RAPPORTO ANNUALE DI NESSUNO TOCCHI CAINO SULLA PENA DI MORTE E SULLO STATO DEI DIRITTI UMANI IN IRAN

25 Novembre 2019 :

Il 20 novembre è “Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”. Nel mondo ci sono 5 Stati che non applicano agli adolescenti le attenuanti della “giovane età”, e li giustiziano con regolarità. Tra questi Stati uno, l’Iran, da solo ha messo a morte più del doppio di tutti gli altri stati messi assieme.

L’interscambio economico con quella che è la 2° economia del Medio Oriente è diminuito negli ultimi anni per effetto delle sanzioni della UE e degli USA. Ancora oggi però supera i 4,5 miliardi di euro l’anno. L’opposizione politica iraniana, quella vera, quella costretta all’esilio, chiede agli europei di inserire un forte riferimento al tema dei diritti umani all’interno delle varie trattative commerciali bilaterali. L’Italia, con la sua lunga tradizione di “realismo politico” è da molti anni estremamente vaga sull’argomento. E nei periodi di crisi economica la tendenza a considerare i diritti umani una cosa “vaga e accessoria” è ancora più forte, lo sappiamo. Però Nessuno tocchi Caino invita una volta di più ad un momento di riflessione. Torniamo a chiedere che l’Italia e l’Unione Europea inviino un segnale esplicito alla Repubblica Islamica dell’Iran: i diritti umani non sono una forma di “colonialismo culturale” che l’Occidente vuole imporre a stati che considera “vassalli” o comunque “inferiori”. I diritti umani sono una cosa seria, importante, il cui riconoscimento è il fondamento stesso della Civiltà Umana.

 

La situazione dei diritti umani in Iran partendo dal punto di osservazione della pena di morte

 

La banca dati di Nessuno tocchi Caino, realizzata fondendo i dati delle principali Ong per i diritti umani iraniane (http://www.nessunotocchicaino.it/documento/esecuzioni-in-iran-dal-2018-50303789), registra “almeno 327” esecuzioni nel 2018, e “almeno 254 nel 2019 alla data del 19 novembre”.

Tra queste, “almeno 13” hanno riguardato ragazzi e ragazze che al momento del reato ascritto sembra avessero meno di 18 anni.

 

Le esecuzioni di “minori” pongono l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato.

 

Nel 2019, sono stati giustiziati almeno 6 giovani che, fonti indipendenti, hanno indicato come minorenni al momento in cui avevano commesso il reato. In alcuni casi i ragazzi sembra fossero minorenni anche al momento dell’esecuzione.

7 “minori” erano stati impiccati anche nel 2018. 2 di loro erano ragazze, entrambe avevano ucciso il marito che erano state costrette a sposare a 13 e 15 anni.

 

Un rapporto di Amnesty, basato su dati Onu che abbracciano il periodo 1990/2018 (“EXECUTIONS OF JUVENILES SINCE 1990 AS OF APRIL 2019” https://www.amnesty.org/en/documents/act50/0233/2019/en/), ha documentato 145 esecuzioni di minori autori di reati in 10 paesi: Cina, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Sud Sudan, Sudan, Stati Uniti e Yemen. Molti di questi paesi hanno nel frattempo modificato le loro leggi, e l’esecuzione di minori non è più consentita. Dal 2013 ad oggi, sono 5 i paesi che hanno continuato a giustiziare minorenni: Arabia Saudita, Iran, Pakistan, Sudan del Sud e Yemen. L'Iran ha

giustiziato più del doppio dei minori rispetto agli altri nove paesi messi insieme. Unendo i dati del rapporto di Amnesty ai dati raccolti da NtC negli ultimi 2 anni, l’Iran ha mandato sul patibolo almeno 103 “minorenni” dal 1990 ad oggi. Con i dati aggiunti da NtC, i minori giustiziati dal 1990 nel mondo salgono a 151, 103 dei quali uccisi dall’Iran.

 

Numeri più alti vengono forniti dalla Fondazione Abdorrahman Boroumand nel suo rapporto “Children, Yet Convicted as Adults” (https://www.iranrights.org/attachments/library/doc_550.pdf): i minori giustiziati in Iran dal 2000 sarebbero “almeno 140”.

