di suoi familiari, commessi in seguito a una lite sul cibo.

La pena di morte è in vigore da quando il Botswana è divenuto indipendente dalla Gran Bretagna nel 1966. Da allora sono state messe a morte almeno 47 persone.

Indonesia, ripresa delle esecuzioni nel 2013

L’Indonesia ha ripreso le esecuzioni nel 2013 dopo una sospensione che durava dal 2008.

Il 15 marzo 2013, è stato messo a morte un trafficante di droga del Malawi, Adami Wilson, fucilato nelle prime ore del mattino nelle Pulau Seribu (Mille Isole), un arcipelago a nord di Giacarta.

Il 17 maggio 2013, altri tre uomini sono stati fucilati nel carcere di Nusakambangan, su una piccola isola al largo di Java. Jurit bin Abdullah e Ibrahim bin Ujang erano stati riconosciuti colpevoli di aver decapitato e mutilato un uomo. Il terzo detenuto, Suryadi Swabuana, era stato condannato per aver ucciso un’intera famiglia nel 1991.

Dall’anno dell’indipendenza nel 1945, in Indonesia sono state giustiziate 63 persone.

Il 20 dicembre 2012, l’Indonesia ha anche cambiato il suo voto sulla Moratoria ONU sull’uso della pena di morte da contrario ad astensione. Il delegato indonesiano ha dichiarato che il dibattito pubblico sulla pena di morte in Indonesia era “in corso, anche riguardo a una possibile moratoria”.

Taiwan

Il 21 dicembre 2012, Taiwan ha messo a morte sei prigionieri del braccio della morte, il maggior numero di esecuzioni praticate in un solo giorno negli ultimi anni. Le esecuzioni sono state effettuate in quattro carceri in diverse parti del Paese: Taipei, Taichung, Tainan e Kaohsiung.

Il 19 aprile 2013, altri sei detenuti sono stati giustiziati nelle carceri di Taipei, Taichung, Tainan e Hualien.

Questa è la quarta volta che una serie di esecuzioni viene effettuata da quando Tseng Yung-fu è diventato Ministro della Giustizia nel 2010, per un totale di 21 giustiziati durante il suo mandato. Oltre alle sei condanne a morte eseguite nel dicembre del 2012, altre cinque esecuzioni erano state effettuate nel marzo 2011 e quattro nell’aprile 2010, le prime dopo una pausa che durava dal 2005. Dal 1981 sono state giustiziate a Taiwan 558 persone, secondo i dati del Ministero della Giustizia.


Europa libera dalla pena di morte, se non fosse per la Bielorussia e la Russia

L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, Paese che anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare i suoi cittadini. Nel 2012, sono state effettuate almeno tre esecuzioni.

La Russia, sebbene ancora Paese mantenitore, è impegnata invece ad abolire la pena di morte in quanto membro del Consiglio d’Europa e dal 1996 rispetta una moratoria legale delle esecuzioni.

Per quanto riguarda il resto dell’Europa, tutti gli altri Paesi l’hanno abolita in tutte le circostanze.

Abolizioni legali, di fatto e moratorie

Il trend mondiale verso l’abolizione di diritto o di fatto della pena di morte in corso ormai da oltre quindici anni ha trovato una ulteriore conferma anche nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013.

Altri 7 Paesi hanno rafforzato ulteriormente il fronte a vario titolo abolizionista nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013.

Nel gennaio del 2012, la Lettonia ha abolito completamente la pena di morte.

Nel marzo 2012, la Mongolia ha ratificato il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, relativo all’abolizione della pena di morte.

Nel luglio 2012, anche il Benin è divenuto parte del Secondo Protocollo Opzionale.

Nel gennaio 2013, la Repubblica Democratica del Congo ha superato i dieci anni senza effettuare esecuzioni, divenendo così un Paese abolizionista di fatto.

Dal marzo 2013, dopo dieci anni consecutivi senza esecuzioni, il Qatar può essere considerato un Paese abolizionista di fatto.

Nell’aprile 2013, anche Cuba ha superato i dieci anni senza effettuare esecuzioni, divenendo così un Paese abolizionista di fatto.

