02 Ottobre 2018 :
Un dato interessante che è contenuto nel rapporto “Crime in the United States, 2017” del Fbi è il cosiddetto “clearance rate”, ossia la percentuale di casi che la polizia considera risolti. Nel rapporto 2017 sono dati per risolti il 61,6% degli omicidi, 53,3% delle aggressioni aggravate, il 34,5 degli stupri, il 29,7 delle rapine, il 19,2% dei furti, il 13,5% dei furti in appartamento, e il 13,7% dei furti di veicoli. Il tasso di risoluzione degli omicidi negli scorsi anni era attorno al 64%. Indipendentemente dal calo registrato nel rapporto sul 2017, rimane evidente che molti omicidi non vengono risolti. Se i casi risolti sono quasi 10.650 (su 17.284), significa che 7.030 omicidi non vengono risolti. Questo è un argomento che viene citato dagli avversari della pena di morte, i quali mettono in fila 4 dati: il numero di omicidi, il numero di casi risolti, il numero di condanne a morte, e infine il numero di casi che arrivano all’esecuzione del reo. Prendendo ad esempio i dati del 2017, a fronte di 17.284 omicidi, ne sono stati risolti 10.650, sanzionati con la pena di morte 39 (secondo i dati del DPIC), e terminati con l’esecuzione 23 casi. Ovviamente le esecuzioni del 2017, e in molti casi nemmeno le condanne a morte, sono davvero riferibili a omicidi commessi nello stesso anno, ma nel complesso la validità del ragionamento rimane valida: se su oltre 17.000 omicidi solo poco più di 20 vengono puniti con una esecuzione, ha senso spendere così tante risorse (sia nei tribunali che nei bracci della morte) per una così bassa percentuale di casi? Suggeriscono, i fautori di questa impostazione, che i procuratori per motivi di visibilità, di successo, di carriera, diano la priorità a casi tutto sommato “semplici”, dove ci sia abbondanza di prove e quindi un’alta probabilità di ottenere una condanna a morte, e per fare questo non dedichino il loro tempo, né le risorse investigative adeguate, a casi più difficili, che rimangono così irrisolti. Se poi si aggiunge che ogni condanna a morte porta con sé una serie molto lunga di ricorsi che continuano a tenere impegnati i procuratori per diversi anni a venire, è molto forte l’argomento di chi sostiene che abolire la pena di morte consentirebbe di dirottare molte risorse umane ed economiche verso quella alta percentuale di casi che rimangono irrisolti. L’argomento viene contrastato dai fautori della pena di morte, i quali notano che invece il basso numero sia di condanne che di esecuzioni conferma che in effetti negli Stati Uniti la pena di morte viene riservata, come richiesto dalla legge, solo ai casi “peggiori tra i peggiori”. Il che in un certo senso è vero, ma è anche vero che permane una forte impressione di arbitrarietà sul fatto che solo 20 persone su 17.000 vengano scelte per essere “le peggiori tra le peggiori”. Occorre ricordare a questo proposito i diversi casi, che Nessuno tocchi Caino periodicamente segnala, di serial killer, alcuni anche con decine di omicidi alle spalle, anche di minorenni, che riescono ad evitare la pena capitale grazie all’impegno a far recuperare i cadaveri. Alcuni notano che se i “peggiori tra i peggiori” hanno un qualche livello di astuzia riescono a cavarsela, mentre vengono legati al lettino dell’esecuzione solo i “peggiori tra i peggiori” più impulsivi, meno previdenti, meno capaci di accurata premeditazione.