Prefazione

01 Gennaio 1999 :

Ci sono delle cose che si vedono solamente al cinema e che si spera di vedere solamente al cinema. Invece, quando poi ci si rende conto che esistono nella realtà, si viene assaliti dal panico.
Per realizzare la campagna pubblicitaria Benetton "We, on death row", sono entrato in sei prigioni degli Stati Uniti, di sei stati differenti. Devo dire che a parte l´architettura più o meno moderna, i bracci della morte in fondo si assomigliano tutti: vi è sempre un costante senso di morte. C´è un strano odore, un odore di morte. C´è anche uno strano ritmo nel modo in cui i carcerati e i carcerieri si muovono. È tutto rallentato, come se in fondo ai corridoi e agli spazi ci fosse ad aspettare la morte. Non c´è premura, perchè la premura di solito viene prodotta da una speranza nel futuro, e lì non esiste proprio questo senso di futuro. Tutto è smorzato, ovattato. Risuona solamente il rumore del metallo delle chiavi e delle porte di ferro che si aprono e si chiudono sbattendo. Un rumore che rimane nella memoria del cervello.
Il resto, le poche parole che la gente si scambia, suonano come molto lontane.
È un po´ come in un sogno, o meglio in un incubo. Ci sono film che hanno descritto molto bene questi ambienti e queste situazioni, ma al cinema si è seduti su una poltrona, si è distaccati, si è lontani. Quando invece sono entrato in questo spettacolo macabro e vergognoso, ho avuto un po´ di vergogna nel pensare di appartenere ad un´umanità che riesce a mettere in scena tutto cio´. Perchè la pena di morte è una messa in scena di un rituale antico e vergognoso, è il sistema legalizzato per compiere più omicidi a sangue freddo. Questa prassi di omicidio legalizzato diventa assurda in tutta la sua architettura e nella sua estetica. Perchè vi è una violenta struttura estetica in questo sacrificio umano. Con i suoi guardiani dietro vetri bruniti che intravedi, mentre loro ti possono vedere e controllare, armati fino ai denti, con fotocellule e telecamere dappertutto. Esistono degli uomini, robotizzati, che fanno funzionare queste carceri completamente distaccatati dalla realtà che gestiscono, come assenti, distaccati, un po´ come i muri, pitturati di bianco, che formano le strutture delle prigioni, o come i pavimenti di linoleum lucidissimi creano uno strano contrasto tra la pulizia asettica, sterilizzata la sporcizia morale, di un posto così. Vi è questo contrasto costante, tra vita e morte, tra senso di colpa del pulire costantemente i pavimenti e i muri e, dall´altra parte, questo senso di giustizia immonda.
L´umanità che popola i bracci della morte è un´umanità moribonda in attesa dell´esecuzione finale. Mi ha molto colpito il fatto che tutti i carcerati, che ho incontrato e fotografato non sono mai stati maleducati o violenti, sono stati sempre molto corretti e disponibili, con una gran dignità nell´affrontare il loro destino. Mi ha colpito come si lavino continuamente, facendosi docce, isolati in queste celle asettiche, tutte incredibilmente pulite. Forse l´acqua dà un senso di purificazione.
Parlando con i guardiani, mi è sembrato che nessuno di loro fosse favorevole alla pena di morte. Nessuno lo ha detto apertamente, ho avuto la sensazione che le guardie scoprono una parte umana di questi condannati e che nessuno sia contento quando un uomo, seppure assassino, viene giustiziato, alla fine, vivendo insieme forse anche al più efferato assassino, in quelle condizioni, si scopra anche un suo lato umano. Bene o male, i rapporti umani, le famiglie si formano anche in situazioni così, in situazioni estreme. I custodi sono a contatto con i condannati costantemente, 24 ore al giorno, perchè i condannati devono poter essere visibili costantemente anche quando vanno in bagno, si lavano, si siedono sui cessi, sulle latrine. Devono essere sempre sotto controllo.
Nei bracci della morte esiste una disciplina nel senso più violento della parola, ai condannati, considerati esseri subumani, si toglie la dignità e viene creata una gerarchia tra l´essere superiore, il guardiano, e l´essere inferiore, il carcerato. Quando si viene condannati, non si appartiene più all´umanità normale. Si viene sottoposti ad una lenta, violenta agonia psicologica. C´è gente che è dentro da vent´anni e per tutto questo tempo aspetta di sedersi sulla sedia elettrica o che gli venga infilato l´ago nel braccio: per tutti quei vent´anni è considerato un essere inferiore.