Nel giugno 2013, dopo dieci anni consecutivi senza esecuzioni, lo Zimbabwe è divenuto un Paese abolizionista di fatto.

Negli Stati Uniti, il Connecticut ha abolito la pena di morte ad aprile 2012 e a maggio 2013 il Maryland è diventato il sesto Stato ad abolirla in sei anni. In Oregon nel novembre 2011 è stata istituita una moratoria che durerà 3 anni.

Nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, ulteriori passi politici e legislativi verso l’abolizione o fatti comunque positivi come moratorie di fatto o commutazioni collettive di pene capitali si sono verificati in numerosi Paesi.

Nel maggio 2012, il Marocco ha accettato le raccomandazioni ricevute in sede di Riesame Periodico Universale dell’ONU a proseguire nella moratoria di fatto sulle esecuzioni nella prospettiva dell’abolizione totale.

Nel giugno 2012, il Governo del Ghana ha accettato la raccomandazione della Commissione di Revisione Costituzionale che la pena di morte sia completamente abolita.

Nel settembre 2012, il Madagascar ha firmato il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici per l’abolizione della pena di morte.

Lo Zambia non ha mai giustiziato nessuno dal 1997, grazie a una moratoria presidenziale sulle esecuzioni confermata dagli ultimi tre capi di Stato.

Una moratoria è osservata in Mali fin dagli anni ‘80 e tutte le condanne a morte sono commutate automaticamente in ergastolo.

In Libano regge la moratoria di fatto delle esecuzioni in atto dal 2004.

La pena capitale non è praticata in Giordania dal 2006, il che fa pensare che la monarchia stia andando verso la sua abolizione.

Nel 2012, per il terzo anno consecutivo, non sono state effettuate esecuzioni in Thailandia.

Nel 2012, per la prima volta negli ultimi anni, non sono state emesse sentenze capitali in Burkina Faso, in Camerun e in Uganda.

Nel 2012, per il secondo anno consecutivo, nessuna condanna a morte è stata riportata in Etiopia.

Nel 2012, il Presidente di Myanmar ha continuato la sua politica di commutazione delle condanne a morte in ergastolo.

Nel gennaio 2013, sei detenuti della Guyana, che erano nel braccio della morte da troppo tempo, hanno ottenuto la commutazione della pena in ergastolo.

Il 20 dicembre 2012, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una nuova Risoluzione su una Moratoria sull’Uso della Pena di Morte, la quarta dal 2007, con un numero record di Paesi che ha votato a favore. Il risultato è stato di 111 voti a favore (3 in più rispetto alla Risoluzione del 2010), 41 contro (come nel 2010), 34 astensioni (+ 2) e 7 assenti al momento del voto (come nel 2010).

Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono ora 193, uno Stato in più rispetto al 2010, il Sudan del Sud, che ha votato a favore della Risoluzione, nonostante mantenga ancora la pena di morte. Ciad, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone e Tunisia, che si erano astenuti o erano assenti nel 2010, per la prima volta hanno votato a favore.

Ripresa delle esecuzioni

Sul fronte opposto, nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, 8 Paesi hanno ripreso le esecuzioni, in alcuni casi dopo molti anni di sospensione.

Oltre a Botswana, Giappone, India e Indonesia [vedi il paragrafo “Democrazia e pena di morte”],hanno ripreso le esecuzioni il Gambia (9) e il Pakistan (1) nel 2012 e il Kuwait (5) e la Nigeria (4) nel 2013.

Nel maggio 2013, Papua Nuova Guinea ha abrogato la legge sulla stregoneria ma ha esteso l’applicazione della pena di morte in alcuni casi.

Negli Stati Uniti, nessuno Stato “abolizionista” ha reintrodotto la pena di morte, ma il South Dakota, che non compiva esecuzioni dal 2007, ne ha effettuate due nel 2012.


Pena di morte in base alla Sharia

Nel 2012, almeno 872 esecuzioni, contro le almeno 898 del 2011, sono state effettuate in 12 Paesi a maggioranza musulmana (come nel 2011), molte delle quali ordinate da tribunali islamici in base a una stretta applicazione della Sharia.

Sono 17 i Paesi mantenitori che hanno nei loro ordinamenti giuridici richiami espliciti alla Sharia. In alcuni casi, questi sistemi giuridici derivano anche da fonti consolidate e sovrapposte, sia storiche sia recenti, religiose e laiche.

