28 Giugno 2002 :
Esclusa dai tribunali internazionali per i crimini commessi nella ex Iugoslavia e in Ruanda e da quello permanente che sta per entrare in vigore, oggi possiamo dire che la pena di morte sta sparendo dal diritto internazionale. Da questo prezioso Rapporto di Nessuno tocchi Caino emerge che ormai riguarda una minoranza di paesi, dove però il problema non è tanto la pena di morte ma la mancanza di democrazia, dei fondamenti minimi di uno stato di diritto, di libertà e, soprattutto, di libertà religiosa. Dai media e dalle mobilitazioni di alcune organizzazioni abolizioniste ma anche dagli interventi di alcuni governi europei, sembra invece che la pena di morte sia uno scandalo che esiste solo negli Stati Uniti.E´ come se invece nessuno sapesse o ricordasse, e nessuno fa nulla sul fatto che in Iran avvengono le lapidazioni per adulterio, che gli omosessuali vengono decapitati in Arabia Saudita, che in Iraq 130 prostitute sono state decapitate tra il giugno 2000 e l´aprile 2001 e le teste mozzate esposte per alcuni giorni davanti la porta delle loro case, che esecuzioni tramite crocifissione avvengono nello Yemen e in Sudan, che la pena di morte in Cina è imposta ai cristiani che hanno distribuito Bibbie, ai praticanti del Falun Gong che per protesta tentino il suicidio e ai militanti uiguri accusati di separatismo, che in Vietnam cristiani e buddisti come pure i componenti della minoranza dei Montagnard continuano a subire esecuzioni, arresti, imprigionamenti e torture, che nella Corea del Nord membri di chiese clandestine sono stati uccisi in ragione del loro credo.
Gli stessi nostri intellettuali tacciono su tutto questo o tendono a giustificarlo o a giustificarsi a volte in nome del fatto che, tanto si sa, quelli sono paesi autoritari, quelle sono culture e tradizioni diverse dalle nostre. Non si rendono conto che il loro ´relativismo culturale´ è una forma di razzismo complice e pericoloso quanto ogni altro. Il movimento no global, evidentemente, considera i diritti umani un lusso solo per loro, occidentali e ricchi, e che non si possono permettere un miliardo di cinesi, un altro miliardo di cittadini arabi e africani sottoposti a regimi fondamentalisti o autoritari. Per loro, questi uomini e donne sono esseri inferiori, immaturi per la democrazia, la libertà, lo stato di diritto e, quindi, vanno abbandonati, sono innominati, spacciati una volta per sempre.
Pensano che il problema sia il Corano, non la traduzione letterale, integrale di un testo millenario in leggi penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni. E accettano che un precetto religioso non solo regoli il comportamento di un credente in quella religione, ma valga anche per i non credenti o per i credenti di altre religioni o i credenti in una religiosità diversa.
Dal movimento politico dei no global, come da quello pacifista, non ho ancora visto manifestazioni, sit-in, marce o boicottaggi, men che mai lotte, nei confronti dell´Iraq, del Sudan, dello Yemen, della Cina, contro le lapidazioni, le crocifissioni, le fustigazioni, le mutilazioni genitali femminili così frequenti in questi e in altri paesi. Ho visto pacifisti manifestare nelle strade di Israele, davanti alla sede del governo israeliano, non li ho mai visti, se non a loro difesa, davanti alle sedi dell´Autorità Palestinese. Non li ho mai visti manifestare contro la pena di morte che l´Autorità Palestinese impone con processi sommari che nel giro di poche ore prevedono imputazione, dibattimento, sentenza ed esecuzione della condanna tramite fucilazione. Davanti, dentro quei tribunali non ho mai visto pacifisti, ho visto solo, spesso folle festanti urlanti "Allah è grande".
