I fatti più importanti del 2005 (e dei primi sei mesi del 2006)

16 Marzo 2017 :


SINTESI DEL RAPPORTO 2006

 
La situazione ad oggi
 
L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da almeno dieci anni, si è confermata anche nel 2005 e nei primi sei mesi del 2006.
I paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 142. Di questi, i paesi totalmente abolizionisti sono 90; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 10; 1 paese, la Russia, in quanto membro del Consiglio d’Europa è impegnato ad abolirla e, nel frattempo, attua una moratoria delle esecuzioni; quelli che hanno introdotto una moratoria delle esecuzioni sono 5; i paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono cioè sentenze capitali da oltre dieci anni, sono 37.
I paesi mantenitori della pena di morte sono 54, a fronte dei 60 del 2004 e dei 61 del 2003.
La tendenza a un abbandono della pena di morte trova conferma anche nel fatto che diminuisce ogni anno non solo il numero dei paesi mantenitori, ma tra questi anche quello di coloro che la praticano effettivamente. Nel 2005, solo 24 di questi paesi hanno effettuato esecuzioni, a fronte dei 26 del 2004 e dei 30 del 2003.
Di conseguenza, è diminuito anche il numero delle esecuzioni nel mondo. Nel 2005 sono state almeno 5.494, a fronte delle almeno 5.530 del 2004.
Ancora una volta, l’Asia si è confermata essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se contiamo che in Cina vi sono state almeno 5.000 esecuzioni, il dato complessivo del 2005 corrisponde ad almeno 5.413 esecuzioni, in diminuzione comunque rispetto al 2004, quando erano state registrate almeno 5.450 esecuzioni.
Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico paese del continente che ha compiuto esecuzioni nel 2005: 60 le persone giustiziate (erano state 59 nel 2004 e 65 nel 2003).
In Africa la pena di morte è caduta ormai in disuso: nel 2005 è stata eseguita in soli quattro paesi – Uganda (8), Libia (6), Sudan (4) e Somalia (1) – dove sono state registrate almeno 19 esecuzioni contro le 16 del 2004 e le 60 del 2003 effettuate in tutto il continente.
In Europa vi è una sola macchia che deturpa l’immagine di continente, altrimenti totalmente libero dalla pena di morte: la Bielorussia che nel 2005 ha effettuato almeno 2 esecuzioni.
 
Cina, Iran e Arabia Saudita i primi paesi boia del 2005
 
Dei 54 mantenitori della pena di morte, 43 sono paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. In questi paesi, nel 2005, sono state compiute almeno 5.420 esecuzioni, pari al 98,7% del totale mondiale. Un paese solo, la Cina, ne ha effettuate almeno 5.000, circa il 91% del totale mondiale; l’Iran ne ha effettuate almeno 113; l’Arabia Saudita almeno 90; la Corea del Nord almeno 75; il Pakistan 42; il Vietnam almeno 27; la Giordania 15; Mongolia, Uganda e Singapore 8; Kuwait e Yemen almeno 7; l’Uzbekistan 2. 
Molti di questi paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.
A ben vedere, in questi paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.
Sul terribile podio dei primi tre paesi che nel 2005 hanno compiuto più esecuzioni nel mondo figurano tre paesi autoritari: la Cina, l’Iran e l’Arabia Saudita.
 
Cina, primatista ufficiale di esecuzioni nel mondo
La pena di morte continua ad essere considerata in Cina un segreto di stato ma nel marzo 2005, Liu Renwen, professore dell’Accademia delle Scienze Sociali cinese, ha detto che sarebbero circa 8.000 le esecuzioni compiute ogni anno secondo una stima che circola in ambiente accademico, frutto di informazioni ottenute da funzionari e giudici locali e che sarebbe la più accurata tra quelle finora realizzate.
La stima fornita dal professore Liu Renwen rappresenta la seconda pubblica denuncia della carneficina giudiziaria cinese. Nel 2004, Chen Zhonglin, deputato al Congresso Nazionale del Popolo per la municipalità di Chongqing, aveva reso noto che “ogni anno in Cina vengono emesse circa 10.000 condanne a morte che vengono immediatamente eseguite”. La sua dichiarazione era stata pubblicata dal ‘Quotidiano della Gioventù Cinese’ del 15 marzo 2004.
Nessuno tocchi Caino ritiene che la stima più vicina alla realtà sia, anche per il 2005, tra le 5.000 e le 10.000 esecuzioni.
Sono tutte stime che confermano la Cina come primo paese boia al mondo, un primato che molto probabilmente resterà imbattuto nella storia moderna della pena di morte e che, oltre a suscitare le critiche delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, sta iniziando a suscitare anche quelle degli esperti legali e dei mezzi di informazione cinesi.
Il 14 marzo 2005, il premier Wen Jiabao ha dichiarato che la Cina, pur non avendo intenzione di abolire la pena capitale, sta attuando riforme affinché venga usata con prudenza. A questo proposito è entrata in vigore, il primo gennaio 2006, una legge in base alla quale tutte le sentenze capitali devono essere confermate dalla Corte Suprema del Popolo, come avveniva fino al 1983. Prima di questa riforma, una gran parte delle sentenze capitali erano approvate dalle Alte Corti delle Province, che sono 300 in tutto il paese e solo i casi più importanti arrivavano alla Corte Suprema. La restituzione alla Corte Suprema di questo potere esclusivo, dovrebbe portare a una notevole riduzione del numero di esecuzioni praticate nel paese.
Il 7 gennaio 2006, la Corte Suprema del Popolo ha comunicato di aver commutato l’11,2% delle condanne a morte che ha esaminato nel 2005, senza però precisare il numero dei casi presi in esame.
Nonostante questi primi segnali di un, almeno apparente, approccio garantista, nel tritacarne giudiziario cinese sono continuati a finire imputati di reati violenti e non violenti: attentatori dinamitardi e militanti separatisti, assassini e rapinatori, sequestratori e stupratori, narcotrafficanti e spacciatori, contrabbandieri di armi e di sigarette, contraffattori di banconote e di fatture, protettori e tombaroli, corrotti e corruttori, sono stati processati in grandi adunate, esposti al pubblico, costretti a tenere al collo un cartello con il loro nome e il reato e infine giustiziati.
Nel corso del 2005 si è inasprita anche la persecuzione dei sospetti appartenenti al Falun Gong, movimento spirituale bandito nel 1999 come “culto malvagio” e accusato di minacciare il potere del Partito Comunista.
 
