IRAN - Istituito ABAN, un tribunale internazionale per indagare sulle atrocità iraniane.

IRAN - ABAN Tribunal

17 Novembre 2020 :

Istituito ABAN, un tribunale internazionale per indagare sulle atrocità iraniane.

“Questo tribunale contribuirà a portare giustizia e, si spera, a impedire che tali atrocità si ripetano. Invia un messaggio alle vittime e alle loro famiglie che non sono state dimenticate". La notizia è riportata da IHR.

L'Aban Tribunal nasce per indagare sulle atrocità avvenute in Iran esattamente un anno fa, ed è stato istituito come iniziativa di Justice for Iran, Iran Human Rights (IHR) e la coalizione mondiale Ensemble Contre la Peine de Mort (ECPM) a nome delle famiglie delle vittime e dei manifestanti.

Il Tribunale dà mandato a un gruppo di rinomati avvocati internazionali a nome della comunità delle vittime, e della collettività, di indagare sulle violazioni dei diritti umani da parte dell'Iran durante un'ondata di proteste nel novembre 2019, che hanno provocato la morte di centinaia di manifestanti disarmati. Dopo aver ascoltato prove e deliberazioni, la giuria determinerà se le forze dell’ordine militari e paramilitari iraniane hanno commesso crimini previsti dal diritto internazionale.

Il tribunale sarà guidato da Hamid Sabi, un noto avvocato, con base a Londra, esperto di diritti umani che ha collaborato con il Tribunale per la Cina, il Tribunale per l’Iran, e l’ancora attivo Tribunale sugli Uiguri. Con Sabi lavorerà un panel di un massimo di sette membri indipendenti che si riunirà all'inizio del 2021.

Il Tribunale Aban - che prende il nome dal mese nel calendario ufficiale dell'Iran in cui si sono verificate le atrocità – ascolterà le testimonianze delle vittime e degli esperti durante tre giorni di udienze.

La sentenza del tribunale sarà annunciata nell'aprile 2021.

Annunciando l'istituzione del Tribunale oggi a Londra, nell'anniversario delle proteste, Shadi Sadr, Direttore esecutivo di “Justice for Iran “, ha dichiarato: “L'istituzione di questo Tribunale è urgente e necessaria. Quando la comunità internazionale chiude un occhio davanti a tali atrocità, chi sa cosa è successo ha la responsabilità morale di operare perché si ottenga giustizia, e vengano riconosciute le responsabilità".

Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore di Iran Human Rights, ha dichiarato: “Questo tribunale contribuirà a realizzare giustizia e, si spera, a impedire che tali atrocità si ripetano. Invia un messaggio alle vittime e alle loro famiglie che non sono state dimenticate. Invia anche un messaggio forte ai responsabili delle atrocità che vengono osservati, e un giorno saranno ritenuti responsabili dei crimini che hanno commesso".

Hamid Sabi, l’avvocato per i diritti umani che fungerà da coordinatore del Tribunale, ha dichiarato: “Coloro che hanno manifestato sono in prigione, o le loro famiglie sono sotto terribili pressioni. A coloro che sono stati uccisi sono stati negati i funerali. Circa 4.000 prigionieri sono in prigione a causa di queste atrocità e 15 di loro probabilmente riceveranno una condanna a morte. Attraverso l'istituzione del Tribunale, vogliamo che il mondo sappia cosa stanno affrontando i comuni cittadini, e sollecitiamo la comunità internazionale a fare pressione sul regime iraniano per fermare queste atrocità".

Sir Geoffrey Nice, l'avvocato britannico che ha prestato servizio come Procuratore al processo contro Slobodan Milosevic presso il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia, sostiene l'istituzione del Tribunale Aban. Sir Geoffrey ha detto: “Questo tribunale stabilirà - rapidamente ma in modo equo - la verità su quelli che sembrano essere crimini terribili commessi da uno stato con troppi poteri. "I tribunali del popolo colmano le lacune nella conoscenza e nell'informazione, create perché gli organismi nazionali e internazionali temono di dire la verità. Questo tribunale colmerà questa lacuna, e consegnerà le sue conclusioni a organismi in grado, ora o a tempo debito, di fare giustizia. Stabilirà anche una ricostruzione storica adeguata di ciò che è accaduto nel novembre 2019".

Le famiglie di due vittime della repressione iraniana, Bahman (Reza) Jafari ed Ershad Rahmanian, si sono unite oggi all'annuncio ufficiale e hanno accolto con favore l'istituzione del Tribunale.

Si ritiene che il laureato in informatica Reza Jafari, 28 anni, stesse andando a lavorare in un'autofficina nella città di Shiraz, nell'Iran centro-meridionale, quando è stato colpito quattro volte. Dina Jafari, cugina di sua madre che vive a Nottingham, nel Regno Unito, ha dichiarato: “Reza era un ragazzo straordinariamente calmo, tranquillo e gentile, pieno di vita. Era un artista e scultore e aveva molti sogni. Dopo l'uccisione di Reza, le forze di sicurezza hanno visitato la sua famiglia, offrendosi di designarlo come martire. Ma no, sono loro che hanno ucciso il nostro giovane uomo, nostro figlio non è un martire. L'unica cosa che ci aspettiamo da questo Tribunale è di agire come un tribunale giusto e di rendere giustizia per il nostro giovane, per tutti i giovani uomini".

