La Corte Suprema ha respinto all’unanimità il ricorso di Yutaro Chiba, condannato a morte per aver ucciso 2 persone quando aveva 18 anni e sette mesi, età che in Giappone è considerata “minorenne”.

31 Luglio 2017 :

La Corte Suprema ha respinto all’unanimità il ricorso di Yutaro Chiba, condannato a morte per aver ucciso 2 persone quando aveva 18 anni e sette mesi, età che in Giappone è considerata “minorenne”. Commentando questa notizia, un editoriale del Japan Times mette in dubbio l’idoneità dei “lay judge trials” a gestire casi complessi. Nel maggio 2009 in Giappone è stata introdotta una nuova legge che affida i processi per determinati reati a corti miste, composte da 3 giudici professionisti, e 6 “laici”. I giudici “laici”, nl sistema giapponese, sono comuni cittadini che si iscrivono volontariamente ad una lista, vengono nominati, e dopo una sommaria formazione vengono usati con una funzione che è qualcosa di intermedio tra quello che in Italia sarebbe un giudice onorario e un giurato popolare.
Nel caso in questione, Yutaro Chiba, che oggi ha 24 anni, è accusato, ed in parte ha ammesso, di aver ucciso, il 10 febbraio 2010, Misa Nambu, 20 anni, sorella maggiore della sua ex fidanzata, e una amica della ragazza, Mikako Omori, 18 anni, e di aver ferito gravemente un altro uomo. I fatti sono avvenuti a Ishinomaki, nella prefettura di Miyagi. La legge giapponese prevede che in casi particolarmente gravi un minorenne possa essere processato come un maggiorenne. Chiba è ora la 7° persona nel braccio della morte del Giappone ad essere stato condannato per un reato commesso da minorenne. Quello di Chiba è però il primo caso di condanna a morte di un minorenne emesso da una “corte laica”. L’editoriale, riepilogando il processo, solleva diversi dubbi sulla capacità di una corte “laica” di affrontare casi complessi. Nel caso di Chiba il Japan Times ritiene che il tempo dedicato all’esame della vita familiare dell’imputato non sia stato sufficiente per decidere con cognizione di causa sulla eventuale applicazione di attenuanti. L’intero processo di primo grado durò 5 udienze, e si tenne nell’arco di 11 giorni. La sentenza di primo grado fu emessa dalla Corte Distrettuale di Sendai nel novembre 2010, confermata in appello nel 2014 dall’Alta Corte di Sendai, composta solo da giudice, e confermata oggi dalla Corte Suprema. Tutti e tre i gradi di giudizio sono stati concordi nel giudicare grave il caso e particolarmente egoiste e futili le sue motivazioni, facendo perdere all’imputato il diritto ad un processo ai sensi del Codice Minorile. L’editoriale contesta anche il fatto che comunque l’imputato avesse tenuto un comportamento processuale corretto, non contestando le principali imputazione, e che non avesse precedenti penali. Inoltre, il medico chiamato ad illustrare le condizioni mentali dell’imputato, definito “immaturo”, avesse anche dichiarato che c’erano le possibilità di un valido percorso rieducativo. La rieducazione e la riabilitazione sono il principio ispiratore del Codice Minorile, concetti che invece, contesta l’editoriale, confliggono con il concetto stesso di pena di morte. L’editoriale invita sia la Corte Suprema che il Ministero della Giustizia a valutare se sia il caso di affidare anche in futuro casi complessi come quello di Chiba alle corti “laiche”.
L’editoriale ricostruisce come, negli ultimi anni sia il Codice Minorile che la giurisprudenza si siano fatti più severi. Il codice minorile è stato modificato abbassando ‘età punibile da 16 a 14 anni, ed innalzando a 20 la pena massima erogabile ad un minore, pena che in precedenza era 15 anni. L’editoriale invita infine la Corte Suprema ed il Ministero di giustizia ad affrontare l’argomento in pubblico, con una riflessione se pene più severe per i minori, compresa l’impiccagione, possa davvero contribuire a diminuire il crimine, e sollecita un esame comparato su come altri paesi affrontino il tema della giustizia minorile.

 

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