Iran, di nuovo secondo sul podio della disumanità
Nel 2005, l’Iran è salito di nuovo sull’orribile podio olimpico dei primi paesi boia del mondo. Le esecuzioni sono state almeno 113, a fronte delle 197 del 2004. Si è piazzato sempre al secondo posto, dopo la Cina, anche se in rapporto alla popolazione è come se fosse arrivato primo. Le 87 esecuzioni compiute fino al 30 giugno 2006 segnano una recrudescenza nel ricorso alla pena capitale.
I dati reali sulle esecuzioni potrebbero essere ancora più alti: le autorità non forniscono statistiche ufficiali e i numeri riportati sono relativi alle sole notizie pubblicate dai giornali iraniani, che evidentemente non riportano tutte le esecuzioni.
Nel 2005, due donne sono state giustiziate e 13 condannate a morte. Tra loro vi sarebbero almeno due ragazze minorenni al momento del fatto: Fakhteh e Delara Darabi. Inoltre, almeno tre donne sarebbero state condannate alla lapidazione per adulterio e il 5 giugno 2006 siti iraniani di lingua persiana hanno riportato la notizia che un uomo e una donna sarebbero stati lapidati circa tre settimane prima.
L’Iran ha giustiziato almeno 8 minorenni nel 2005, di cui 2 avevano meno di 18 anni anche al momento dell’esecuzione, mentre altri 8 sono stati condannati all’impiccagione. Il 13 maggio 2006 è avvenuta la prima esecuzione nota di un minorenne nel 2006.
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato.
 
Arabia Saudita
Nella graduatoria mondiale della pena di morte, l’Arabia Saudita si è piazzata al terzo posto con almeno 90 esecuzioni, un numero tra i più alti al mondo, sia in termini assoluti che in percentuale sulla popolazione. Nel 2004 erano state 38, il numero più basso nella storia degli ultimi anni. Il record era stato stabilito nel 1995 con 191 esecuzioni. Un drastico calo nel ricorso alla pena di morte è stato registrato nel 2006 poiché, al 26 giugno, sono solo tre le esecuzioni compiute dall’inizio dell’anno.
Molte delle esecuzioni rese note sono state inflitte per omicidi, stupri e reati connessi al traffico di droga, leggera e pesante. Ma in questi anni anche fatti che in quasi tutto il mondo non costituiscono reato, come apostasia, stregoneria, rapporti omosessuali, si sono risolti in Arabia Saudita con la decapitazione.
Quasi i due terzi delle persone giustiziate sono stranieri, provenienti quasi tutti dai paesi poveri del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia. Spesso non sanno di essere stati condannati a morte. In molti casi, non sanno neanche che il loro processo si è concluso. I giustiziati hanno potuto capire ciò che gli stava accadendo solo all’ultimo momento, quando un certo numero di poliziotti ha fatto irruzione nella cella, ha chiamato la persona per nome e l’ha trascinata fuori con la forza.
 
Democrazia e pena di morte
 
Dei 54 paesi mantenitori della pena di morte, sono 11 quelli che possiamo definire di democrazia liberale, con ciò considerando non solo il sistema politico del paese, ma anche il sistema dei diritti umani, il rispetto dei diritti civili e politici, delle libertà economiche e delle regole dello stato di diritto. Le democrazie liberali che nel 2005 hanno praticato la pena di morte sono state 5 e hanno effettuato in tutto 74 esecuzioni, pari all’1,3% del totale mondiale: Stati Uniti (60), Mongolia (almeno 8), Taiwan (3), Indonesia (2) e Giappone (1).
Il 1° aprile 2006, dopo due anni di sospensione sono riprese le esecuzioni in Botswana con l’impiccagione avvenuta in segreto di Modisane Ping.
Nel 2005, non vi sono state invece esecuzioni in India, l’altra democrazia che nel 2004 aveva compiuto una esecuzione.
 