Fotografando queste persone, ho visto che il loro sguardo esiste fino ad un certo punto, dopo di che vi è il vuoto, un vuoto di speranza, di quella speranza che ognuno di noi ha o dovrebbe avere. C´è una speranza disperata, diversa, quella che non finisca tutto così, che non sia davvero così, indipendentemente dalla loro colpevolezza o innocenza. Sicuramente avrò incontrato qualcuno anche forse innocente ma, innocente o colpevole, non fa differenza, la prigione crea disperazione nei colpevoli come negli innocenti. Morire è morire, non c´è niente da fare, ed è molto difficile accettare di dover morire così.
Le celle non sono tutte uguali. Anche qui non esiste una giustizia uguale per tutti. Ci sono carceri dove le celle sono moderne, altre meno. La cella moderna è due metri per tre, si entra dalla porta a inferriata, a destra c´è la latrina, sopra c´è anche il lavandino, lo specchio di metallo, tutto in acciaio inossidabile, poi esiste un tavolino murato, sul quale si mangia e si lavora, un armadietto tutto aperto, tutto deve essere in vista. In fondo alla cella, messo per il lato di due metri c´è la branda, anche questa murata con sopra un pagliericcio, le finestre sono delle feritoie con inferriata, di venti centimetri d´altezza, da dove un corpo non puo´ passare, e da dove non si vedono paesaggi, si vede solamente cielo. Anche la cella più moderna è comunque disumana. Tutte le celle sono messe a semicerchio, con un doppio corridoio di inferriate, come le gabbie dei leoni al circo, intorno alla guardiola con le guardie armate che scrutano ogni movimento dei detenuti, anche quando sono seduti sui cessi.
Ovviamente ci sono tutti gli odori, tutti i rumori, con tutta la promiscuità possibile ed immaginabile. Il solo pensare e progettare un posto così, fa paura, mi domando da dove viene questa nostra crudeltà.
Il braccio della morte è un obitorio di gente viva, potenzialmente morta.
Poi ci sono le camere della morte, la camera a gas nel North Carolina che ultimamente non è più in uso, la sedia elettrica nel Kentucky, e la camera più asettica e la più moderna, quella dell´iniezione letale, è impressionate, perchè intorno a queste camere-teatri della morte, ci sono delle finestrine da dove si può assistere all´agonia, per poter soddisfare quella sete atavica di vendetta che provoca quel piacere di vedere un uomo morire.
Ma tutto questo può essere giustizia? O forse una depravazione di essa? O forse semplicemente una rappresentazione drammatica dell´imbecillità umana. Che, come in Florida, arriva all´assurdo di lasciar scegliere al condannato il metodo di morire, come in un menù: sedia elettrica o iniezione, che democrazia!
Stiamo parlando degli Stati Uniti dove tutto questo è fatto in modo razionale. Ma allo stesso tempo faccio una considerazione: in un paese dove la vita, dove tutto si muove intorno alla promozione del vivere, dove non si parla di morte, perchè in fondo nella nostra cultura e nella nostra civiltà si fa finta di essere immortali, la pubblicità ci rappresenta tutti immortali, belli, in noi popoli avanzati, del primo mondo, esiste un attaccamento alla vita tutto particolare e ipocrita Tutto questo crea ancora più contraddizione, rispetto ad un paese dove vivere è un´opzione, dove non sei sicuro, dove la media della vita è bassa, dove esistono malattie, dove non c´è rispetto per la vita, dove non esistono medicine o medici o ospedali.
In America, invece, c´e proprio questo grande contrasto tra una società dell´opportunità, del sogno, del vivere, del futuro, delle grandi possibilità e, dall´ altra parte, queste prigioni del braccio della morte che invece sono lì per eliminare gli esseri umani su cui questa civiltà è costruita. Io credo che proprio negli Stati Uniti il contrasto sia più evidente e quindi particolarmente impressionante.
Ma poi quando entri nelle carceri e vedi i condannati a morte, ti accorgi che, nonostante si assomiglino tutti, la maggioranza è nera. I neri non sono neppure il 15% della popolazione americana, ma nelle prigioni le minoranze diventano la grande maggioranza, creando molti dubbi sulla giustizia di tutto cio´. Esiste indubbiamente discriminazione, intolleranza, esiste un problema di civiltà , sembra di entrare in una prigione africana, non in una prigione degli Stati Uniti. la carenza di educazione dei bambini dei poveri e delle minoranze provoca più tardi la grande percentuale di carcerati e di condannati a morte.
