Prefazione al Rapporto 2014 di Boni Yayi, Presidente della Repubblica del Benin

12 Gennaio 2017 :

PREFAZIONE
di Boni Yayi
Presidente della Repubblica del Benin


Il 18 luglio 2014, l’organizzazione non governativa «Nessuno tocchi Caino» mi ha conferito il Premio l’Abolizionista dell’Anno 2014.
E’ un premio che va oltre la mia persona, perché è un riconoscimento che onora tutto il popolo del Benin, per i molteplici sforzi che ci hanno permesso di passare coraggiosamente, nel corso di questi ultimi cinque anni, dallo status di abolizionista de facto a quello di abolizionista de jure.
Considerando le esecuzioni capitali come dei trattamenti crudeli, disumani e degradanti, il mio Governo, fedele alla tradizione stabilita dai suoi predecessori che hanno sospeso l’applicazione della pena di morte dal 1987, dimostra la volontà di rispettare scrupolosamente lo spirito e la lettera della Costituzione del Benin che, all’Articolo 15, stabilisce che «ogni individuo ha il diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza e all’integrità della sua persona».
Il Benin è felice e fiero di appartenere ormai a questa categoria di Paesi che nel mondo praticano e privilegiano quotidianamente il rispetto del diritto alla vita.
Si tratta, per il mio Paese, della massima espressione del suo attaccamento alla vita.
Rendo un meritato omaggio ai parlamentari del mio Paese che hanno accompagnato questa iniziativa per l’abolizione della pena di morte in Benin, autorizzando la ratifica del Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.
«Non voglio la morte del peccatore, ma la sua conversione », recitano le Sacre Scritture.
Meditando sulla profondità di queste parole ho maturato la convinzione che la questione della pena di morte è una delle tante questioni relative al governare.
E’ per questa ragione che, a partire dalla mia elezione alla guida del Benin nel 2006, ho iscritto l’abolizione della pena capitale nel mio Paese tra le grandi riforme da realizzare.
Dopo la mia rielezione nel 2011, gli importanti progressi compiuti sul cammino dell’abolizione nel corso del mio primo quinquennio hanno permesso di concludere rapidamente il processo nel 2012.
Per il Governo che dirigo, è di massima importanza lasciare in eredità ai giovani e alle generazioni future un patrimonio di valori, di punti di riferimento e di risultati ottenuti tra cui figuri in grande evidenza il rispetto del carattere sacro della vita della persona umana.
Non vi è dubbio che le questioni che attengono all’abolizione della pena di morte in un Paese sono gravi e riguardano diversi livelli della società.
Fare la scelta di abolire la pena capitale presuppone in effetti che si sia trovata una risposta adeguata a una domanda essenziale: se le giurisdizioni non sono più autorizzate a emettere condanne capitali che se ne farà dei criminali pericolosi?
Le risposte a questa domanda non sono semplici. Esse costituiscono per molti Paesi, in particolare per quelli in via di sviluppo come il mio, delle sfide molto serie per l’amministrazione della giustizia penale.
L’assassino minaccia senza dubbio l’ordine sociale; alla società in cui ha commesso il suo reato il criminale suscita una paura che si presume sparisca solo con la sua stessa sparizione per mezzo di una pena che gli viene imposta da quella collettività che è stata vittima della sua malefatta.
Tuttavia, la storia insegna che le punizioni più crudeli, più infamanti e più spaventose non sono riuscite a far sparire dalle società i crimini contro i quali erano state applicate.
Senza dubbio questo si spiega con il fatto che, nei calcoli dell’assassino, in effetti, non vi è che poco o nessuno spazio per la paura di un castigo. Per l’assassino la punizione non riguarda la sfera della certezza ma solo quella della possibilità; di conseguenza, con un po’ di fortuna, di intelligenza o con qualche stratagemma è possibile scamparla. La conclusione a cui giunge il criminale è dunque molto semplice e potrebbe riassumersi con la domanda seguente: perché temere un castigo severo, una punizione, una pena che può riguardare solo altri?
Dalla risposta a questa domanda deriva la chiara inefficacia, comprovata da generazioni, dell’effetto dissuasivo della pena di morte.
Infatti, nessuno studio ha finora potuto dimostrare che l’applicazione della pena capitale permetta di ridurre il tasso di criminalità di un Paese.
Il male è una componente della natura umana e nessuna legge ha potuto finora impedire la commissione di un crimine.
Sembrerebbe più utile dare una seconda possibilità al responsabile di un crimine, il quale in realtà acquisisce questo status sociale perché è egli stesso vittima di uno o di molteplici aspetti della società in cui vive.
Si tratta dunque di trovare i modi per conciliare l’evoluzione del diritto verso una maggior umanità con l’applicazione di una pena che aiuti a correggere e a riorientare chi si è perso o è finito ai margini della società.
Le nostre istituzioni devono operare in modo tale da far prevalere la nostra sorveglianza preventiva piuttosto che il rigore delle nostre leggi.
E’ confortante notare che la consapevolezza dell’inutilità della pena di morte è condivisa da un numero sempre maggiore di persone nel mondo.
A oggi, 161 Stati, vale a dire più dei due terzi dei Paesi del pianeta, hanno abolito la pena di morte, di diritto o nella pratica.
Anche se rimane ancora in 37 Paesi, a fronte dei progressi registrati dal movimento abolizionista nel corso dell’ultimo decennio, è lecito sperare che, nonostante le nostre differenze, al di là delle nostre culture, delle nostre nazionalità e delle nostre razze, grazie ai nostri sforzi congiunti, fra qualche anno la pena di morte sarà solo un ricordo del passato, nella memoria collettiva dell’umanità.
In Benin, noi accogliamo il Premio dell’Abolizionista dell’Anno come un riconoscimento dei nostri sforzi al fianco di altri Paesi nella lotta per l’abolizione della pena di morte, ma anche come un appello a continuare ad andare avanti per infondere un nuovo slancio al trend positivo del movimento abolizionista.
Vorrei rassicurare il mondo intero che il mio Paese è pronto a giocare pienamente la sua parte in questa battaglia.