Nel 2005, si è confermata negli Stati Uniti la tendenza in corso da sei anni ad una diminuzione del numero delle condanne e dei detenuti nel braccio della morte.
Nonostante nel 2005 vi sia stata un’esecuzione in più rispetto al 2004 (60 contro 59), il numero complessivo segna un calo del 39% rispetto al 1999, anno record – con le 98 esecuzioni effettuate – nella storia moderna della pena di morte in America, iniziata con la sua reintroduzione nel 1976.
Nel 2005, secondo il Death Penalty Information Centre il numero delle sentenze capitali è rimasto lo stesso del 2004: 125, il 54% in meno rispetto al 1999 ed il numero più basso da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel 1976. In Texas, nella Contea di Harris, spesso considerata la “capitale della pena capitale” sono state pronunciate solo due condanne a morte in tutto il 2005.
In questi anni hanno contribuito a ridurre il numero complessivo della popolazione dei bracci della morte sia la decisione dell’allora governatore dell’Illinois George Ryan di commutare tutte le condanne a morte (167) che la decisione della Corte Suprema del 1° marzo 2005 di abolire la pena di morte per i minorenni all’epoca del reato. La decisione ha esonerato dai bracci della morte 75 persone. Hanno inciso sul numero delle condanne a morte e delle esecuzioni capitali altre due sentenze della Corte Suprema del 2002 che hanno stabilito, l’una, l’incostituzionalità delle norme che attribuiscono a un giudice monocratico, anziché a una giuria, la decisione della pena nei casi capitali e, l’altra, che l’esecuzione di condannati a morte minorati mentali è una pena “crudele e inusuale” e per questo è incostituzionale, anche se quest'ultima ha avuto un effetto più contenuto per la tendenza dei procuratori a non riconoscere la condizione di ritardo mentale dei condannati a morte.
Inoltre, dai sondaggi risulta che si sta riducendo anche il favore della popolazione alla pena capitale, in particolare quando è data la possibilità di scegliere tra pena di morte ed ergastolo senza condizionale. Il sostegno più alto alla pena di morte si è registrato nel 1994, con una percentuale dell’80%. L’ultimo sondaggio della Gallup, che è dell’ottobre 2005, ha rilevato che solo il 64% degli americani è a favore della pena di morte, la percentuale più bassa degli ultimi 27 anni. Un altro sondaggio della CBS News ha inoltre rilevato che di fronte alla possibilità di scegliere tra pena di morte ed ergastolo senza condizionale il 39% conferma il sostegno alla pena capitale, il 39% sceglie l’ergastolo senza condizionale e il 6% quello con la condizionale.
Hanno contribuito a riaprire la discussione sulla pena di morte le modalità con cui essa viene applicata, i pregiudizi razziali (nel 2005, come già nel 2004 e nel 2003, nessun bianco è stato giustiziato per casi di omicidio in cui la vittima fosse solo un nero ed il 73% delle persone giustiziate nel corso dell’anno era stata condannata per l’omicidio di persone bianche nonostante siano meno del 50% le vittime bianche di omicidi) e di classe, ma soprattutto le continue scoperte di errori giudiziari. Il numero delle persone esonerate dal 1973 perché riconosciute innocenti è salito a 123. Due sono stati esonerati nel corso del 2005.
Un altro fronte garantista si è aperto con la decisione presa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti il 12 giugno 2006 quando ha riconosciuto ai condannati a morte il diritto di presentare appelli sulla legittimità dell’iniezione letale.
La vera battaglia sulla pena di morte si sta giocando a livello di legislature statali, dove si è continuato a discutere di moratoria delle esecuzioni capitali o abolizione della pena di morte.
In Illinois, per il sesto anno consecutivo, è stata rispettata la moratoria delle esecuzioni. 
Il 31 gennaio 2005, in South Dakota, la Commissione Affari Statali ha votato 10 a 3 contro una proposta di legge volta ad abolire la pena di morte in South Dakota.
Il 28 febbraio 2005, la Camera dei Rappresentanti del New Mexico ha approvato un disegno di legge che abolisce la pena di morte, sostituendola con l’ergastolo senza condizionale. Ora il testo deve passare all’esame del Senato, dove ci si aspetta un voto combattuto.
Il 12 aprile 2005, la Commissione Giustizia dell’Assemblea dello stato di New York ha respinto con 11 voti contro 7 il progetto relativo a una nuova legge sulla pena di morte lasciando così in vigore il blocco delle esecuzioni stabilito, nel giugno 2004, dalla Corte d’Appello di Albany.
Il 15 novembre 2005, la Camera dei Rappresentanti del Massachussetts, con 100 voti contro 53, ha respinto una proposta di legge del governatore Mitt Romney, Repubblicano, che avrebbe reintrodotto la pena di morte nello Stato in cui l’ultima esecuzione è avvenuta nel 1947.
Il 12 gennaio 2006, il New Jersey è divenuto il primo stato ad aver introdotto per legge una moratoria delle esecuzioni capitali, quando il Governatore Richard Codey ha firmato la legge che oltre ad introdurre una moratoria fino al 15 gennaio 2007 istituisce una commissione di studio che dovrà presentare le proprie conclusioni entro novembre 2006.
L’8 marzo 2006, in Alabama, per il secondo anno di seguito la Commissione Giustizia del Senato ha approvato, 5 a 3, un disegno di legge per l’istituzione di una moratoria di 3 anni ed il miglioramento delle procedure penali per garantire che vengano eliminati i rischi di discriminazione in base alla razza sia della vittima che dell’imputato.
In controtendenza a quanto sta accadendo negli Stati Uniti, il Connecticut ha effettuato nel 2005 la prima esecuzione dopo 45 anni.
Il 29 giugno 2006, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha definito illegittimo il sistema di tribunali militari approntato dall’amministrazione Usa per processare i prigionieri di Guantanamo. Con 5 voti a 3, la Corte ha stabilito che i tribunali, creati dal Presidente Usa George W. Bush dopo gli attentati dell'11 settembre, violano la convenzione di Ginevra e le regole militari Usa.
 
Il 7 gennaio 2005, il Parlamento di Taiwan ha promulgato una riforma del Codice Penale che prevede l’abolizione graduale della pena di morte e nello stesso tempo impone norme più rigide sulla liberazione condizionale al fine di stabilire una alternativa socialmente accettabile in caso di abolizione.
Il 7 settembre 2005, il presidente Chen Shui-bian ha dichiarato: “Il mio obiettivo resta quello di azzerare le esecuzioni nel più breve tempo possibile e di abolire la pena di morte”.
Infatti, dalle 32 esecuzioni del 1998 si è passati alle 24 nel 1999, alle 17 nel 2000, alle 10 nel 2001, alle 9 nel 2002, alle 7 nel 2003 e alle 3 soltanto effettuate nel 2004 e nel 2005.
 
Il Giappone mantiene il massimo riserbo sulle esecuzioni. I detenuti di solito non sono informati sulla data della loro esecuzione fino al giorno dell’impiccagione. Poiché vengono avvertiti dell’esecuzione solo un’ora prima, non possono incontrare i parenti o presentare un appello finale. Il Governo si limita a dichiarare il numero di detenuti giustiziati, rifiutando perfino di rivelarne i nomi.
Nel 2005, è stata giustiziata una sola persona (nel 2004 due). L’esecuzione è avvenuta il 15 settembre 2005 ed è la prima sotto il Ministro della Giustizia, in quel momento in carica, Signora Chieko Noono, nominata il 27 settembre 2004. Come d’abitudine, il Ministero della Giustizia non ha reso noto il nome dell’uomo, limitandosi a comunicare l’esecuzione di un detenuto, ma gli organi di informazione locali lo hanno identificato come Susumu Kitagawa, 58 anni.
Il 19 febbraio 2005, un sondaggio del Governo ha rivelato che, su 2.049 persone intervistate, l’81,4% è favorevole alla pena capitale, 2,8 punti per­centuali in più rispetto al 1999 e 7,6 punti in più rispetto al 1994. I media locali hanno interpretato i risultati come un effetto della crescente preoccupazione dei cittadini per i crimini violenti.
 
L’India, che nel 2004 è stata una delle quattro democrazie a compiere un’esecuzione capitale interrompendo una moratoria di fatto che durava da nove anni, nel corso del 2005 e dei primi mesi del 2006 ha espresso segnali incoraggianti nel senso dell’abolizione.
Il 16 ottobre 2005, con un’azione senza precedenti, il Presidente A. P. J. Abdul Kalam ha chiesto al Governo di riconsiderare la concessione della grazia per gran parte di una cinquantina di detenuti nel braccio della morte che hanno presentato istanza di clemenza. Lo ha fatto rivendicando a sé la prerogativa stabilita dalla Costituzione all’art. 72 che recita: “il Presidente ha il potere di concedere la grazia”. In questo modo ha contrastato l’interpretazione di chi vorrebbe invece subordinare il potere di grazia presidenziale al parere del Governo. Anche il neo Presidente della Corte Suprema Y.K. Sabarwal, nominato il primo novembre 2005 dal Presidente Kalam, si è detto personalmente favorevole all’abolizione della pena di morte.
 
