UN PREMIO AL FUTURO DEL RUANDA

Il Premier Romano Prodi consegna il Premio 'L'Abolizionista dell'Anno' al Presidente Kagame

04 Settembre 2007 :

le critiche di Nigrizia per la consegna del Premio L’Abolizionista dell’Anno al Presidente del Ruanda Paul Kagame meravigliano più per il tono singolarmente violento e poco consono al linguaggio che dovrebbero tenere uomini di chiesa, che per la sostanza. Purtroppo da tempo conosciamo le posizioni dei Comboniani su questa questione che sono molto distanti dalle nostre, ma che naturalmente rispettiamo. Tuttavia paragonare Kagame a Hitler e definirlo uno dei peggiori criminali della storia è un falso clamoroso di cui gli autori di queste dichiarazioni non possono non essere consapevoli. Il genocidio degli ebrei voluto da Hitler ha in effetti un parallelo in Ruanda. Si da però il caso che Kagame e il gruppo etnico a cui egli appartiene non fosse dalla parte dei carnefici, ma da quella delle vittime, e che solo l’intervento delle sue truppe ha posto fine al genocidio, mentre la comunità internazionale stava a guardare.
 
Hitler in Rwanda c’era, anzi ce n’erano vari e sono tutti quegli estremisti Hutu, appartenenti al clan del vecchio presidente Habyarimana, che hanno concepito, istigato ed eseguito il genocidio. Purtroppo le simpatie di una parte della chiesa ruandese erano per gli Hutu senza fare troppe distinzioni fra estremisti e moderati. Ancora più grave è il fatto che in qualche caso questa simpatia si sia spinta fino alla complicità nel genocidio, come è testimoniato dai processi nei confronti di religiosi che sono stati condannati non dalla giustizia dei vincitori, ma da quella di paesi occidentali.
 
Forse per mitigare queste gravi responsabilità, alcune componenti della chiesa, di cui Nigrizia sembra voler fare parte, si sono lanciati in una campagna forsennata per cercare di dimostrare che in Ruanda non c’è stato un genocidio ma una guerra civile, e che al limite, se proprio si vuole parlare di genocidio, c’è stato un doppio genocidio. Ciò vuol dire che le responsabilità delle milizie genocidarie Hutu e dei soldati di Kagame si bilanciano. Questa tesi è semplicemente insostenibile. In Ruanda c’è stato un solo genocidio, voluto, pianificato ed eseguito nelle forme più crudeli da un gruppo ben identificato di estremisti Hutu che ha coinvolto una massa sterminata di ruandesi di etnia Hutu intossicati da una propaganda frenetica e trasformati in crudeli assassini capaci di uccidere a colpi di macete centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini. I piccoli teschi spaccati dal macete che si conservano nei siti/musei del genocidio ne sono una testimonianza agghiacciante. Ignorare tutto questo orrore e definire Kagame una sorta di Hitler non è soltanto un tentativo maldestro di manipolazione della storia, è anche un insulto alle vittime e ai sopravvissuti del genocidio. E’ ugualmente un insulto a tutti coloro, sacerdoti compresi, che hanno rischiato la vita per strappare vittime designate dalle mani dei carnefici e che oggi fanno una lettura della storia molto lontana da quella di Nigrizia.
 
Non c’è dubbio che le truppe di Kagame hanno commesso a loro volta dei crimini e che bisognerà fare il necessario perché questi crimini siano puniti. Non c’è dubbio che migliaia di ruandesi, molti innocenti, sono stati uccisi nel corso delle guerre che hanno fatto seguito al genocidio, in Ruanda e in Congo. Ma nessuno può accusare in buona fede Kagame di avere pianificato e istigato lo sterminio degli Hutu e quindi di essere responsabile di una qualche forma di genocidio. Quanto alle responsabilità nel genocidio dei Tutsi e degli Hutu moderati esse sono tragicamente chiare. Il genocidio fu scatenato su larga scala solo qualche ora dopo l’abbattimento dell’aereo del Presidente Habyarimana, il che vuol dire che era stato pianificato fin nei dettagli dagli esponenti del vecchio regime molto tempo prima. Ugualmente pianificate erano state le modalità del genocidio al quale doveva partecipare il maggior numero possibile di ruandesi. La strategia diabolica degli artefici del genocidio era infatti molto semplice: se tutti sono colpevoli nessuno è colpevole. Volontariamente o involontariamente le posizioni come quelle espresse da Nigrizia portano acqua al mulino degli ultimi irriducibili artefici del genocidio che sono ancora arroccati nelle foreste del Congo.
 
Kagame non è certamente un angelo e il Ruanda non è il più fulgido modello di democrazia di tipo occidentale. Ma prima di salire in cattedra e dare lezioni bisogna ricordare che solo tredici anni fa un gruppo di estremisti ha scatenato in questo paese il più orribile genocidio del secolo scorso con l’intento di sterminare il gruppo etnico al quale una grande parte del gruppo dirigente attuale appartiene. Le ferite di questo orrore sono ancora aperte, e ci vorrà più di una generazione prima che si rimarginino. Forse sarebbe più saggio accompagnare il processo in corso di riconciliazione nazionale, anche se imperfetto, piuttosto che inventare teorie che cerchino di cancellare le responsabilità che tutti abbiamo avuto nella tragedia ruandese per non avere saputo fermare il genocidio quando potevamo farlo e per avere aspettato troppo tempo prima di riconoscerlo.
 
Il premio di Nessuno Tocchi Caino laurea Kagame come abolizionista dell’anno, non come campione di democrazia o di difesa dei diritti umani. Il fatto che ad abolire la pena di morte e ad aderire alla campagna per la moratoria universale delle esecuzioni capitali sia stato un paese come il Ruanda con la sua tragica storia è per noi un fatto di grande valore simbolico. Per questo abbiamo attribuito il premio al Presidente Kagame e siamo fieri di averlo fatto.
Kagame è stato anche accusato di aver abolito la pena di morte solo per consentire l’estradizione dei sospetti criminali che si sono rifugiati all’estero, ma è una critica ingiusta, perché il problema della pena di morte in caso di estradizione è stato risolto in passato con l’esclusione della pena capitale a chi è stato riconsegnato alle autorità ruandesi. Da questo punto di vista, la sua abolizione in Ruanda è stato un atto gratuito e unilaterale. Inoltre il dibattito sull’abolizione ha coinvolto non soltanto le aule parlamentari, ma tutta la popolazione, dalle università fino all’ultimo villaggio del Paese.
Riconosciamo al presidente Kagame la volontà politica di aver guidato il suo Paese all’abolizione della pena di morte come tappa di un processo di riconciliazione nazionale riconosciuto e apprezzato dalla Comunità internazionale, e anche il suo impegno a partecipare della coalizione mondiale di paesi che vogliono la moratoria universale delle esecuzioni. Questo è il Ruanda che noi abbiamo premiato: un Paese che ha deciso di fare i conti con il suo passato e di farlo interrompendo l’assurdo ciclo della violenza, dell’odio e della vendetta. Nelle situazioni “al limite”, anche le più catastrofiche, ci interessa di più cogliere i segnali e i passi, magari di un centimetro, che vanno però nella direzione giusta e che guardano al futuro, piuttosto che cristallizzare tutto e tutti al proprio passato. Il Premio a Kagame è un investimento sul futuro del Ruanda, non un riconoscimento del suo passato.
 
Nessuno tocchi Caino