I fatti più importanti del 2011 (e dei primi sei mesi del 2012)

03 Marzo 2017 :

SINTESI DEL RAPPORTO 2012


La situazione ad oggi

L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre dieci anni, si è confermata nel 2011 e anche nei primi sei mesi del 2012.

I Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 155. Di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 99; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 7; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 5; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 44.

I Paesi mantenitori della pena di morte nel 2011 sono saliti a 43 rispetto ai 42 del 2010 sol perché il Sudan del Sud ha guadagnato l’indipendenza dal Sudan nel luglio del 2011 mantenendo la pena di morte. I Paesi mantenitori sono comunque progressivamente diminuiti nel corso degli ultimi anni: erano 45 nel 2009, 48 nel 2008, 49 nel 2007, 51 nel 2006 e 54 nel 2005.

Nel 2011, i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati 19, rispetto ai 22 del 2010, ai 19 del 2009 e ai 26 del 2008.

Nel 2011, le esecuzioni sono state almeno 5.000, a fronte delle almeno 5.946 del 2010, delle almeno 5.741 del 2009 e delle almeno 5.735 del 2008. Il calo delle esecuzioni rispetto agli anni precedenti si giustifica con il significativo calo delle esecuzioni stimato in Cina che sono passate dalle circa 5.000 del 2010 alle circa 4.000 del 2011.

Nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012, non si sono registrate esecuzioni in 4 Paesi – Bahrein, Guinea Equatoriale, Libia e Malesia – che le avevano effettuate nel 2010.

Viceversa, 4 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Afghanistan (2) e Emirati Arabi Uniti (1) nel 2011; Botswana (1) e Giappone (3) nel 2012.

Negli Stati Uniti, nessuno Stato “abolizionista” ha reintrodotto la pena di morte, ma l’Idaho, che non compiva esecuzioni dal 1994, ne ha effettuate due, una nel 2011 e un’altra nel 2012.

Ancora una volta, l’Asia si conferma essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se stimiamo che in Cina vi sono state circa 4.000 esecuzioni (circa mille in meno rispetto al 2010), il dato complessivo del 2011 nel continente asiatico corrisponde ad almeno 4.931 (il 98,6%), in calo rispetto al 2010 quando erano state almeno 5.855.

Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico Paese del continente che ha compiuto esecuzioni (43) nel 2011.

In Africa, nel 2011, la pena di morte è stata eseguita in 4 Paesi (erano stati 6 nel 2010) e sono state registrate almeno 24 esecuzioni: Somalia (almeno 11), Sudan (almeno 7), Sudan del Sud (5), Egitto (almeno 1). Nel 2010 le esecuzioni effettuate in tutto il continente erano state almeno 43, nel 2009 almeno 19, come nel 2008 e contro le almeno 26 del 2007 e le 87 del 2006.

In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte. Nel 2011 due uomini sono stati giustiziati per omicidio e altri due sono stati fucilati nel 2012.

Cina, Iran e Arabia Saudita i primi paesi boia del 2011

Dei 43 mantenitori della pena di morte, 36 sono Paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. In 17 di questi Paesi, nel 2011, sono state compiute almeno 4.952 esecuzioni, il 99% del totale mondiale.

Un Paese solo, la Cina, ne ha effettuate circa 4.000, l’80% del totale mondiale; l’Iran ne ha effettuate almeno 676; l’Arabia Saudita almeno 82; l’Iraq almeno 68; lo Yemen almeno 41; la Corea del Nord almeno 30; il Vietnam almeno 17; la Somalia almeno 11; il Sudan almeno 7; il Bangladesh almeno 5; il Sudan del Sud 5; l’Autorità Nazionale Palestinese (Striscia di Gaza) 3; l’Afghanistan 2; la Bielorussia 2; l’Egitto almeno 1; la Siria almeno 1; gli Emirati Arabi Uniti 1.

Molti di questi Paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.

A ben vedere, in molti di questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.

Sul terribile podio dei primi tre Paesi nel mondo che nel 2011 hanno compiuto più esecuzioni figurano tre Stati autoritari: Cina, Iran e Arabia Saudita.

Cina, primatista di esecuzioni (anche se continuano a diminuire)

Anche se la pena di morte continua a essere considerata in Cina un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie, anche di fonte ufficiale, in base alle quali condanne a morte ed esecuzioni sarebbero via via diminuite rispetto all’anno precedente.

Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal 1° gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema.

Un esperto cinese, Liu Renwen, professore di diritto e direttore del dipartimento di diritto penale dell’Istituto di diritto dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali, ha detto a un forum sulla pena di morte a Suzhou il 30 novembre 2011 che nei quattro anni da quando la Corte Suprema del Popolo ha riacquistato il potere di condurre la revisione finale delle condanne a morte, il numero delle esecuzioni è diminuito di oltre il 50 per cento. Nel 2006, media statali avevano riportato le stime del professor Liu secondo cui il numero di circa 8.000 esecuzioni all’anno era allora un dato ‘realistico’.