Abolizioni legali, di fatto e moratorie
 
Il trend mondiale verso l’abolizione di diritto o di fatto della pena di morte in corso ormai da oltre dieci anni ha trovato una decisa conferma anche nel 2005 e nei primi sei mesi del 2006.
Sei stati sono divenuti abolizionisti a vario titolo: il Tagikistan, la Liberia e le Filippine hanno abolito totalmente la pena di morte, mentre Saint Vincent e Grenadine, Santa Lucia e Lesotho hanno superato dieci anni senza praticare la pena capitale e quindi vanno considerati abolizionisti di fatto.
Altri due paesi hanno compiuto un passo in avanti nel campo abolizionista: la Grecia e il Messico, già abolizionisti per crimini ordinari e che hanno abolito la pena di morte in tutte le circostanze.
La Moldova sta abolendo la pena di morte dalla Costituzione.
In Kirghizistan, la moratoria delle esecuzioni (in vigore nel paese dal 1998) è stata prorogata fino all’abolizione della pena di morte.
Ulteriori passi verso l’abolizione o sviluppi positivi si sono verificati in Corea del Sud, Uzbekistan, Papua Nuova Guinea, Guatemala, Ghana, Repubblica Democratica del Congo e Zambia. 
Sentenze che sanciscono l’incostituzionalità della pena di morte obbligatoria sono state pronunciate nelle Bahamas e in Uganda.
 
Ripristino della pena di morte e ripresa delle esecuzioni
 
Sul fronte opposto, nel 2005 e nei primi sei mesi del 2006, cinque stati hanno ripreso a praticare la pena di morte dopo anni di sospensione.
Nel 2005, l’Autorità Palestinese del Presidente Abu Mazen ha ripreso le esecuzioni dei condannati a morte dopo un’interruzione di tre anni. Le ultime esecuzioni legali in Palestina erano state 3, avvenute nel 2002 e tutte per omicidio.
Nel luglio del 2005, la Libia ha messo a morte sei cittadini stranieri dopo otto anni in cui dal paese sono continuate a filtrare notizie di condanne a morte ma mai di esecuzioni.
Il 1° settembre 2005, sono state compiute in Iraq le prime esecuzioni dalla caduta del regime di Saddam Hussein. La pena capitale era stata sospesa dall’Autorità Provvisoria della Coalizione il 9 aprile 2003, giorno della caduta del regime di Saddam Hussein. Era stata ripristinata l’8 agosto 2004 dal Governo iracheno ad interim guidato da Iyad Allawi.
Il 28 aprile 2006, la Guinea Equatoriale ha ripreso le esecuzioni che non venivano effettuate dal 1997.
Il 1° aprile 2006, dopo due anni di sospensione, sono riprese le esecuzioni in Botswana con l’impiccagione di un uomo avvenuta in segreto.  
Il 13 maggio 2005, il Connecticut ha ripreso le esecuzioni dopo 45 anni di sospensione di fatto.
 
Pena di morte in base alla Sharia
 
Nel 2005, almeno 302 esecuzioni, contro le 362 dell’anno prima, sono state effettuate in 14 paesi a maggioranza musulmana, molte delle quali ordinate da tribunali islamici in base a una stretta applicazione della Sharia. Ma il problema non è il Corano, perché non tutti i paesi islamici che a esso si ispirano praticano la pena di morte o fanno di quel testo il proprio Codice Penale, Civile o, addirittura, la propria Carta fondamentale. Il problema è la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi processo democratico.
Dei 48 paesi a maggioranza musulmana nel mondo, 23 possono essere considerati a vario titolo abolizionisti, mentre i mantenitori della pena di morte sono 25, dei quali solo 14 l’hanno praticata nel 2005.
Impiccagione, decapitazione e fucilazione, sono stati i metodi con cui è stata applicata la Sharia nel 2005.
Condanne a morte tramite lapidazione sono state emesse nel 2005 solo in Nigeria e in Iran, dove il 5 giugno 2006 siti iraniani hanno riportato che un uomo e una donna sarebbero stati lapidati circa tre settimane prima.
Una donna è stata lapidata in Afghanistan nel 2005, ma si è trattato di una esecuzione extra-giudiziaria, effettuata dal marito della donna a seguito di una decisione di un Mullah locale.
L’alternativa alla lapidazione, in esecuzione di sentenze capitali in base alla Sharia, può essere l’impiccagione, la quale è preferita per gli uomini ma non risparmia le donne. Impiccagioni in base alla Sharia sono state effettuate nel 2005 in Iran, Kuwait, Pakistan e Sudan.
L’impiccagione è spesso eseguita in pubblico e combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione. È quel che è accaduto in molti casi in Iran, dove le esecuzioni sono state a volte contestate dalla folla chiamata ad assistervi.
La decapitazione come metodo per eseguire sentenze in base alla Sharia, è un’esclusiva dell’Arabia Saudita, il paese islamico che segue l’interpretazione più rigida della legge islamica e che fa registrare un numero di esecuzioni tra i più alti al mondo, sia in termini assoluti che in percentuale sulla popolazione. Il record è stato stabilito nel 1995 con 191 esecuzioni. Le esecuzioni nel 2005 sono state 90, un numero nettamente più alto rispetto alle 38 del 2004 che colloca il regno saudita al terzo posto della graduatoria mondiale. Al 26 giugno 2006 risultavano invece tre sole esecuzioni.
Non propriamente una punizione islamica, la fucilazione è pure stata applicata nel 2005 e nel 2006 in esecuzione di condanne in base alla Sharia in Pakistan, Yemen e Somalia.
Secondo la legge islamica, i parenti della vittima di un delitto possono richiedere un compenso in denaro, detto “prezzo del sangue”, graziare l’autore del fatto o permettere che l’esecuzione della pena abbia luogo. Casi di perdono dietro compenso in denaro si sono verificati nel 2005 e nel 2006 in Arabia Saudita, Iran ed Emirati Arabi Uniti. 
 
Pena di morte nei confronti di minori
 
Applicare la pena di morte a persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato è in aperto contrasto con quanto stabilito dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo.
Nel 2005, sono stati giustiziati nel mondo almeno 11 minorenni: in Iran (8), in Sudan (2) e Pakistan (1). Nel 2006 almeno 1 minorenne è stato giustiziato in Iran.
Nel novembre del 2005, almeno 126 persone erano detenute nel braccio della morte dell’Arabia Saudita per crimini commessi prima di aver compiuto 18 anni.
Il 1° marzo 2005, dopo che ventidue minori di 18 anni al momento del reato sono stati giustiziati dal 1976, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato incostituzionale questa pratica.
L’8 luglio 2005, il Sudan ha approvato una nuova Costituzione ad interim che consente la pena di morte per i minori di 18 anni e, il 31 agosto, l’ha eseguita nei confronti di due giovani.
Vi sarebbero inoltre minorenni detenuti nei bracci della morte della Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh e dello Yemen.
 