Comunque, il problema non è il Corano, perché non tutti i Paesi islamici che a esso si ispirano praticano la pena di morte o fanno di quel testo il proprio codice penale, civile o, addirittura, la propria legge fondamentale. Il problema è la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi cambiamento democratico.

Dei 47 Paesi e territori a maggioranza musulmana nel mondo, 23 possono essere considerati a vario titolo abolizionisti, mentre i mantenitori della pena di morte sono 24, dei quali 12 l’hanno praticata nel 2012.

Impiccagione, decapitazione e fucilazione, sono stati i metodi con cui è stata applicata la Sharia nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013. Non risulta siano state eseguite condanne a morte “legali” tramite lapidazione.


L’impiccagione, ma non solo…

Tra i metodi di esecuzione di sentenze capitali in base alla Sharia, il più diffuso è l’impiccagione, la quale è preferita per gli uomini ma non risparmia le donne.

Almeno 748 impiccagioni in base alla Sharia sono state effettuate nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013 in Afghanistan, Palestina, Iran, Iraq e Sudan.

L’impiccagione in versione iraniana avviene di solito tramite delle gru o piattaforme più basse per assicurare una morte più lenta e dolorosa. Come cappio è usata una robusta corda oppure un filo d’acciaio che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte. L’impiccagione è spesso combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione. Nel 2011, in seguito alla “Campagna sulle Gru” lanciata dal gruppo Uniti Contro l’Iran Nucleare (UANI), alcune società che producono gru – le giapponesi Tadano e UNIC e l’americana Terex – hanno deciso di non stipulare più contratti con il governo iraniano dopo aver saputo che i loro prodotti erano usati in Iran per le esecuzioni pubbliche.


La decapitazione

La decapitazione come metodo “legale” per eseguire sentenze in base alla Sharia è un’esclusiva dell’Arabia Saudita.

In Arabia Saudita, l’esecuzione avviene di solito nella città dove è stato commesso il crimine, in un luogo aperto al pubblico vicino alla moschea più grande. Il condannato viene portato sul posto con le mani legate e costretto a chinarsi davanti al boia, il quale sguaina una lunga spada tra le grida della folla che urla “Allahu Akbar!” (Dio è grande). A volte, alla decapitazione segue anche l’esposizione in pubblico dei corpi dei giustiziati. La procedura prevede che il boia stesso fissi la testa mozzata al corpo del giustiziato per poi farlo pendere per circa due ore dalla finestra o dal balcone di una moschea o appenderlo a un palo, durante la preghiera di mezzogiorno. Talvolta i pali formano una croce, da cui l’uso del termine “crocifissione”.

Nel 2012, l’Arabia Saudita ha decapitato almeno 84 condannati a morte, 43 sauditi e 41 cittadini stranieri, secondo un conteggio tenuto da Nessuno tocchi Caino sulla base di notizie pubblicate dai media locali. Le persone giustiziate nel 2013 (all’8 luglio) sono state almeno 57, secondo un conteggio della Agence France Presse tenuto in base a notizie ufficiali.

Come “esecuzioni extragiudiziarie” andrebbero invece classificate le decapitazioni effettuate in Somalia dagli estremisti islamici di Al-Shabaab, in Afghanistan nelle zone controllate dai Talebani e in Yemen da islamisti legati ad Al-Qaeda.


La fucilazione

Non propriamente una punizione islamica, la fucilazione è pure stata usata nel 2012 (almeno 37 esecuzioni) e nei primi mesi del 2013 in Yemen, Emirati Arabi Uniti e Somalia in esecuzione di condanne basate anche sulla Sharia.

Nel marzo 2013, l’Arabia Saudita ha autorizzato esecuzioni (almeno 7) tramite fucilazione come alternativa alla decapitazione pubblica, il metodo tradizionale in uso nel Regno.

Non risulta siano state effettuate esecuzioni legali o comminate condanne capitali in Libia nel 2012.