Questi dati sono stati confermati nel corso di un importante seminario sulla pena di morte che si è svolto dal 1° al 3 dicembre 2011 a Hangzhou, organizzato congiuntamente dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e dal Ministero degli Affari Esteri cinese, assistito dall’Istituto di Diritto dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali. Hanno partecipato oltre 30 studiosi e funzionari cinesi, alcuni dei quali si ritiene abbiano accesso alle statistiche su condanne a morte ed esecuzioni.

La Corte Suprema del Popolo nel 2011 ha trattato 11.867 casi di vario tipo e ne ha definiti 10.515, in diminuzione rispetto al 2010 quando i casi trattati erano stati 12.086 e quelli conclusi 10.626. E’ da ritenere che per la stragrande maggioranza di questi casi si tratta della revisione di condanne a morte, considerato che la Corte Suprema non ha giurisdizione su molti altri casi.

Se le cose stanno così, una stima approssimativa ma realistica sarebbe quella che fissa il numero delle condanne a morte del 2011, tra quelle definitive e quelle sospese per due anni, intorno alle 9.400, in lieve calo rispetto al 2010.

Nel suo Rapporto del 2011, la Corte Suprema ha reso noto che continuerà a ridurre il numero delle esecuzioni facendo in modo che a essere giustiziati siano solo un piccolo numero di criminali estremamente pericolosi.

Il 25 febbraio 2011, il Congresso Nazionale del Popolo ha approvato l’emendamento al Codice Penale che riduce di 13 il numero dei reati punibili con la pena di morte, portandoli a 55. Le nuove norme sono entrate in vigore il 1° maggio 2011. I 13 reati sono di natura economica e non violenta, e i cambiamenti non ridurranno di molto il numero dei giustiziati dal momento che riguardano reati che raramente comportano la condanna capitale degli imputati.

Il 14 marzo 2012, l’11° Congresso Nazionale del Popolo ha approvato a stragrande maggioranza un emendamento che riforma la legge di procedura penale cinese in senso più garantista. Per la prima volta, la riforma chiarisce che le confessioni estorte con mezzi illegali, come la tortura, le deposizioni dei testimoni e le testimonianze delle vittime ottenute illegalmente, ad esempio mediante violenza o minacce, devono essere escluse durante i processi. L’emendamento è entrato in vigore il 1° gennaio 2012.

Iran, di nuovo secondo sul podio della disumanità

Anche nel 2011, l’Iran si è piazzato al secondo posto quanto a numero di esecuzioni e, insieme a Cina e Arabia Saudita, sale così sul terribile podio dei primi tre Stati-boia al mondo.

Secondo un monitoraggio effettuato da Iran Human Rights (IHR), ONG con sede in Norvegia che si batte contro la pena di morte nella Repubblica Islamica, nel 2011 in Iran sono state effettuate almeno 676 esecuzioni, un aumento spaventoso rispetto agli anni precedenti e con un drastico aumento delle esecuzioni in pubblico. Nel 2010, Iran Human Rights aveva calcolato almeno 546 esecuzioni e almeno 402 esecuzioni nel 2009.

Ma i dati reali potrebbero essere ancora più alti, se si considerano le notizie diffuse da fonti indipendenti come ex detenuti, familiari e avvocati di condannati a morte.

L’esecuzione di minorenni è proseguita nel 2011, fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Almeno 4 persone sono state impiccate, dopo essere state condannate per reati commessi quando avevano meno di 18 anni. Due di loro erano ancora sotto i 18 anni nel momento in cui sono state giustiziate. Due altri minorenni sarebbero stati giustiziati nel 2011 secondo fonti non ufficiali. Nel 2010, erano stati giustiziati almeno 2 minorenni e almeno 5 nel 2009.

Nel gennaio 2012, è stato approvato un nuovo codice penale che vieterebbe la pena di morte per gli adolescenti di età inferiore a 18 anni che non hanno ancora raggiunto la “maturità intellettuale”, ma alcuni esperti che hanno studiato il nuovo codice hanno messo in dubbio che l’Iran abbia completamente abolito la pena di morte per i condannati di età inferiore ai 18 anni.

Nel 2011, le esecuzioni pubbliche sono più che triplicate con almeno 65 persone impiccate sulla pubblica piazza. Questo è il più alto numero di esecuzioni pubbliche in più di 10 anni. Le esecuzioni pubbliche sono continuate nel 2012 e, al 30 giugno, erano state impiccate in posti aperti al pubblico almeno 31 persone.