La “guerra alla droga”
 
Il proibizionismo sulle droghe ha dato un contributo consistente alla pratica della pena di morte nel 2005 e nei primi mesi del 2006. Nel nome della guerra alla droga e in base a leggi sempre più restrittive, sono state effettuate esecuzioni in Arabia Saudita, Cina, Kuwait, Iran, Singapore e Vietnam.
Condanne a morte per droga sono state pronunciate anche in Laos, Indonesia, Malesia, Birmania, Thailandia, Sri Lanka, Bangladesh, Yemen e Filippine.
Delle 90 esecuzioni del 2005 in Arabia Saudita, 18 sono state effettuate per reati di droga.
Come accade di solito in Cina in prossimità di feste nazionali e di date simboliche internazionali, decine di trafficanti di droga sono stati condannati a morte o giustiziati in occasione del 26 giugno del 2005 e del 2006, Giornata Internazionale Contro la Droga.
Delle sette persone messe a morte in Kuwait nel 2005, due erano state condannate per traffico di droga. Un'altra persona condannata per droga è stata impiccata il 2 maggio 2006.
Secondo le stesse autorità, molte esecuzioni in Iran sono relative a reati di droga, ma è opinione di osservatori sui diritti umani che molti di quelli giustiziati per reati comuni, in particolare per droga, possano essere in realtà oppositori politici.
A Singapore la pena di morte è obbligatoria per il traffico di 15 grammi o più di eroina, 30 grammi di cocaina o 500 grammi di cannabis. Almeno due delle otto esecuzioni effettuate nel 2005 sono avvenute per traffico di droga.
Delle 27 esecuzioni riportate dai media statali in Vietnam nel 2005, nove sono state effettuate per droga. Almeno altre dieci persone condannate per traffico di droga sono state giustiziate nei primi sei mesi del 2006. Una direttiva della Corte Suprema del Popolo del luglio 2001 raccomanda la pena di morte per possesso di oltre 600 grammi di eroina.
 
La “guerra al terrorismo”
 
Nel 2005, solo l’Iraq ha approvato una legge anti-terrorismo. Una proposta di legge che prevede la pena di morte per azioni “terroristiche” è stata presentata dal Governo del Bahrein nell’aprile del 2005, mentre in Bangladesh è all’esame del Governo un disegno di legge che prevede l’applicazione della pena di morte e una restrizione delle libertà pubbliche e dei diritti civili.
Nel 2006 il Presidente degli Stati Uniti George Bush ha firmato la nuova versione del Patriot Act, la legge antiterrorismo varata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 che scadeva il 31 dicembre 2005. Una parte della legge prevede una diminuzione delle garanzie di appello per i condannati a morte.
In nome della lotta al terrorismo e “legittimati” dalla partecipazione alla Grande Coalizione nata in seguito agli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti, paesi autoritari e illiberali hanno continuato nella violazione dei diritti umani al proprio interno e, in alcuni casi, hanno giustiziato e perseguitato persone in realtà coinvolte solo nella opposizione pacifica o in attività sgradite al regime. Ciò è avvenuto, in particolare, in Cina nei confronti di leader musulmani Uiguri del movimento che lotta per uno stato indipendente nel Turkestan Orientale.
Nell’ottobre 2005, alla vigilia del 50° anniversario della fondazione della regione autonoma dello Xinjiang, le autorità hanno ribadito la necessità di “colpire duro” quelli che sono i “tre demoni” dell’estremismo religioso, del separatismo e del terrorismo.
 
La persecuzione di appartenenti a movimenti religiosi o spirituali
 
Nel 2005 e nei primi sei mesi del 2006, sono continuati in alcuni paesi gli attacchi, gli interrogatori, le incarcerazioni e i maltrattamenti fisici nei confronti di membri di movimenti religiosi o spirituali non autorizzati dallo Stato.
Il 1° marzo 2005, sono entrate in vigore in Cina nuove norme presentate dal Governo cinese come un “significativo passo avanti nella protezione della libertà di religione dei cittadini cinesi”. Ma l’esercizio della libertà di religione dei cittadini cinesi rimane soggetta a restrizioni arbitrarie. Nel corso dell’anno, è continuata la repressione nei confronti di movimenti religiosi o spirituali non autorizzati dallo stato: protestanti e cattolici, musulmani uiguri e buddisti tibetani. Il Governo ha continuato anche la repressione dei movimenti che considera “culti” ed in particolare il Falun Gong. Centinaia di luoghi di culto, moschee “clandestine”, templi, seminari, chiese cattoliche e chiese protestanti “domestiche”, sono stati chiusi dalla polizia e, in alcuni casi, demoliti e i loro leader perseguitati.  
Il 1° marzo 2006, Human Rights Watch ha reso noto che, a distanza di un anno dall’entrata in vigore delle norme sulle questioni religiose, sarebbero oltre 400 i praticanti del Falun Gong che risultano essere stati incarcerati o costretti ai lavori forzati. Da luglio 1999 ad aprile 2006, il Falun Gong ha riportato più di 2.862 uccisioni documentate, spesso come risultato di torture fisiche e psichiche. È del marzo 2006 la notizia dell’esistenza del campo di concentramento di Sujiatun dove i corpi di praticanti del Falun Gong, dopo l’espianto di organi, vengono cremati. Il 31 marzo di quest’anno, un medico militare in pensione della regione militare di Shenyang ha rivelato che esistono almeno altri 36 campi simili.
Nel 2005, gruppi religiosi e per la difesa dei diritti umani fuori dalla Corea del Nord hanno continuato a fornire informazioni relative alla persecuzione di protestanti, cattolici, buddisti e membri di chiese cristiane clandestine. Fedeli cristiani sono stati imprigionati, picchiati, torturati o uccisi per aver letto la Bibbia e predicato su Dio, in particolare per aver avuto legami con gruppi evangelici operanti oltre confine in Cina.
La pressione internazionale ha convinto il Vietnam ad approvare una nuova ordinanza sulla religione nel 2004 e a liberare una serie di detenuti per ragioni legate al loro credo nel 2005. Nel febbraio 2005, il Primo Ministro vietnamita ha adottato un decreto che vieta l’abiura forzata della propria fede e allenta le restrizioni per le organizzazioni cristiane di registrarsi presso il Governo. Un obbligo, questo della registrazione, che permane per le altre organizzazioni religiose come condizione per essere legali mentre le attività religiose sono vietate in quanto causerebbero pubblico disordine, danno alla sicurezza nazionale e alimenterebbero le divisioni interne.
Particolarmente dura la repressione nei confronti dei Montagnard, la minoranza etnica di religione cristiana che abita gli altipiani centrali. La Montagnard Foundation, un gruppo a tutela dei diritti umani che ha base in South Carolina, ha riportato che in prossimità del periodo natalizio del 2005, le forze paramilitari vietnamite hanno attaccato 62 villaggi in cui risiedono i Montagnard e, in un’escalation iniziata nel mese di novembre, hanno arrestato, picchiato e torturato 27 persone che pregavano o celebravano il Natale. Sarebbero oltre 300 i montagnard detenuti nelle carceri vietnamite per motivi religiosi.
 