ANALISI E OBIETTIVI DI NESSUNO TOCCHI CAINO


Mentre la Cina fa progressi, i Paesi cosiddetti democratici fanno passi indietro

L’approvazione, per la prima volta nel dicembre 2007, della Risoluzione per la Moratoria Universale delle esecuzioni capitali da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stata una pietra miliare sulla via non solo dell’abolizione della pena capitale ma anche dello sviluppo dei diritti umani in generale. Da allora, gli effetti concreti della Risoluzione ONU hanno continuato a manifestarsi in molti Paesi, come documenta anche il Rapporto 2013 di Nessuno tocchi Caino.

Il dato più rilevante del Rapporto riguarda la Cina che, negli ultimi anni, si è classificata sempre al primo posto per numero di esecuzioni, anche se è stato l’Iran il primatista assoluto della pena capitale nel mondo se si considera il numero di abitanti.

Pur votando sempre contro la Risoluzione pro-moratoria, la Cina sembra aver accolto nei fatti l’indicazione dell’Assemblea Generale ONU.

Nel 2012, secondo una stima di Nessuno tocchi Caino, la Cina ha giustiziato circa 3.000 persone, il che rappresenta un calo di oltre il 50% rispetto a solo cinque anni fa. Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema del Popolo.

Invece, il dato più negativo che emerge dal Rapporto 2013 di Nessuno tocchi Caino riguarda le cosiddette democrazie liberali. Nel 2011 erano stati solo 2 i Paesi democratici a praticare la pena di morte: gli Stati Uniti e Taiwan. Nel 2012 sono diventati 5, con Giappone, Botswana e India, ai quali va aggiunta l’Indonesia che ha ripreso le esecuzioni nel 2013.

Mentre negli Stati Uniti si registra una evidente e ormai irreversibile tendenza all’abolizione della pena di morte con sei Stati che l’hanno cancellata negli ultimi sei anni – New Jersey (2007), New York (2007), New Mexico (2009), Illinois (2011), Connecticut (2012) e Maryland (a maggio 2013) –, negli altri Paesi democratici il dato è preoccupante.

In Giappone, nel 2011, per la prima volta in quasi vent’anni, nessun prigioniero era stato messo a morte. Dopo di che, 7 persone sono state giustiziate nel 2012 durante il mandato del Primo Ministro del Partito Democratico, Yoshihiko Noda e altre 5 persone sono state impiccate nel 2013 dopo la schiacciante vittoria del Partito Liberal-Democratico di Shinzo Abe alle elezioni anticipate del dicembre 2012.

L’India ha ripreso le esecuzioni nel 2012 dopo una moratoria di fatto che durava dal 2004. Un’altra esecuzione è stata effettuata nel febbraio 2013.

In Botswana, nel 2011 non sono state compiute esecuzioni, che sono riprese il 31 gennaio 2012.

L’Indonesia ha ripreso le esecuzioni nel 2013 dopo una sospensione che durava dal 2008.


La nuova Risoluzione ONU per la Moratoria

Il 20 dicembre 2012, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto di nuovo di porre fine all’uso della pena di morte con il passaggio di una nuova Risoluzione che invita gli Stati a stabilire una moratoria sulle esecuzioni, in vista dell’abolizione della pratica. E’ stato il quarto testo pro moratoria a essere adottato dal 2007. La nuova Risoluzione è stata adottata con un numero record di Paesi che hanno votato a favore.

Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono ora 193, uno Stato in più rispetto al 2010, il Sudan del Sud, che ha votato a favore della Risoluzione, nonostante mantenga ancora la pena di morte. Ciad, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone e Tunisia, che si erano astenuti o erano assenti nel 2010, per la prima volta hanno votato a favore. I primi tre Paesi sono stati obiettivo di una missione di Nessuno tocchi Caino e del Partito Radicale volta a ottenere proprio il loro voto a favore della Risoluzione pro-moratoria.

Il nuovo testo è stato rafforzato con due richieste fondamentali – avanzate più volte negli anni recenti da Nessuno tocchi Caino – che sono state rivolte ai Paesi che praticano ancora la pena capitale e che sono volte a limitare progressivamente la sua pratica.