Parlando da Oslo, Norvegia, Kamyar Admadi, il cui cugino Ershad Rahmanian, un 24enne laureato in anestesiologia operatoria che è stato trovato torturato e ucciso dopo aver partecipato alle manifestazioni dello scorso anno a Marivan, ha detto: “Ershad era un giovane gentile che amava la poesia, la letteratura e la musica classica. Gli agenti di sicurezza hanno minacciato molte volte la sua famiglia perché non creasse ulteriori fastidi, e dicesse che il loro figlio si era suicidato. La nostra famiglia si aspetta che il Tribunale del popolo riveli il vero assassino del nostro giovane e di altri giovani uomini".

Il Tribunale segue i risultati di rigorose indagini condotte dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e da organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch, Justice for Iran e Iran Human Rights che forniscono prove su gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle forze statali durante le proteste e sull'assoluta impunità di cui hanno goduto gli autori. Nonostante ciò, le autorità iraniane si sono rifiutate di indagare adeguatamente sulle uccisioni e di fornire risposte alle richieste di verità e giustizia delle famiglie delle vittime. Invece, le famiglie si sono dovute accontentare di proposte di denaro e di "martirio", mentre venivano minacciate e intimidite se avessero tentato di portare avanti le loro denunce.

Il 15 novembre 2019, a seguito di un improvviso e forte aumento dei prezzi del carburante, sono scoppiate proteste a livello nazionale in tutto l'Iran. Le proteste sono state in gran parte pacifiche, ma in alcune città le manifestazioni hanno danneggiato proprietà pubbliche e private. Al suo apice, dal 16 novembre, il governo ha imposto la chiusura quasi totale di Internet e ha condotto una brutale repressione contro i manifestanti. La polizia, la sicurezza e le forze militari hanno sparato e arrestato i manifestanti, mentre le autorità hanno limitato l'accesso alle informazioni.

Rapporti di uccisioni di manifestanti sono emersi sin dalle prime ore delle proteste. Sebbene il governo abbia ammesso la responsabilità di 225 morti, i media e le organizzazioni per i diritti umani hanno riportato un numero di vittime compreso tra 304 e 1.500. L'organizzazione per i diritti umani Justice for Iran ha documentato episodi di uso illegale della forza letale in 39 città, nel corso di meno di cinque giorni, provocando centinaia di morti e migliaia di feriti.

I gruppi per i diritti umani hanno avviato due iniziative come mezzi di minima giustizia e responsabilità per le famiglie delle vittime. Hanno chiesto l’istituzione di una Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite da parte di un gruppo di ONG internazionali e iraniane, e l'adozione di sanzioni in materia di diritti umani (compreso il congelamento dei beni e il divieto di viaggio) contro i responsabili da parte dell'UE.

Nonostante molti colloqui e promesse, la comunità internazionale non è riuscita a intraprendere alcuna azione significativa ed efficace.

La tradizione dei Tribunali Internazionali si rifà al cosiddetto “Tribunale Russell”, creato nel 1966 da Bertrand Russel e Jean Paul Sartre, per indagare sui crimini commessi dall'esercito statunitense nella guerra del Vietnam. I tribunali internazionali, anche definiti “tribunali dei popoli”, sono diventati movimenti preziosi per sensibilizzare e sostenere le vittime di atrocità di massa a cui è stata negata giustizia da parte di quelle istituzioni internazionali che avrebbero l’incarico di stabilire le responsabilità.

Il Tribunale sarà coordinato dagli avvocati Hamid Sabi e Regina Paulose.

Hamid Sabi è un avvocato per i diritti umani con sede a Londra che ha prestato servizio presso il Tribunale per la Cina, il Tribunale per l’Iran, e l’ancora attivo Tribunale sugli Uiguri.

Regina Paulose è un avvocato con base negli Stati Uniti che si occupa di diritto penale internazionale e diritti umani. Dal 2014 al 2016 è stata presidente del comitato direttivo del tribunale popolare britannico per gli abusi sessuali sui minori (UK Child Sex Abuse People’s Tribunal). Ha anche lavorato come membro del panel nel China Tribunal.

I membri del panel sono:

Colleen Rohan, Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY), Missione dell'UE sullo stato di diritto in Kosovo (EULEX) e tribunali per crimini di guerra in Kosovo e altri tribunali internazionali.

Dott.ssa Carla Ferstman, Docente senior, Facoltà di giurisprudenza, Università dell'Essex, Membro della Conferenza del Consiglio d'Europa sulle Ong, Expert Council on NGO Law e membro del comitato di esperti del “Gruppo di amici della Convenzione contro la Tortura”.

Elham Saudi, cofondatore e direttore di “Lawyers for Justice” in Libia, avvocato internazionale per i diritti umani e il diritto umanitario, ex Visiting Professor presso l'Helena Kennedy Center for International Justice, e Associate Fellow nel programma di diritto internazionale a Chatham House.

Nursyahbani Katjasungkana, procuratrice del tribunale internazionale per i crimini di guerra delle donne sulla schiavitù sessuale militare giapponese, coordinatrice del Tribunale Penale Internazionale sull'Indonesia (2014).

Wayne Jordash, fondatore di Global Rights Compliance, avvocato penale internazionale e specialista dei diritti umani, membro del Tribunale Speciale della Cambogia (ECCC), Corte internazionale di giustizia e Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) e altri tribunali internazionali.

Zak Yaccob, ex giudice, Corte costituzionale del Sud Africa.

https://iranhr.net/en/articles/4495/

 

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