Nel 2011, l’Iran ha continuato ad applicare la pena di morte per reati chiaramente non violenti. Nel mese di settembre, tre uomini sono stati impiccati nel carcere di Ahwaz, dopo essere stato giudicati colpevoli di reati connessi all’omosessualità.

L’applicazione della pena di morte con condanne ed esecuzioni per motivi essenzialmente politici è continuata in Iran anche nel 2011. Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” erano in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, kurdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte.

Almeno 3 delle persone giustiziate nel gennaio 2011 erano state arrestate in relazione alle proteste seguite alle elezioni farsa del giugno 2009 che avevano portato alla riconferma di Mahmoud Ahmadinejad.

Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.

Arabia Saudita, esecuzioni triplicate

L’Arabia Saudita aveva alcuni anni fa un numero di esecuzioni tra i più alti al mondo, ma negli ultimi anni si era registrato un sensibile calo, dovuto anche a qualche piccola riforma nel sistema penale.

Nel 2011, però, le esecuzioni sono triplicate rispetto all’anno precedente. Almeno 76 condannati a morte sono stati giustiziati nel 2011, secondo un conteggio tenuto dalla Agence France Presse, mentre Amnesty International ritiene che l’Arabia Saudita abbia effettuato almeno 82 esecuzioni, tra cui quelle di cinque donne e di 28 stranieri.

Nel 2012, al 26 giugno, erano già 45 le persone giustiziate in Arabia Saudita, secondo un conteggio tenuto dall’agenzia AFP sulla base di notizie ufficiali.

Democrazia e pena di morte

Dei 43 Paesi mantenitori della pena capitale, sono solo 7 quelli che possiamo definire di democrazia liberale, con ciò considerando non solo il sistema politico del Paese, ma anche il sistema dei diritti umani, il rispetto dei diritti civili e politici, delle libertà economiche e delle regole dello Stato di diritto.

Le democrazie liberali che nel 2011 hanno praticato la pena di morte sono state 2 e hanno effettuato in tutto 48 esecuzioni, l’1% del totale mondiale: Stati Uniti (43) e Taiwan (5). Nel 2010 erano state 4 (Stati Uniti, Taiwan, Giappone e Botswana) e avevano effettuato in tutto 53 esecuzioni.

In Indonesia, il 2011 è stato il terzo anno consecutivo senza esecuzioni dal 2004, mentre l’India non ha eseguito condanne a morte per il settimo anno consecutivo.

Botswana e Giappone hanno invece ripreso le esecuzioni nel 2012.

Stati Uniti: continuano a diminuire esecuzioni, condanne e detenuti nel braccio della morte

Nel 2011 le esecuzioni sono state 43, contro le 46 dell’anno precedente e le 52 del 2009. È la terza cifra più bassa negli ultimi 17 anni.

Le esecuzioni sono avvenute in 13 diversi Stati: Texas (13); Alabama (6); Ohio (5); Georgia e Arizona (4); Florida, Mississippi e Oklahoma (2); Delaware, Idaho, Missouri, South Carolina e Virginia (1).

Nei primi sei mesi del 2012, sono state effettuate 23 esecuzioni in 8 Stati.

Le condanne a morte sono state 78, un fortissimo calo rispetto agli anni precedenti nei quali non erano mai scese sotto 100. Nel 2010 erano state 114, nel 2009 erano state 112 e nel 2008 erano state 111.

Il 1° gennaio 2012 nei bracci della morte c’erano 3.189 persone. Alla stessa data dell’anno precedente erano 72 di più.

Il 1° luglio 2011 in Illinois e il 25 aprile 2012 in Connecticut sono entrate in vigore le nuove leggi che hanno abolito la pena di morte nei due Stati. In Oregon il 22 novembre 2011 è stata istituita una moratoria che durerà 3 anni.

Reggono ancora le moratorie che si sono determinate de facto nelle giurisdizioni in cui vige la pena di morte ma non vengono compiute esecuzioni da almeno 10 anni: Colorado (ultima esecuzione nel 1997), Kansas (1965), Nebraska (1997), New Hampshire (1939), Oregon (1997), Pennsylvania (1999), Wyoming (1997) e Amministrazione Militare (1961).

Nel 2010 è accaduto che l’unica casa farmaceutica autorizzata a produrre e vendere il Pentothal negli Stati Uniti, la Hospira Inc. con sede in Illinois, per problemi legati alla sua linea di produzione oltre che alla scarsa richiesta del mercato americano, ha prima deciso di trasferirla presso una sua sussidiaria italiana e, dopo una intensa campagna condotta in particolare da Nessuno tocchi Caino e la britannica Reprieve, nel gennaio 2011 ha deciso di chiudere definitivamente la linea di produzione per evitare alla radice il rischio che il barbiturico finisse in qualche modo nei penitenziari americani.