Pena di morte per reati politici e di opinione
 
È opinione di osservatori sui diritti umani che molti dei giustiziati in Iran per reati comuni, in particolare per droga, possano essere in realtà oppositori politici.
Il 3 settembre 2005, Ismayil Muhemedi, 38 anni, riconosciuto colpevole di appartenere all’organizzazione clandestina curda Komala, è stato messo a morte dalle autorità iraniane dopo una detenzione di tre anni.
Il 7 settembre, un altro prigioniero politico curdo, Mohammad Panj-Bini, è stato impiccato nella prigione della città di Urmia. Diversi altri attivisti curdi sarebbero in attesa dell’esecuzione nel Kurdistan iraniano.
Il 18 dicembre, un uomo, identificato solo come Aziz, è stato impiccato. Anche lui era un prigioniero politico curdo, detenuto dal 1996 per un presunto omicidio di un agente del Ministero della Sicurezza.
Il 7 febbraio 2006, Hojjat Zamani, 31 anni, prigioniero politico e membro dei Mojahedin del Popolo, è stato impiccato nella prigione Gohardasht a Karaj, ad ovest di Teheran. A partire dal 2000, Zamani è stato detenuto nella prigione di Evin, a Teheran, dove avrebbe subito pesanti torture. Riuscito ad evadere e rifugiatosi in Turchia, sarebbe stato catturato e consegnato agli agenti del Ministero di Intelligence e Sicurezza iraniano (MOIS). Rimpatriato in Iran, sarebbe stato nuovamente sottoposto a torture, secondo quanto riportato da Amnesty International.
 
Palestina, pena di morte ed esecuzioni sommarie per collaborazione con Israele
 
Da quando l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è stata istituita nel 1994, sono stati giustiziati legalmente quattordici palestinesi, di cui due per aver “collaborato” con Israele.
Nel corso del 2005 vi sono state cinque esecuzioni legali in Palestina, tutte per omicidio. Ma, in dieci anni di vita dell’ANP, oltre 100 palestinesi, sospettati di aver collaborato con Israele, sono stati linciati o fucilati per strada, la maggior parte ad opera di membri del gruppo della fazione di Fatah dell’attuale Presidente dell’Autorità Mahmoud Abbas (Abu Mazen), le Brigate dei Martiri di Al Aksa, che sono andate a prenderli nelle loro case, nei commissariati, nel carcere in cui erano detenuti o nelle aule di giustizia dove venivano processati.
Secondo il Palestinian Human Rights Monitoring Group, una organizzazione palestinese per la difesa dei diritti umani, 11 palestinesi sono stati “giustiziati” in questo modo nel 2005.
 
La pena di morte “top secret”
 
Molti paesi, per lo più autoritari, non forniscono statistiche ufficiali sull’applicazione della pena di morte.
In Cina e Vietnam la questione è considerata per legge un segreto di stato e le notizie di esecuzioni riportate dai giornali locali rappresentano una minima parte del fenomeno.
In piena continuità con la tradizione sovietica, la pena di morte è considerata un segreto di stato anche in Bielorussia e Uzbekistan. In questi paesi i dati disponibili su condanne a morte ed esecuzioni sono quelli forniti da organizzazioni internazionali oppure relativi solo a notizie uscite su media statali o dalle prigioni tramite parenti dei giustiziati. Anche qui il numero reale delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.
In quasi tutti i paesi autoritari, dall’Egitto all’Iran, allo Yemen o al Sudan, dove pure non esiste segreto di stato sulla pena di morte, il Governo non pubblica statistiche né fornisce dati ufficiali. Le sole informazioni disponibili sulle esecuzioni sono tratte da notizie uscite su media statali che evidentemente non riportano tutti i fatti.
Ci sono poi situazioni in cui le esecuzioni sono tenute assolutamente nascoste e le notizie non filtrano nemmeno dai giornali locali. È il caso della Corea del Nord.
Vi sono paesi, infine, dove le esecuzioni sono di dominio pubblico solo una volta che sono state effettuate. I familiari, gli avvocati e gli stessi detenuti condannati a morte sono tenuti all’oscuro del giorno in cui sarà eseguita la sentenza. È quel che avviene ad esempio in Arabia Saudita e in Giappone.
 
