RAPPORTO 2002 DI NESSUNO TOCCHI CAINO

28 Giugno 2002 :

Il nostro mondo d´oggi è pieno zeppo di crimini e distruzioni violente di vite umane. Probabilmente è sempre stato così, da quando si sono formate le grandi società urbane, ma oggi i mezzi di comunicazione ci rendono più consapevoli di questi orrori, mentre i nuovi strumenti bellici ottengono che massacri siano particolarmente devastanti. Siamo sempre più abituati a vedere sugli schermi dei nostri televisori esseri umani che sterminano con accanimento o, peggio, con indifferenza altri esseri umani. Al confronto, i tre o quattro mila ogni anno giustiziati in applicazione di sentenze capitali sono solo una goccia in questo oceano di sangue e di disperazione. Al punto che le esecuzioni suscitano un interesse solo relativo: quando, alcune settimane fa, Sergio D´Elia, Emma Bonino e un gruppo di intellettuali e artisti hanno presentato a Madrid la campagna di Nessuno Tocchi Caino di raccolta firme per una moratoria delle esecuzioni capitali in tutto il mondo, sono stati pochi i mezzi di comunicazione importanti che hanno riportato l´evento. Se invece uno dei concorrenti del "Grande Fratello" si fosse rotto una gamba facendo una capriola, la notizia si sarebbe meritata gli onori della prima pagina...
Invece, per chi non valuta le atrocità solo quantitativamente, ma anche qualitativamente, le vittime della pena di morte hanno una rilevanza speciale. Questi omicidi non accadono nel fragore di un confronto bellico, ma dopo la serenità di una deliberazione giuridica, non soffrono dell´anonimato dei morti sotto un bombardamento; i nomi sono conosciuti e le loro storie studiate molto prima del patimento della loro triste sorte; non sono morti in situazioni eccezionali, come stragi o guerre, ma nella normalità dell´ordine giuridico stabilito. Dal momento in cui conoscono la loro sentenza, cominciano a patirla per settimane, mesi, anche anni prima che giunga l´ora fatale. In alcuni casi, loro per primi hanno commesso crimini brutali ma dopo è l´intera società che nel punirli si abbrutisce a loro immagine e somiglianza. Nella società nella quale continua a vigere la pena di morte, sono tutti i suoi abitanti a doversi addossare le responsabilità del boia che uccide in suo nome...
La condanna a morte non può essere considerata oggi come una punizione giuridica estrema eppure legittima tanto quanto un´altra. In una concezione del diritto civilizzata, le pene legali devono servire a proteggere la società (dissuadendo i potenziali delinquenti dal commettere nuovi crimini) e a rigenerare il colpevole (offrendogli l´occasione di espiare la sua colpa e di cambiare condotta per il futuro). La pena di morte improbabilmente assolve al primo di questi obiettivi, anzi, in molti casi radicalizza la violenza di chi sapendosi già giuridicamente "morto" non conosce incertezza nel continuare a uccidere per sfuggire alla giustizia; e non adempie assolutamente al secondo, perché elimina il delinquente, negandogli ogni possibilità di emendarsi e migliorare. Il diritto penale deve cercare di porre fine al delitto e di recuperare socialmente i delinquenti, una volta puniti: la pena capitale identifica il criminale con il suo crimine e distrugge la persona per porre fine alla sua colpa.
Oggi, in pieno ventunesimo secolo, la pena di morte viene imposta non in base ai reati ma in base ai paesi che li giudicano: in alcuni stati si va al patibolo per atti o comportamenti che in altri luoghi meritano solo una multa o sono addirittura consentiti dal costume. Condotte sessuali che in molti posti fanno parte della libertà inalienabile della persona, vengono punite in altri con il peggiore e più irreparabile dei castighi. Truffe o reati economici che qua portano in carcere per alcuni anni, là possono condurre al patibolo. E si da il paradosso estremo che gli stessi stati che sottoscrivono la loro adesione a leggi internazionali per le quali in nessun caso -neanche per il genocidio, il più grave di tutti - è prevista la pena capitale, applicano poi questa punizione barbara all´interno delle proprie frontiere per reati spesso minori.
Per questo è ormai imprescindibile esigere dalle istituzioni internazionali una moratoria immediata delle esecuzioni capitali in tutti i paesi: perché si apra un periodo di riflessione collettiva e di dibattito sulla pena di morte, su come, quando e a chi si applica. E, sopratutto, se si deve o no continuare a considerare lecito nei sistemi giuridici nazionali una specie di punizione che è stata invece esclusa dalla legislazione internazionale. Se andiamo verso un mondo nel quale nessun reato debba restare impunito in ossequio a un malinteso rispetto della sovranità nazionale, dovremmo anche riuscire a far sparire le punizioni irreversibili ed inumane che solo alcune legislazioni nazionali attualmente prevedono.
Accettare la necessità della pena di morte è accreditare la morte stessa come qualcosa di meritevole e umanamente positivo: crediamo invece che ribellarsi ai disegni della morte sia il dovere principe dell´uomo e della società umana. Anni fa, al filosofo francese Jean-Pierre Faye domandarono che cosa era per lui l´Europa e lui rispose: "L´Europa è dove non c´è la pena di morte". Magari un giorno non troppo lontano potessimo dire lo stesso di tutte le società umane!