Per la penuria di Pentothal o per l’imminente data di scadenza delle scorte del farmaco su tutto il territorio nazionale, molti Stati americani sono stati costretti a sospendere o a rinviare le esecuzioni. In mancanza del Pentothal, alcuni Stati hanno pensato anche di acquistarlo all’estero, ma quando ci si è resi conto che stanti le leggi vigenti queste importazioni erano a rischio di essere dichiarate irregolari, hanno modificato i loro protocolli inserendo un barbiturico di nuova generazione, il Pentobarbital. A seguito della scarsità sia di Sodio Tiopentale che di Pentobarbital, nel maggio 2012 il Missouri ha adottato un nuovo farmaco, il Propofol.

Oltre alla questione degli errori giudiziari, che ha animato il dibattito politico negli anni recenti, sta prendendo piede la questione dei “costi della pena di morte”. Alcuni studi hanno calcolato che circa la metà delle condanne a morte emesse in primo grado viene poi annullata nei gradi successivi e convertita in condanne all’ergastolo. Altri studi hanno accertato che, anche nei casi in cui una condanna a morte “regge”, tenere una persona all’ergastolo tutta la vita costa fino a 20 volte di meno che tenerla nel braccio della morte solo qualche anno e poi giustiziarla. In media negli Stati Uniti una condanna a morte costa tra 1 e 3 milioni di dollari, contro i 500.000 dollari di costo di una condanna all’ergastolo senza condizionale. Allora, sta sempre più prendendo piede un’idea alternativa: rinunciare ai processi capitali, che di solito si svolgono contro persone sulle quali esistono già prove convincenti, e dedicare i fondi risparmiati alla riapertura di casi archiviati, per andare alla ricerca di assassini non ancora individuati.

Il 19 giugno 2011, in California, il Los Angeles Times ha pubblicato i punti salienti di uno studio realizzato da un giudice e da una professoressa universitaria. Lo studio ha calcolato che da quando la pena di morte è stata reintrodotta in California nel 1978, i cittadini, attraverso le tasse, l’hanno pagata oltre 4 miliardi di dollari o, per vederla sotto un’altra forma, i cittadini hanno speso circa 308 milioni di dollari per ognuna delle 13 esecuzioni che ci sono state dal 1978 ad oggi. Il 6 novembre 2012 si terrà in California un referendum per abolire la pena di morte.

Giappone, ripresa delle esecuzioni nel 2012

Il 29 marzo 2012, tre detenuti sono stati impiccati nelle prigioni di Tokyo, Hiroshima e Fukuoka dopo essere stati riconosciuti colpevoli di omicidio.

E’ la seconda volta che il Giappone pratica esecuzioni da quando nel settembre 2009 il Partito Democratico del Giappone è giunto al potere. Le ultime esecuzioni risalivano al luglio 2010, quando due uomini furono impiccati in un carcere di Tokyo.

Nel 2011, per la prima volta in quasi 20 anni, nessun prigioniero è stato messo a morte nel Paese. Prima del cambio di governo, nel 2009 erano stati giustiziati 7 detenuti.

Indonesia

In Indonesia, il 2011 è stato il terzo anno consecutivo senza esecuzioni dal 2004. Le ultime sono state effettuate nel novembre del 2008, quando sono stati giustiziati i “dinamitardi di Bali” Amrozi, Mukhlas e Imam Samudra.

E’ difficile pronosticare che la moratoria di fatto durerà per sempre o che l’Indonesia abolirà le condanne a morte, è evidente però un cambio di atteggiamento, dovuto anche a una sentenza della Corte Costituzionale del 2008 che afferma che la pena capitale dovrebbe essere applicata con parsimonia e che anche ai detenuti del braccio della morte dovrebbero essere concessa una chance di riabilitazione.

India

Nel 2011, per il settimo anno consecutivo, l’India non ha eseguito condanne a morte. La prima – e per ora unica – esecuzione dopo nove anni di una moratoria di fatto è stata effettuata il 14 agosto 2004, quando Dhananjoy Chatterjee è stato impiccato nella prigione di Calcutta per aver violentato e ucciso una ragazzina.

A parte quelle disposte in sede giurisdizionale, nel 2011 otto altre commutazioni sono state decise dalla Presidente indiana Pratibha Devisingh Patil, la quale ha in linea di massima accolto domande di grazia relative a casi in cui lo stesso Ministero degli Interni aveva consigliato la commutazione in ergastolo. Nei primi sei mesi del 2012, altre dodici commutazioni sono state decise dalla Presidente indiana Pratibha Devisingh Patil.

La Presidente Patil è risultata essere il più “misericordioso” di tutti i presidenti negli ultimi tre decenni, avendo commutato in ergastolo le condanne a morte di 38 condannati a morte, che è oltre il 90 per cento del totale delle clemenze concesse dal 1981. Durante il suo mandato, che è scaduto a luglio, la Patil ha respinto le richieste di grazia di solo cinque persone.