La “civiltà” dell’iniezione letale
 
I paesi che hanno deciso recentemente di passare dalla sedia elettrica, dall’impiccagione o dalla fucilazione alla iniezione letale come metodo di esecuzione, hanno presentato il cambio come una conquista di civiltà e un modo più umano e indolore per giustiziare i condannati a morte. La realtà è diversa.
Il 15 aprile 2005, l'autorevole rivista scientifica The Lancet ha divulgato una ricerca dell’Università di Miami secondo la quale la procedura seguita negli istituti penitenziari degli Stati Uniti che applicano la pena di morte per iniezione letale infligge sofferenze e dolori atroci ai condannati. Secondo il gruppo di ricercatori dell'istituto di Medicina Miller dell'Università di Miami, il modo in cui vengono praticate le iniezioni non è in linea neppure con gli standard utilizzati dai veterinari per la soppressione degli animali. Prima dell'iniezione del veleno che ne provocherà la morte per soffocamento, al condannato viene oggi praticata un'anestesia per ridurre al minimo il dolore fisico che altrimenti risulterebbe particolarmente devastante. Esaminando i dati degli esami post-mortem compiuti sul sangue di 49 carcerati uccisi in Arizona, Georgia e nella Carolina del Nord e del Sud, i ricercatori hanno trovato in 43 casi una dose di anestetico inferiore a quella normalmente usata per gli interventi chirurgici. In 21 casi, la concentrazione era tale da far dire che i prigionieri potevano essere coscienti quando è stato iniettato loro il veleno. È possibile che alcuni fossero del tutto svegli e dunque hanno dovuto sopportare impotenti, senza muoversi e respirare, mentre il cianuro di potassio bruciava nelle vene.
Il 12 giugno 2006, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto ai condannati a morte il diritto di presentare appelli sulla legittimità dell’iniezione letale. Con ogni probabilità, la decisione dei giudici di Washington aprirà ora la strada a una battaglia legale su scala nazionale.
Nel 1997 la Cina ha introdotto il metodo dell’iniezione letale (applicata per la prima volta nello Yunnan) e, da pochi anni, in molte province sono state allestite delle unità mobili su dei furgoni opportunamente modificati che raggiungono il luogo dell’esecuzione.
Il furgone della morte è una comune camionetta della polizia bianca e blu che attende parcheggiata davanti al tribunale che deve pronunciare la sentenza. Al suo interno si trova un lettino che si alza e abbassa come un tavolo operatorio. È collocato al centro del veicolo e c’è spazio su entrambi i lati per l’ufficiale giudiziario, per l’esperto medico di tribunale e per uno o due poliziotti che immobilizzano il condannato assicurandolo con delle cinghie al lettino.
Una volta inserito l’ago, un poliziotto preme un bottone e automaticamente la sostanza letale viene iniettata nella vena. L’esecuzione può essere seguita su un monitor accanto al posto di guida ed eventualmente registrata. Le esecuzioni possono così effettuarsi in pochi minuti dopo l’emissione della condanna a morte, senza la necessità di trasferirsi in luoghi pubblici dove possono verificarsi tumulti.
In un raro racconto pubblicato su un giornale di un’esecuzione avvenuta il 19 gennaio 2005 a Liaoyang, la capitale della provincia di Liaoning, si legge che il condannato, Li Jiao, era morto entro 14 minuti dalla lettura della sentenza. Dopo il verdetto, il detenuto è stato portato in un luogo nei pressi del tribunale, a circa 10 minuti di guida. I furgoni, che costano 48.000 euro ciascuno, sono dotati di televisione a circuito chiuso, il che ha permesso di trasmettere in diretta l’esecuzione di Li ai membri locali del Congresso Nazionale del Popolo, riuniti nella camera mortuaria della città. I furgoni per l’iniezione letale circolano in diverse province e sono considerati “sistemi puliti e semplici”, definiti “progresso” dai funzionari cinesi. La morte con iniezione costa allo stato circa 92 euro, ma è gratis per i parenti della vittima, che una volta dovevano pagare il costo della pallottola che aveva ucciso il proprio caro.
L’11 agosto 2005, il Ministero della Giustizia del Vietnam ha presentato un progetto di legge che propone l’iniezione letale come metodo di esecuzione alternativo alla fucilazione. Il Ministero ha detto che l’iniezione letale aiuterebbe ad alleviare i boia dalla pressione psicologica di sparare.
Il 7 giugno 2006, un condannato a morte in Giappone ha proposto che l’esecuzione non avvenga più per impiccagione ma con un’iniezione. Tsutomu Miyazaki, un uomo di 43 anni, ha deciso di impegnarsi per l’abolizione del patibolo in nome dei diritti umani e delle leggi che proibiscono le forme di punizione crudeli.
 
Boia cercasi
 
Anche nel 2005, è accaduto in alcuni stati che la mancanza del boia abbia impedito o ritardato l’esecuzione di condanne a morte.
In Bangladesh, in mancanza di boia ufficiali, si è pensato di far ricorso a detenuti “affidabili”. Il 6 maggio 2005 è stato impiccato Kamal Hossain Hawlader, di 26 anni. L’esecuzione è stata affidata a quattro detenuti di un’altra prigione, adeguatamente preparati.
A Singapore, il boia non può andare in pensione per mancanza di sostituti. Il 28 ottobre 2005, Darshan Singh, un uomo di 73 anni addetto all’esecuzione del trafficante australiano Nguyen Tuong Van e che ha impiccato oltre 850 prigionieri nei suoi 46 anni di servizio, ha detto di aver provato a insegnare il suo lavoro a due persone, ma quando è arrivato il momento di agire, entrambi si sono paralizzati e non hanno potuto farlo. Un funzionario carcerario era talmente sconvolto che se n’è andato immediatamente e si è dimesso dal carcere.
In Malesia, si è pensato a un incentivo economico. Nel marzo 2005, i funzionari delle prigioni malesi addetti alle impiccagioni e alle fustigazioni hanno ricevuto un aumento di paga. Per ogni impiccagione, il boia riceverà circa 100 euro al posto dei 60 euro di prima. Per ogni colpo di canna di bambù riceveranno 2 euro al posto dei 60 centesimi di prima.
 