E´ evidente che nel mondo ci sono condannati a morte di serie A e condannati a morte di serie B. I primi hanno un nome, un volto, una storia da raccontare, un diritto da far valere in un´aula di tribunale e in quegli immensi tribunali che sono le opinioni pubbliche che usufruiscono dell´esercizio dei diritti democratici, del diritto di conoscere per scegliere, confrontarsi, prevalere o soccombere provvisoriamente. Sappiamo chi sono, dove sono detenuti, il giorno in cui verranno "giustiziati". Sono i detenuti nei bracci della morte americani. Dei secondi non sappiamo nulla. Senza nome, senza volto, senza storia e senza speranza, non hanno neanche la dignità di condannati a morte, sono solo i dannati a morte. Sono gli innominati, i dimenticati, i disperati, gli infami della pena di morte. Sono i detenuti nei bracci della morte, nei corridoi, più spesso, cinesi, iracheni, palestinesi, cubani, afghani. Per loro non si fa nulla. Di loro, bene che vada, riusciamo a raccontare, non la storia ma la mera cronaca, la notizia della loro esecuzione. In questi anni, abbiamo sentito molte voci levarsi contro la pena di morte, soprattutto quando il boia era "americano". Ne abbiamo ascoltate poche e di rado sugli esecuzionisti cinesi, afghani, cubani, palestinesi, anche quando sono stati i Fidel Castro e gli Yasser Arafat, i miti viventi del movimento no global, inesistenti per il movimento pacifista se non come (loro!) vittime, a firmare personalmente i decreti di esecuzione.
Per dare voce, speranza, dignità ai dimenticati della pena di morte, una via c´è: la moratoria Onu delle esecuzioni capitali. La moratoria e non l´abolizione tout court. Ma anche una moratoria sarà difficile da raggiungere senza mobilitazione internazionale e lotta nonviolenta a sostegno della battaglia all´Onu, innanzi tutto perché quest´anno l´Unione Europea presenti la proposta di moratoria e la porti al voto. Il tradimento nell´Assemblea Generale dell´Onu del ´99 - quando l´Unione Europea prima presentò e poi ritirò la risoluzione sulla moratoria - si è potuto consumare non solo per limiti e incapacità dell´Europa, ma anche perché non siamo riusciti ad assicurare come minimo, come minimamente necessario, almeno quanto il Partito Radicale ha saputo fare con il Satyagraha mondiale condotto in poche settimane e con successo per l´ingresso delle donne nel governo provvisorio afghano. Oggi, un rilancio della campagna per la moratoria all´Onu è purtroppo concepito e adeguatamente sostenuto solo nel quadro temporale, politico e organizzativo del rilancio in corso nel mondo del Partito Radicale, della sua lotta politica per la vita ovunque del diritto dell´umanità alla democrazia.
Quando, ormai dieci anni fa, con Mariateresa Di Lascia e il Partito Radicale decidemmo di dare alla lotta contro la pena di morte forma organizzata, ritmo e obiettivi intermedi da conseguire in un tempo determinato - intanto una moratoria delle esecuzioni! -, molti ci presero per pazzi, dissennati e velleitari utopisti. Mariateresa aveva proposto il nome della campagna, "Nessuno tocchi Caino", traducendo in modo letterario ma anche più vicino alla lettera dell´Antico Testamento il passo della Genesi. Nelle versioni in uso della Bibbia era ancora scritto "Nessuno uccida Caino", ma lei insisteva sul suo "Nessuno tocchi Caino" che è divenuto poi versione ufficiale del passo biblico con l´Evangelium Vitae nel ´95, quando Mariateresa ci aveva da poco lasciati.
A ben vedere, in questi anni, noi abbiamo dovuto lottare non contro la pena di morte ma contro pessimismi o rassegnazioni, e le visioni manichee, intolleranti, dei fans, dei fanatici dei due campi contrapposti, non meno fra noi abolizionisti che fra i sostenitori della pena di morte. Così come si è arrivati all´abolizione della schiavitù e all´interdizione della tortura, si arriverà all´abolizione anche della pena di morte, ci dicevano poi in molti. Ma in quali tempi? Noi abbiamo cercato di tradurre in tempi politici i tempi storici dell´abolizione, di far diventare politica e diritto, obiettivi e scadenze le opinioni comuni e più diffuse contro la pena di morte, della gente e delle classi dirigenti, delle organizzazioni non governative e delle organizzazioni pubbliche.
La moratoria - la moratoria all´Onu - è il nostro connotato e obiettivo. Non mi pare che su questo ci siano né Amnesty International né la Chiesa Cattolica. La campagna di Amnesty e la nuova posizione della Chiesa - voluta soprattutto da Giovanni Paolo II e determinata, mi pare, più dalle nostre marce a San Pietro che da Sant´Egidio! - hanno avuto e continuano ad avere altri riferimenti, altre parole d´ordine e altri tempi. Abbiamo registrato posizioni dure e pure, "il valore assoluto è la vita", ci dice il Papa, la pena di morte "viola il diritto alla vita", sostiene Amnesty, principi sacrosanti e vacui, buone intenzioni di chi ha l´Assoluto come tema e la Storia o l´Eternità come prospettiva.