Taiwan

Il 30 aprile 2010, Taiwan ha ripreso le esecuzioni dopo cinque anni di sospensione. Quattro persone sono state giustiziate dopo essere state riconosciute colpevoli di omicidio e sequestro. Queste esecuzioni sono le prime sull’isola a partire dal dicembre 2005, quando due uomini condannati a morte per omicidio sono stati giustiziati nella prigione di Taichung.

Il 4 marzo 2011, altri cinque prigionieri del braccio della morte sono stati giustiziati tramite fucilazione a Taipei, Taichung e Kaohsiung.

Botswana

Il numero delle esecuzioni, spesso effettuate in segreto, è sempre stato molto basso, una o al massimo due all’anno. Per la prima volta dopo molti anni, nel 2004 e nel 2005, non si è registrata alcuna esecuzione. Tra il 2006 e il 2010 sono state effettuate cinque esecuzioni, una all’anno.

Nel 2011 non sono state effettuate esecuzioni, che sono riprese il 31 gennaio 2012, quando è stato impiccato Zibani Thamo, un detenuto finito nel braccio della morte per omicidio.

Europa libera dalla pena di morte, se non fosse per la Bielorussia e la Russia

L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, Paese che anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare i suoi cittadini. Nel 2011, sono stati fucilati due uomini per omicidio. Altri due uomini sono stati giustiziati nel 2012 per terrorismo.

La Russia, sebbene ancora Paese mantenitore, è impegnata invece ad abolire la pena di morte in quanto membro del Consiglio d’Europa e dal 1996 rispetta una moratoria legale delle esecuzioni.

Per quanto riguarda il resto dell’Europa, tutti gli altri Paesi l’hanno abolita in tutte le circostanze.

Abolizioni legali, di fatto e moratorie

Il trend mondiale verso l’abolizione di diritto o di fatto della pena di morte in corso ormai da oltre dieci anni ha trovato una ulteriore conferma anche nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012.

Dopo che nel 2010, 2 Paesi hanno cambiato status rafforzando ulteriormente il fronte a vario titolo abolizionista, altri 3 lo hanno fatto nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012.

Nell’aprile del 2011, la Guinea ha superato dieci anni senza praticare la pena di morte e quindi va considerata abolizionista di fatto.

Nel gennaio del 2012, la Lettonia ha abolito completamente la pena di morte.

Nel marzo 2012, la Mongolia ha ratificato il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), relativo all’abolizione della pena di morte.

Nel luglio 2012, anche il Benin è divenuto parte del Secondo Protocollo Opzionale relativo all’abolizione della pena di morte.

Negli Stati Uniti, nel luglio 2011 in Illinois e nell’aprile 2012 in Connecticut sono entrate in vigore le nuove leggi che hanno abolito la pena di morte nei due Stati. In Oregon nel novembre 2011 è stata istituita una moratoria che durerà 3 anni.

Nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012, ulteriori passi politici e legislativi verso l’abolizione o fatti comunque positivi come commutazioni collettive di pene capitali si sono verificati in numerosi Paesi.

Nel marzo 2011, le Maldive si sono impegnate a mantenere la moratoria delle esecuzioni capitali in vista della abolizione formale della pena di morte.

Nel settembre 2011, il Suriname si è impegnato a formalizzare il suo ultradecennale mancato uso della pena capitale, abolendo tutte le disposizioni di legge che la prevedono.

Nel marzo 2011, la Liberia ha ribadito di rimanere impegnata a onorare gli impegni internazionali sui diritti umani, compresa l’abolizione della pena di morte.

Nel marzo 2011, la Mauritania ha ribadito l’impegno a una abolizione di fatto della pena di morte.

Continua a essere rispettata in Nigeria la “moratoria autoimposta” sulle esecuzioni in atto dal 2006.

Nel giugno 2012, il Governo del Ghana ha accettato la raccomandazione della Commissione di Revisione Costituzionale che la pena di morte sia completamente abolita.

Vi è poi stato un numero significativo di amnistie o commutazioni delle condanne a morte in Etiopia, Uganda, Marocco, Sierra Leone, Zambia e Birmania.

Ripresa delle esecuzioni

Sul fronte opposto, nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012, 4 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Afghanistan (2) ed Emirati Arabi Uniti (1) nel 2011; Botswana (1) e Giappone (3) nel 2012.

Alcuni di essi lo hanno fatto dopo anni di sospensione.

Nel febbraio del 2011, gli Emirati Arabi Uniti hanno ripreso le esecuzioni dopo tre anni di sospensione.

Nel giugno del 2011, l’Afghanistan ha ripreso le esecuzioni dopo due anni di sospensione.