LE PROSPETTIVE DELLA CAMPAGNA PER LA MORATORIA ONU DELLE ESECUZIONI
 
I dati numerici e i fatti politici contenuti in questo Rapporto 2006 di Nessuno tocchi Caino documentano la costante riduzione del numero dei paesi che applicano la pena di morte e una disposizione sempre più favorevole dei Governi a prendere posizione contro la pena di morte in sede internazionale.
Dei 192 paesi membri delle Nazioni Unite, 140 hanno ormai rinunciato a praticare la pena di morte.
Il 20 aprile 2005, la Commissione di Ginevra ha approvato la risoluzione contro la pena di morte per la nona volta consecutiva. Il numero record di cosponsor ottenuto quest’anno in Commissione testimonia del fatto che una risoluzione con gli stessi contenuti potrebbe essere approvata anche subito dall’Assemblea Generale dell’ONU, ma l’analisi dei dati evidenzia anche il limite rappresentato oggi dall’Unione Europea nella possibilità di sviluppare e rafforzare l’iniziativa internazionale contro la pena di morte. Per la prima volta nel 2005, non vi è stato nessun nuovo co-patrocinatore, segno evidente che l’Unione Europea rappresenta ormai un ostacolo e non un elemento di forza nel prosieguo dell’iniziativa in sede ONU. Non è stata in grado, infatti, di tenere insieme i 92 paesi che nell’arco di questi anni hanno sostenuto l’iniziativa all’ONU e tanto meno è riuscita a suscitare nuove simpatie.
La posizione dell’Unione Europea, diventata sempre più dubbiosa nel corso degli anni, è oggi decisamente contraria al passaggio della risoluzione pro moratoria in Assemblea Generale. È dell’avviso che sia più prudente aspettare finché non ci sarà un maggior consenso internazionale e una previsione di voto favorevole in Assemblea non solo certa nella maggioranza, ma prossima all’unanimità, preferendo intanto che il dibattito resti nell’ambito della Commissione diritti umani.
Non considera, l’Unione Europea, che una decisione a favore della moratoria da parte dell’organismo maggiormente rappresentativo della Comunità Internazionale, seppure presa a maggioranza, avrebbe l’indiscutibile effetto di consolidare l’opinione mondiale della necessità di mettere al bando le esecuzioni capitali così contribuendo allo sviluppo dell’intero sistema dei diritti umani.
D’altro canto, la Commissione diritti umani è stata profondamente riformata nel 2006 con la creazione del Consiglio per i diritti umani. Il Consiglio nasce sul presupposto di migliorare il sistema ONU a tutela dei diritti umani sostituendo la Commissione, secondo alcuni screditata, con un organo più autorevole ed efficace.
In base alle previsioni di voto di Nessuno tocchi Caino, una proposta di “moratoria universale delle esecuzioni, in vista dell’abolizione della pena di morte”, passerà con la maggioranza assoluta dei voti: tra i 97 e i 105 paesi voteranno a favore, tra i 17 e i 25 si asterranno, tra i 62 e i 69 voteranno contro, 7 sono quelli di cui non riusciamo a prevedere il comportamento di voto. Un emendamento tendente a riaffermare il primato della “giurisdizione interna” su questa come su altre materie inerenti ai diritti umani, che sarà certamente avanzato da Egitto e Singapore e altri paesi mantenitori, sarà respinto con 96 voti contrari, 74 voti a favore e 19 astensioni e 2 paesi indecisi tra voto contrario e astensione.
Sono dati che illustrano un sicuro e ampio successo in Assemblea Generale. Ma, per dare maggior forza all’iniziativa occorre sia espressione di un movimento, quello abolizionista, che non ha più le sue basi solo in Europa, ma è mondiale. Il progetto lanciato un anno fa da Nessuno tocchi Caino per la creazione di una “coalizione mondiale” di Governi promotori della risoluzione al Palazzo di Vetro si è sviluppato nel corso dell’anno.
Per quanto riguarda le Americhe dove, salvo gli Stati Uniti, non vi sono stati mantenitori e nel sud ci sono paesi che l’hanno abolita oltre un secolo fa come il Venezuela, il Costarica, l’Ecuador, l’Uruguay e il Brasile, la cui l’ultima esecuzione risale al 1855, è stato individuato nel Messico uno dei paesi che potrebbero essere tra i promotori della risoluzione pro moratoria al Palazzo di Vetro. La disponibilità del Messico, quale coordinatore dei paesi del nord e centro America, è stata confermata dalle autorità del paese nel corso di una missione compiuta da Nessuno tocchi Caino, dal 16 al 17 novembre 2005.
In Africa la pena di morte è caduta ormai in disuso. La situazione è totalmente cambiata negli ultimi anni: su 53 paesi, quelli mantenitori si sono ridotti a 19 e il trend appare ancora più significativo se si considera che nel 1990 vi era un solo paese abolizionista per legge, Capo Verde. Oggi, quelli che hanno abolito completamente la pena di morte sono 13, tra cui la Liberia che il 16 settembre 2005, con l’adesione al Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici volto all’abolizione della pena di morte, è diventato un paese completamente abolizionista.
In questo continente è il Senegal, abolizionista dal 10 dicembre 2004, che potrebbe entrare a pieno titolo nella coalizione mondiale. Il 24 giugno 2005, il Presidente della Repubblica del Senegal, Abdoulaye Wade, ha ritirato nella sede di Nessuno tocchi Caino il premio “L’abolizionista dell’anno 2005” e nell'autunno del 2006, in occasione della conferenza di Nessuno tocchi Caino per l’abolizione della pena di morte che riunirà a Dakar i 15 paesi dell’Africa occidentale, il Senegal potrà confermare il ruolo di leader africano nella campagna internazionale per la moratoria Onu.
Anche se l’Asia si è confermata nel 2005 essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo, non mancano esempi che vanno in senso opposto. In Asia centrale, dopo l’abolizione avvenuta nel febbraio 2005 in Tagikistan, il presidente Islam Karimov dell'Uzbekistan, il 1° agosto 2005, ha decretato l’abolizione della pena di morte nel paese, rinviando tuttavia l’entrata in vigore del provvedimento di tre anni.
Nel sud-est asiatico, è emblematico il caso di Timor Est, il primo stato nato nel terzo millennio all’insegna dell’abolizione della pena di morte, formalmente sospesa già nel 1999 grazie all’allora amministratore pro tempore dell’ONU, il compianto Sergio Vieira de Mello.
Australia e Nuova Zelanda sono stati in questi anni gli sponsor più fedeli della risoluzione a Ginevra e potranno svolgere un ruolo decisivo nei confronti dei piccoli paesi della regione e in vista di un voto all’ONU.
Per quanto riguarda l’Europa, i segnali sono contrastanti. Mentre dalla Gran Bretagna sembrano al momento giungere – in termini di posizioni di Governo e di società civile – le più forti resistenze alla moratoria ONU delle esecuzioni capitali, l’Italia, che nel 1994 è stata la prima a portare all’attenzione dell’Assemblea Generale la proposta di moratoria per poi, nel 1999, consegnare il testimone all’Unione Europea, nella speranza di dare così maggior forza alla battaglia per la moratoria, potrebbe riassumere l’iniziativa.
Il 23 maggio 2006, il Presidente del Consiglio Romano Prodi, nel corso del suo intervento alla Camera dei Deputati sulla fiducia al nuovo Governo ed in replica alla richiesta avanzata il giorno prima da Sergio D’Elia, deputato della Rosa nel Pugno e Segretario di Nessuno tocchi Caino, ha detto di ritenere “opportuno riprendere l’iniziativa italiana riguardo la moratoria della pena di morte che è uno dei punti fermi della nostra cultura e della nostra civiltà”.
Anche il Ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha confermato l’impegno italiano per l’abolizione della pena di morte nel mondo nel corso dell’illustrazione, il 14 giugno 2006, delle linee guida della politica estera di fronte alle Commissioni esteri e difesa riunite.
Il 19 luglio 2006, una mozione che impegna il Governo italiano a presentare una risoluzione a favore della moratoria alla prossima Assemblea generale dell’ONU, è stata depositata alla Camera dei Deputati dal deputato della Rosa nel Pugno Sergio D’Elia e da parlamentari appartenenti a tutti i gruppi ppolitici. La discussione in Aula è prevista per il 25 e 26 luglio. Se approvata, potrà essere portata a compimento l’iniziativa promossa 13 anni fa da Nessuno tocchi Caino e dal Partito Radicale Transnazionale sulla quale in questi anni vi è stata nel Parlamento italiano una convergenza straordinaria di maggioranza ed opposizione.
Grazie alla moratoria ONU – e in attesa dell’abolizione mondiale e totale – migliaia di condannati a morte potrebbero essere risparmiati: non solo quelli di cui tutti sanno e si preoccupano, i detenuti nei bracci americani, ma anche gli innominati e i dimenticati della pena di morte, i detenuti nei bracci della morte cinesi, iraniani, sauditi, vietnamiti, cubani e di tutti gli altri regimi autoritari che muoiono ammazzati nel silenzio e nell’indifferenza generali.