Non è così. Il principio sacrosanto quanto vago del "diritto alla vita", suona falso se non vi è innanzi tutto "vita del diritto", se non diamo vita al corpo delle leggi e vita, corpo, forza alla lotta perché le leggi siano rispettate. Non vi può essere diritto alla vita senza vita del diritto. E il valore della vita può essere colto e letteralmente apprezzato molto spesso "a costo" di compromessi. Sull´aborto come sulla droga e sull´eutanasia preferisco un piccolo passo in avanti sulla via del diritto e della legalità, la loro regolamentazione, piuttosto che il ´no´ in assoluto che poi si traduce nella realtà dell´aborto clandestino, della droga in mano alla mafia, dell´eutanasia per mano di familiari o personale medico e paramedico compiacente o comprensivo, condannati all´illegalità. Così pure per l´abolizione della pena di morte, nessun fondamentalismo. Anzi dirò di più e, da abolizionista convinto quale sono, può sembrare una bestemmia. Alla petizione di principio contro la pena di morte - declamatoria e inconcludente - oppongo la certezza e la urgenza dei piccoli passi in avanti sulla via del diritto e della legge.
Non credo siano pochi nel mondo i casi in cui allo strapotere della criminalità organizzata e alla violenza omicida, la gente si difenda facendosi giustizia da sé o uno stato risponda con esecuzioni sommarie ed extragiudiziali. Non credo ci sia un nesso tra il divieto della pena di morte o la moratoria legale in atto in un paese e i fenomeni di giustizia privata o sommaria. Se così fosse, non avrei dubbi su quale sistema scegliere, accetterei un sistema fondato sulle regole dello Stato democratico di diritto, anche se una di queste regole è la pena di morte; lotterei per conquistare alla giustizia, alla certezza del diritto e ai vincoli della legge sempre più nuovo terreno. Non dico nulla di nuovo da questo punto di vista: la legge del taglione è superiore a quella della giungla, perché è legge, regola primitiva e terribile, ma pur sempre regola. Non dimentichiamo che il "processo", anche capitale, è nato come risposta al delitto, ma anche come alternativa al linciaggio e alle forche erette dalla giustizia popolare, e ha rappresentato sicuramente un´evoluzione in termini di diritto e di garanzie dell´imputato.
La conquista di un nuovo diritto umano come è l´abolizione della pena di morte, non può essere frutto di proibizionismi giuridici, non può essere imposta per decreto né può essere la lezione presuntuosa di civiltà che gli abolizionisti civilizzati impartiscono agli esecuzionisti da civilizzare. La proposta stessa di una moratoria della pena di morte è certo un compromesso, un compromesso con la pena di morte, un luogo di incontro, il minimo comune denominatore tra abolizionisti e mantenitori: i paesi che la hanno abolita fanno un passo verso coloro che ancora la prevedono nelle leggi e la praticano, i paesi che la mantengono e la praticano fanno un passo verso gli abolizionisti e, pur mantenendola nei codici, decidono di non eseguirla. E´ un compromesso creativo, perché per esperienza noi sappiamo che dopo uno, due, tre anni di moratoria, difficilmente si ritorna indietro; spesso si procede verso la completa abolizione: lo hanno fatto il Sudafrica e molti paesi della ex-Urss.
Grazie al Partito Radicale e a Emma Bonino, per la prima volta nel 1994, il governo italiano, solo contro tutti, ha presentato una risoluzione per la moratoria delle esecuzioni all´Assemblea Generale dell´Onu, a New York. L´Unione Europea non era d´accordo con l´iniziativa che considerava velleitaria. Perdemmo per soli otto voti, ma fu come aver buttato un sasso nello stagno. Negli anni successivi e per sei volte la risoluzione è stata approvata con la maggioranza assoluta dei voti nella Commissione per i diritti umani di Ginevra. Negli ultimi dieci anni, una trentina di paesi hanno rinunciato alla pena di morte. Non è stata l´evoluzione naturale di un processo storico, ma il risultato di una campagna politica. C´è un nesso diretto tra la nostra iniziativa all´Onu e le moratorie e i cambiamenti avvenuti nella situazione della pena di morte nel mondo.