Sono entrato nelle carceri con tutta la normale attrezzatura da fotografo professionale, ma mi sono reso conto subito che non c´era bisogno di tutto ciò. Quando esiste veramente un problema, è molto più importante quello che si fotografa di come lo si fotografa. I condannati a morte si assomigliano tutti, hanno nello sguardo qualcosa in comune che è il dramma di una vita sbagliata, il dramma di sapere di dover morire così. Hanno questo sguardo che arriva fino ad un certo punto, poi si ferma la speranza e c´è il vuoto. Sono scorticati, non hanno più la pelle della vita. Ecco, del loro sguardo, mi ha molto impressionato questo vuoto del vivere e credo che alla fine mi sia interessato solamente quello. Allora mi sono anch´io spogliato di tutta l´attrezzatura e ho fatto tutte le foto con una macchina semplicissima, un obiettivo da 50 millimetri, utilizzando la cruda drammaticità della luce verdastra delle lampade al neon. Mi sono chiesto che senso avesse l´ alterare la luce e questi muri di cellublock . Volevo proprio rendere l´essenzialità di questa tragica estetica di condizione umana. Ho tolto qualsiasi artificialità, nonostante normalmente la si usi per migliorare anche la drammaticità. Lo si fa anche con la bellezza, quando una ragazza è bella, in fotografia si cerca di farla diventare ancora più bella, ma il dramma è dramma, e nello sguardo dei condannati c´e tutto il significato di che cosa sia la pena di morte.
La pena di morte è un problema di chi la pratica, di chi la difende e ci crede, di chi la mette in atto, della società che condanna e uccide. Io non voglio essere dalla parte dell´omicida, del boia, non voglio appartenere ad una società che legalizza il boia. La pena di morte è un problema della società civile. Finchè ci sarà la pena di morte nessuna società potrà dichiararsi civile. È drammaticamente ridicolo dover nel 2001 parlare ancora di un problema simile. È come la schiavitù, adesso ci si guarda indietro e ci rendiamo conto della sua assurdità , eppure, fino a non molto tempo fa, qualcuno sosteneva che aveva una ragione d´essere. Il problema della pena di morte è che non ha ragione di esistere in un sistema di civile giustizia. Ha ragione di essere solo in un sistema di vendetta, di chi non vuole affrontare il sistema della vera giustizia. La pena di morte è il modo più brutale per eliminare la giustizia. Significa dare per scontato che per far giustizia bisogna uccidere. Non voglio essere un collaborazionista in una società, indipendentemente dalla nazionalità, intendo la società umana, dove un uomo viene sacrificato in nome di una giustizia vendicatrice. Dobbiamo porci il problema della giustizia e quando ci si pone seriamente questo problema si arriva alla conclusione che le esecuzioni capitali devono essere eliminate, indipendentemente dalla colpevolezza o innocenza, è proprio la pena di morte che va eliminata.
Siamo molto sensibili alla fisicità delle cose che vediamo, tutte le volte che si fa vedere qualcuno morire di morte violenta, si prende la difesa della vittima. Si ha la stessa reazione quando si vede qualcuno picchiato per strada, si tende a difenderlo indipendentemente dalla ragione o torto. Tutte le volte che è stata vista, anche in televisione un´esecuzione, ha molto impressionato. Per questo credo che bisognerebbe far vedere l´esecuzioni, far partecipare a questo moderno linciaggio, dovremmo essere tutti testimoni e rabbrividire di fronte a questo atto di primitività.
Bisogna continuare a batterci contro la pena di morte, un giorno riconosceremo la sua primitività, cosÏ come ci siamo resi conto di tante cose del nostro passato, di cui c´è davvero da avere vergogna. Quanto tempo dobbiamo ancora aver vergogna del presente e purtroppo del futuro?
La croce è il simbolo della condanna a morte, i credenti la tengono attaccata persino dietro al letto. Se venisse un marziano sulla terra, penserebbe di essere atterrato su un mondo di assassini, e per di più usano il risultato della loro violenza come loro simbolo. Forse purtroppo questo senso di violenza, è nel DNA umano, e la condanna a morte ne è l´espressione, dopo duemila anni abbiamo ancora il crocefisso sul muro.
E se il marziano entrasse in una chiesa, allora li capirebbe che siamo dei pazzi, penserebbe di essere entrato in un centro per sadomasochisti: con sangue, angioletti nudi attorno a santi che sembrano pedofili, e madonne con serpenti avvolti alle gambe, costati colanti di sangue, corone di spine attorno alla testa, flagellazioni ecc. ecc.
I marziani ci metterebbero tutti in prigione.
Ma sicuramente non ci condannerebbero a morte.