YEMEN: IL COMITATO PER LA PROTEZIONE DEI GIORNALISTI CHIEDE LA LIBERAZIONE DEI 4 GIORNALISTI CONDANNATI A MORTE

Miliziani Houthi a Sanaa, 08/04/2020

14 Aprile 2020 :

Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) l'11 aprile 2020 ha espresso preoccupazione per la decisione del gruppo Ansar Allah, noto come Houthi, di condannare a morte Abdulkhaleq Amran, Akram al-Waleedi, Hareth Hameed e Tawfiq al-Mansouri e ha esortato gli Houthi a liberare loro e tutti gli altri giornalisti in loro custodia. Un procedimento giudiziario istituito dagli Houthi a Sanaa ha pronunciato l’11 aprile la sentenza capitale contro i quattro giornalisti, secondo l'avvocato dei giornalisti Abdel Majeed Farea Sabra; Abdullah al-Mansouri, fratello di Tawfiq al-Mansouri; e Nabil Alosaidi, copresidente dei giornalisti yemeniti, che hanno comunicato con il CPJ tramite app di messaggi. Gli Houthi hanno emesso le condanne a morte dopo aver trattenuto i giornalisti per quasi cinque anni, secondo quanto riferito dal CPJ.
"In un momento in cui lo Yemen ha bisogno di notizie e informazioni accurate più che mai, questa sentenza è davvero sconcertante”, ha detto il ricercatore CPJ per il Middle East e Nord Africa Justin Shilad. "Esortiamo gli Houthi a tornare indietro immediatamente su questa decisione e a rilasciare tutti i giornalisti in loro custodia".
Secondo una copia dell’atto di accusa inviato da Alosaidi e Sabra al CPJ, i giornalisti sono stati accusati di diffondere false notizie "a sostegno dei crimini dell'aggressione saudita e dei suoi alleati contro la Repubblica dello Yemen".
Sabra ha detto al CPJ che è possibile presentare appello e che lo avrebbe fatto. Tuttavia, Sabra ha anche detto al CPJ di non essere stato in grado di rappresentare adeguatamente i suoi assistiti o di difenderli in aula, anche quando la sentenza è stata emessa.
Sempre l’11 aprile, nello stesso tribunale, altri sei giornalisti detenuti - Hesham Tarmoum, Hisham al-Yousifi, Essam Balghaith, Haitham al-Shihab, Hassan Anaab e Salah Al-Qaedy - sono stati condannati a pene detentive e a tre anni di supervisione della polizia, secondo Sabra, Alosaidi e Abdullah al-Mansouri.

 

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