Negli Stati Uniti, l’Idaho, che non compiva esecuzioni dal 1994, ne ha effettuate due, una nel 2011 e un’altra nel 2012.

Pena di morte in base alla Sharia

Nel 2011, almeno 898 esecuzioni, contro le almeno 823 del 2010, sono state effettuate in 12 Paesi a maggioranza musulmana (erano stati 13 nel 2010), molte delle quali ordinate da tribunali islamici in base a una stretta applicazione della Sharia.

Sono 18 i Paesi mantenitori che hanno nei loro ordinamenti giuridici richiami espliciti alla Sharia.

Ma il problema non è il Corano, perché non tutti i Paesi islamici che a esso si ispirano praticano la pena di morte o fanno di quel testo il proprio codice penale, civile o, addirittura, la propria legge fondamentale. Il problema è la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi cambiamento democratico.

Dei 47 Paesi a maggioranza musulmana nel mondo, 23 possono essere considerati a vario titolo abolizionisti, mentre i mantenitori della pena di morte sono 24, dei quali 12 l’hanno praticata nel 2011.

Impiccagione, decapitazione e fucilazione, sono stati i metodi con cui è stata applicata la Sharia nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012.

La lapidazione

Tra le punizioni islamiche, la lapidazione è la più terribile. Il condannato viene avvolto da capo a piedi in un sudario bianco e interrato. La donna viene interrata fino alle ascelle, mentre l’uomo fino alla vita. Un carico di pietre viene portato sul luogo e funzionari incaricati – in alcuni casi anche semplici cittadini autorizzati dalle autorità – effettuano la lapidazione. Le pietre non devono essere così grandi da provocare la morte con uno o due colpi in modo da poter provocare una morte lenta e dolorosa. Se il condannato riesce in qualche modo a sopravvivere alla lapidazione, verrà imprigionato per almeno 15 anni ma non verrà giustiziato.

Nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012, non risulta siano state eseguite né comminate condanne a morte tramite lapidazione.

Nel gennaio 2012, l’Iran ha approvato un nuovo codice penale che vieterebbe l’esecuzione mediante lapidazione per le persone condannate per adulterio, ma alcuni esperti che hanno studiato il nuovo codice hanno messo in dubbio che l’Iran abbia abbandonato tale pratica.

Nel luglio 2012, un tribunale del Sudan ha condannato alla lapidazione una donna per aver commesso adulterio.

Comunque, nel 2011 e nel 2012, lapidazioni extra-giudiziarie per adulterio sono state effettuate in Afghanistan in zone controllate dai Talebani, in Somalia a opera di miliziani Al-Shabaab e in Mali a opera di estremisti islamici che controllano il Nord del Paese.

L’impiccagione, ma non solo…

Tra i metodi di esecuzione di sentenze capitali in base alla Sharia, il più diffuso è l’impiccagione, la quale è preferita per gli uomini ma non risparmia le donne.

Impiccagioni in base alla Sharia sono state effettuate nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012 in Palestina, Egitto, Iran, Iraq e Sudan.

L’impiccagione è spesso eseguita in pubblico e combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione.

L’impiccagione in versione iraniana avviene di solito tramite delle gru o piattaforme più basse per assicurare una morte più lenta e dolorosa. Come cappio viene usata una robusta corda oppure un filo d’acciaio che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte. Il 12 luglio 2011, la Tadano, società giapponese produttrice di gru, ha comunicato di non voler più stipulare contratti con il governo iraniano a seguito di una “Campagna sulle Gru” lanciata dall’associazione UANI (Uniti Contro l’Iran Nucleare), che ha pubblicato sul suo sito una lista di otto multinazionali che inviano in Iran gru o loro parti, con tanto di foto di gru utilizzate per effettuare impiccagioni in pubblico. L’8 agosto 2011, un altro produttore di gru giapponese, UNIC, ha annunciato la fine della sua attività in Iran, unendosi alla Tadano e alla Terex che si erano già ritirate dal commercio con l’Iran in seguito alla Campagna sulle Gru della UANI.

La decapitazione

La decapitazione come metodo “legale” per eseguire sentenze in base alla Sharia è un’esclusiva dell’Arabia Saudita. Come “esecuzioni extragiudiziarie” andrebbero invece classificate le decapitazioni effettuate in Somalia dagli estremisti islamici di Al-Shabaab.

In Arabia Saudita, l’esecuzione avviene di solito nella città dove è stato commesso il crimine, in un luogo aperto al pubblico vicino alla moschea più grande. Il condannato viene portato sul posto con le mani legate e costretto a chinarsi davanti al boia, il quale sguaina una lunga spada tra le grida della folla che urla “Allahu Akbar!” (Dio è grande). A volte, alla decapitazione segue anche l’esposizione in pubblico dei corpi dei giustiziati. La procedura prevede che il boia stesso fissi la testa mozzata al corpo del giustiziato per poi farlo pendere per circa due ore dalla finestra o dal balcone di una moschea o appenderlo a un palo, durante la preghiera di mezzogiorno. Talvolta i pali formano una croce, da cui l’uso del termine “crocifissione”. Nel 2011 le esecuzioni sono più che triplicate rispetto all’anno precedente.