La prima richiesta, importantissima, a essere sostanzialmente accolta è quella volta ad abolire i “segreti di Stato” sulla pena di morte, perché molti Paesi, per lo più autoritari, non forniscono informazioni sulla sua applicazione, e la mancanza di informazione dell’opinione pubblica è anche causa diretta di un maggior numero di esecuzioni. L’Assemblea Generale ha invitato gli Stati membri a “rendere disponibili le informazioni rilevanti circa l’uso della pena di morte, tra l’altro, il numero di persone condannate a morte, il numero di persone nel braccio della morte e il numero di esecuzioni, il che può contribuire a trasparenti e informati dibattiti nazionali e internazionali, compresi quelli sugli obblighi degli Stati relativi alla pratica della pena di morte”.

Inoltre, l’Assemblea Generale ha invitato gli Stati “a ridurre il numero dei reati per i quali può essere comminata la pena di morte”. Anche perché, come documenta il Rapporto 2013 di Nessuno tocchi Caino, condanne a morte o esecuzioni per reati non violenti o per motivi essenzialmente politici continuano a verificarsi in alcuni Paesi, come Iran, Corea del Nord e Vietnam.


Dobbiamo, ancora una volta, prendere atto con soddisfazione che in Cina il limite dei “reati più gravi” per l’applicazione “legittima” della pena di morte è sostenuto dalla stessa Corte Suprema del Popolo, la quale, dopo la riforma del 2007, ha continuato ad adottare nuove misure per limitare il numero delle condanne a morte e prevenire quelle errate. Nel febbraio 2010, la Corte Suprema ha emesso nuove linee guida sulla pena di morte che indicano ai tribunali minori di limitarne l’applicazione a un numero ristretto di casi “estremamente gravi”. Nel 2011, la Corte Suprema ha raccomandato ai tribunali di adottare la politica della “giustizia mitigata dalla clemenza”, suggerendo di privilegiare – rispetto all’esecuzione immediata – la pena di morte con due anni di sospensione che normalmente è poi commutata nel carcere a vita o a una pena detentiva a termine. Nel marzo 2013, presentando il suo rapporto alla sessione annuale dell’Assemblea Nazionale del Popolo, il Presidente della Corte Suprema del Popolo, Wang Shengjun, ha dichiarato che i giudici dei tribunali di grado inferiore sono stati cauti nel comminare la pena di morte e la Corte Suprema ha riesaminato molto attentamente le loro sentenze: “Ci siamo premurati che la pena di morte venisse inflitta a un numero molto ristretto di persone condannate per reati di estrema gravità.”


Gli obiettivi della campagna di Nessuno tocchi Caino

Dalla fondazione nel 1993 di Nessuno tocchi Caino a oggi, ben 62 dei 97 Paesi membri dell’ONU allora mantenitori della pena di morte hanno smesso di praticarla, 20 dei quali lo hanno fatto dal 2006, cioè dopo il rilancio dell’iniziativa al Palazzo di Vetro.

La via del dialogo, liberale e antiproibizionista della moratoria – e non dell’abolizione tout court della pena di morte – che sin dal 1993 Nessuno Tocchi Caino e il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito hanno scelto di percorrere e proporre in tutte le sedi internazionali, ha dimostrato di essere la via maestra per superare ostacoli apparente insuperabili e aprire porte altrimenti inaccessibili, come è accaduto, ad esempio, in Cina.

Nessuno Tocchi Caino continuerà a percorrerla con una serie di iniziative volte a dare attuazione concreta alla Risoluzione approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU.

Nessuno tocchi Caino ha previsto di promuovere iniziative in Africa in 5 Paesi – Sudan del Sud, Ciad, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone e Tunisia – che negli anni più recenti hanno compiuto passi significativi verso l’abolizione della pena di morte e che nel 2012, per la prima volta, hanno votato a favore della Risoluzione ONU pro-moratoria.

Infine, Nessuno tocchi Caino rilancia la proposta al Segretario Generale dell’ONU di istituire la figura di un Inviato Speciale che abbia il compito non solo di monitorare la situazione ed esigere una maggiore trasparenza e limiti più restrittivi nel sistema della pena capitale, ma anche di continuare a persuadere chi ancora la pratica ad adottare la linea stabilita dalle Nazioni Unite: “moratoria delle esecuzioni, in vista dell’abolizione definitiva della pena di morte”.