USA - Texas. Le ultime parole dei condannati a morte saranno rese note solo se pronunciate oralmente.

02 Maggio 2019 :

Le ultime parole dei condannati a morte saranno rese note solo se pronunciate oralmente. In alternativa i condannati a morte potevano rilasciare delle brevi dichiarazioni scritte, che fino ad oggi venivano lette dal portavoce dell’Amministrazione Penitenziaria nella breve conferenza stampa in cui, tradizionalmente, si dà conto di ogni esecuzione compiuta. Il 24 aprile (vedi) è stato giustiziato John King. L’uomo non ha voluto fare nessuna dichiarazione finale, ma aveva consegnato agli agenti un foglio con una dichiarazione scritta: “Capital punishment: them without the capital get the punishment.” La breve frase significa “Pena Capitale: quelli senza capitale si prendono la pena”. La frase di King è una citazione dell’epigramma con cui chiudeva le lettere dal braccio della morte John Spenkelink, giustiziato in Florida nel 1979. Spenkelink scriveva infatti “capital punishment means those without capital get the punishment.” La frase ha suscitato le ire del senatore John Whitmire (69 anni, bianco, Democratico, presidente della Commissione Giustizia), che in una lettera recapitata ieri alle autorità penitenziarie ha sostenuto che i detenuti se hanno qualcosa da dire dovrebbero dirla solo nel momento in cui sono già legato al lettino dell’esecuzione. Nell’arco di 24 ore l’Amministrazione Penitenziaria, con una dichiarazione del direttore Bryan Collier, ha fatto sapere di aver modificato il protocollo di esecuzione, e da adesso in poi al condannato saranno concesse solo le dichiarazioni orali, quelle scritte verranno allegate al pacco con i beni personali del detenuto. È la seconda volta il poche settimane che l’Amministrazione Penitenziaria modifica in senso restrittivo il protocollo di esecuzione. Il 3 aprile (vedi) l’Amministrazione aveva infatti deciso di non ammettere più i “consiglieri spirituali” nella stanza della morte. Era accaduto che il 28 marzo (vedi) la Corte Suprema degli Stati Uniti, in contrasto con una sua decisione di pochi giorni prima, aveva sospeso l’esecuzione di Patrick Murphy in Texas perché l’uomo aveva chiesto di essere assistito spiritualmente non da un cappellano cristiano ma da un reverendo buddista, e l’Amministrazione Penitenziaria aveva respinto questa richiesta. Pochi giorni prima (vedi 7 febbraio), in Alabama, era stato giustiziato un uomo, Dominique Ray, che aveva chiesto senza successo di essere assistito da un imam. Inizialmente una corte federale aveva concesso un rinvio, rinvio poi annullato con un voto 5-4 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. La cosa aveva sollevato molte polemiche, anche in base alla semplice riflessione che la libertà di religione, garantita dalla Costituzione, non si vede perché non debba valere per le ultime ore di un condannato a morte. A differenza dell’Alabama che prevedeva solo un sacerdote cristiano, il Texas prevede che un condannato a morte possa essere assistito da un sacerdote cristiano o da un imam musulmano. Di fronte alla sentenza della Corte Suprema, l’Amministrazione Penitenziaria invece di allargare la platea di consiglieri spirituali ha deciso di azzerarla. Dopo il 3 aprile i consiglieri spirituali potranno assistere alle esecuzioni solo dalla sala riservata ai “testimoni”. Le proteste del senatore Whitmire già nel 2011 avevano indotto l’Amministrazione a modificare il protocollo di esecuzione. Dopo che un condannato a morte, Brewer, aveva ordinato un cospicuo ultimo pasto, che però poi non aveva consumato, Whitmire aveva scritto al direttore esecutivo del Texas Department of Criminal Justice, il quale poche ore dopo aveva disposto che da quel momento in poi al condannato in attesa di esecuzione sarebbe stato servito lo stesso identico pasto di tutti gli altri detenuti del braccio della morte. Kristin Houle, direttrice della Texas Coalition to Abolish the Death Penalty, ha detto che cambiare procedure consolidate a causa del comportamento di una sola persona è inappropriato. "Nessuno di noi sa quale sarà il proprio stato d'animo o la compostezza in punto di morte. È una ulteriore misura punitiva messa in atto fuori tempo massimo, quando già lo Stato si appresta a prendere la vita di una persona”.

 

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