La fucilazione

Non propriamente una punizione islamica, la fucilazione è pure stata usata nel 2011 e nei primi mesi del 2012 in Yemen e Somalia in esecuzione di condanne basate anche sulla Sharia.

Il “prezzo del sangue”

Secondo la legge islamica, i parenti della vittima di un delitto hanno tre possibilità: chiedere l’esecuzione della sentenza, risparmiare la vita dell’assassino con la benedizione di Dio oppure concedergli la grazia in cambio di un compenso in denaro, detto Diya (prezzo del sangue).

Nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012, casi relativi al “prezzo del sangue” si sono risolti col perdono o con l’esecuzione in Afghanistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Kuwait e Pakistan.

In Arabia Saudita, numerosi casi di “prezzo del sangue” si sono risolti positivamente grazie all’opera del Comitato per la Riconciliazione, un’organizzazione nazionale che assicura il perdono ai prigionieri del braccio della morte e aiuta a risolvere le lunghe dispute inter-familiari e tribali tramite sforzi costanti.

La versione iraniana del “prezzo del sangue” stabilisce che per una vittima donna esso sia la metà di quello di un uomo. Inoltre, se uccide una donna, un uomo non potrà essere giustiziato, anche se condannato a morte, senza che la famiglia della donna abbia prima pagato a quella dell’assassino la metà del suo prezzo del sangue.

Le prospettive della campagna di Nessuno Tocchi Caino

Dopo diciannove anni di iniziativa internazionale contro la pena di morte, possiamo fare un primo bilancio della “impresa” Nessuno tocchi Caino. Nel rapporto costo-benefici, emerge con evidenza lo straordinario valore “produttivo” della “società per azioni” (letteralmente!) che abbiamo costituito nel 1993. Dalla fondazione nel 1993 di Nessuno tocchi Caino a oggi, ben 56 dei 97 Paesi membri dell’ONU allora mantenitori della pena di morte hanno smesso di praticarla, 15 dei quali lo hanno fatto dal 2006, cioè dopo il rilancio dell’iniziativa al Palazzo di Vetro. Altri 3 Paesi (Palau, Timor Est e Tuvalu), divenuti membri dell’ONU dopo il 1993, sono Paesi abolizionisti.

L’approvazione, nel dicembre 2007, della Risoluzione per la Moratoria Universale delle esecuzioni capitali da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stata una pietra miliare sulla via non solo dell’abolizione della pena capitale ma anche dello sviluppo dei diritti umani in generale. Da allora, gli effetti concreti della Risoluzione ONU, che al Palazzo di Vetro ha registrato un sostegno crescente nel 2008 e poi nel 2010, hanno continuato a verificarsi in altri Paesi, come documenta anche il Rapporto 2012 di Nessuno tocchi Caino.

Nel dicembre 2012, l’Assemblea Generale tornerà a votare una nuova Risoluzione a favore di una Moratoria sull’uso della pena di morte. Nessuno tocchi Caino è impegnata su due fronti di iniziativa a sostegno della Risoluzione.

Il primo è aumentare il numero dei Paesi cosponsor e dei voti a favore della Risoluzione. A tal fine, con il supporto del Ministero degli Affari Esteri italiano, Nessuno tocchi Caino ha previsto di compiere nei prossimi mesi missioni in Africa in 4 Paesi – Zimbabwe, Ciad, Repubblica Centroafricana e Swaziland – dove negli anni più recenti sono stati compiuti passi significativi verso l’abolizione della pena di morte.

Il secondo fronte è rafforzare il testo della nuova Risoluzione con due richieste fondamentali da rivolgere ai Paesi che praticano ancora la pena capitale.

La prima richiesta è di abolire i “segreti di Stato” sulla pena di morte, perché molti Paesi, per lo più autoritari, non forniscono informazioni sulla sua applicazione, e la mancanza di informazione dell’opinione pubblica è anche causa diretta di un maggior numero di esecuzioni. E’ il caso, ad esempio, di Cina, Iran e Arabia Saudita, che non a caso risultano essere tra i primi Paesi-boia al mondo.

La seconda richiesta è di limitare ai “reati più gravi” l’applicazione della pena di morte e di abolire la sua previsione obbligatoria per certi tipi di reato. Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici prevede che “nei Paesi in cui la pena di morte non è stata abolita, una sentenza capitale può essere pronunciata soltanto per i delitti più gravi”. Il limite dei “reati più gravi” per l’applicazione “legittima” della pena di morte è sostenuto anche dagli organismi politici delle Nazioni Unite i quali chiariscono che per “reati più gravi” si intendono solo quelli “con conseguenze letali o estremamente gravi”. Ciò nonostante, la pena di morte per reati non violenti, la maggior parte dei quali di natura economica e per droga, continua a essere inflitta ed eseguita in Paesi come la Cina, la Corea del Nord e l’Iran. Anche la imposizione obbligatoria della pena capitale, che non tiene conto del merito specifico di ogni singolo caso e non lascia margini di discrezionalità ai giudici, è stata fortemente criticata dalle autorità internazionali a tutela dei diritti umani.

Infine, Nessuno tocchi Caino propone che la nuova Risoluzione chieda al Segretario Generale dell’ONU di istituire la figura di un Inviato Speciale che abbia il compito non solo di monitorare la situazione ed esigere una maggiore trasparenza e limiti più restrittivi nel sistema della pena capitale, ma anche di continuare a persuadere chi ancora la pratica ad adottare la linea stabilita dalle Nazioni Unite: “moratoria delle esecuzioni, in vista dell’abolizione definitiva della pena di morte”.

Ma per porre davvero fine alla pena capitale, occorre però che i Paesi che hanno sostenuto all’Onu la moratoria la facciano rispettare in concreto e in tutte le circostanze. La coerenza nell’impegno internazionale contro la pena di morte impone innanzitutto di negare ogni tipo di collaborazione alla sua pratica nel mondo.

Nel gennaio del 2011, dopo poco più di un mese di campagna di informazione e di iniziative parlamentari e legali, Nessuno tocchi Caino ha ottenuto che la casa farmaceutica Hospira chiudesse la produzione in Italia del Pentothal, il farmaco che doveva essere utilizzato per uccidere i condannati a morte americani. Sarebbe stato paradossale per l’Italia, Paese leader della campagna per la moratoria universale delle esecuzione capitali, cooperare in qualche modo alla pratica della pena capitale. La decisione della Hospira ha fatto da apripista a decisioni analoghe da parte di altre società farmaceutiche – dalla multinazionale Novartis alla sua controllata Sandoz, dall’azienda farmaceutica indiana Kayem alla danese Lundbeck – e, alla fine, ha portato nel dicembre scorso anche alla decisione dell’Unione Europea di rivedere in senso più restrittivo le regole europee sull’esportazione di farmaci utilizzabili nei protocolli dell’iniezione letale.

La fine del Pentothal e la difficoltà a procurarsi il suo sostituto, il Pentobarbital, ha determinato moratorie di fatto delle esecuzioni più o meno brevi in alcuni Stati della Federazione americana e non solo.

Il 28 maggio 2012, la stampa vietnamita ha reso noto che le esecuzioni di centinaia di condannati a morte erano state sospese per la carenza del farmaco usato per le iniezioni letali. “Per la loro esecuzione c’è bisogno della sostanza letale, che non è ancora disponibile”, ha detto il vice Ministro della Pubblica Sicurezza, Dang Van Hieu, aggiungendo che l’importazione del farmaco non specificato “si è rivelata difficile”.

Un altro fronte della campagna contro la pena di morte è stato aperto nei confronti dell’Iran dove l’impiccagione viene praticata di solito tramite delle gru a cui viene agganciato il cappio – una robusta corda oppure un filo d’acciaio – che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte.

Nel luglio 2011, la Tadano, società giapponese produttrice di gru, ha comunicato di non voler più stipulare contratti con il governo iraniano a seguito di una “Campagna sulle Gru” lanciata dall’associazione UANI (Uniti Contro l’Iran Nucleare), che ha pubblicato sul suo sito una lista di otto multinazionali che inviano in Iran gru o loro parti, con tanto di foto di gru utilizzate per effettuare impiccagioni in pubblico. Un mese dopo, un altro produttore di gru giapponese, UNIC, ha annunciato la fine della sua attività in Iran, unendosi alla Tadano e alla Terex che si erano già ritirate dal commercio con l’Iran in seguito alla Campagna sulle Gru della UANI.

Le vie dell’abolizione della pena di morte sono infinite e Nessuno tocchi Caino continuerà a provarle tutte per tentare di porre fine al principio arcaico e contraddittorio dello Stato-Caino, secondo cui la vita va difesa infliggendo la morte. La via liberale e antiproibizionista della moratoria – e non dell’abolizione tout court della pena di morte – che sin dal 1993 Nessuno Tocchi Caino e il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito hanno scelto di percorrere e proporre in tutte le sedi internazionali, ha dimostrato di essere la via maestra per superare ostacoli apparente insuperabili e aprire porte altrimenti inaccessibili.