Il rapporto ufficiale dello “Special Rapporteur” Javaid Rehman segnala che nonostante alcune rassicurazioni formali l’Iran non sembra affatto intenzionata a cessare la pratica di giustiziare minori. Alla data del rapporto (23 ottobre 2019) nei bracci della morte iraniani sarebbero detenuti almeno 90 giovani che avevano meno di 18 anni al momento del reato. La Fondazione Abdorrahman Boroumand nel rapporto già citato dice che a maggio 2019 i minori nei bracci della morte erano “almeno 85”.

Come si vede, i dati sono sempre approssimativi. Le onlus che seguono da vicino la situazione iraniana calcolano che le autorità rendano noto ufficialmente solo ¼ delle esecuzioni, e quanto ai rapporti ufficiali Onu, da molti anni gli “Special Rapporteur” nominati non solo non riescono a visitare le carceri, ma spesso non ottengono nemmeno il visto di ingresso nel paese. Alle critiche internazionali per il mancato rispetto dei diritti umani, le autorità iraniane rispondono sostenendo che il concetto stesso di “diritti umani” è una variazione sul tema dell’imperialismo occidentale, e insistere su questo argomento denota “mancanza di rispetto per la tradizione islamica”.

 

La legislazione capitale per i minori

In teoria nell’aprile 2013 una riforma, sollecitata più volte dalla comunità internazionale, avrebbe dovuto abolire la pena di morte per i minori. In realtà la modifica (articolo 87 del nuovo codice) consiste non in una vera abolizione, ma nell’aver “concesso” potere discrezionale ai giudici. Più precisamente, la pena di morte è abolita per i reati di tipo “Ta’zir”, ed è diventata discrezionale per i reati di tipo Hoddud e Qesas.

 

Come è noto, nel 1979 in Iran c’è stata una “rivoluzione” che ha instaurato un regime “religioso”, di osservanza islamica sciita.

Il codice penale è stato reimpostato in base alla tradizione coranica della Sharia. Riassumendo molto sommariamente, il codice penale iraniano fa riferimento a due tipologie di reati che, essendo già citati nel Corano (i reati definiti Hoddud e Qesas) sono considerati insindacabili, e insindacabile è la punizione, impostata sempre sulla massima severità. I reati Hoddud (o Hodud o Hudud) sono considerati reati “morali” “insindacabili” perché citati espressamente nel Corano. Le pene previste sono severissime ed indiscutibili. I 6 reati Hudud sono: l’apostasia (Riddah), la fornicazione e l’adulterio (Zina), la falsa accusa di fornicazione e di adulterio (Qadf), il furto (Sariqa), il saccheggio a mano armata (Hiraba) e il bere alcolici (Shurb al Khamr). Questi sei reati sono considerati particolarmente gravi perché ritenuti molto pericolosi per il benessere e la pacifica coesistenza della Ummah Islamica nel suo complesso. Nel caso del furto, ad esempio, l’art. 201 prevede che per una prima condanna la punizione sia l’amputazione di 4 dita della mano destra, per una seconda condanna l’amputazione del piede sinistro, per una terza condanna l’ergastolo, e per una quarta condanna l’impiccagione.

I reati Qesas (o Qisas) sono i reati di sangue, che quando non rientrano in un complotto per danneggiare lo stato o la religione, sono considerati “disputa tra privati cittadini”. Anche qui le pene sono determinate dal Corano e dalla sunna, quindi la discrezionalità del giudice è limitata. Essi sono puniti con la legge del taglione, la quale - a discrezione della vittima o della sua famiglia - può essere sostituita dal prezzo del sangue o dal perdono. Il termine “Qesas” significa infatti “restituzione dello stesso tipo”. Colloquialmente, questo viene definito in Occidente come "occhio per occhio” o “legge del taglione”.

il codice penale iraniano prevede che l’omicidio (senza distinzione di grado tra premeditato, volontario o involontario) sia punito con “qisas”, ossia “restituzione dello stesso tipo”. In questo modo lo Stato pone sui familiari delle vittime la responsabilità delle esecuzioni. Nei casi “qisas” i familiari hanno la possibilità di

perdonare, oppure di chiedere un “diya”, un risarcimento, termine che in italiano viene tradotto con “prezzo del sangue”. In molti casi in realtà i familiari della vittima vengono incoraggiati a porre personalmente il cappio al collo del condannato, e a volte anche a completare l’esecuzione togliendo la sedia da sotto i piedi del condannato.

 

Una terza categoria di reati, definiti “Ta’zir” abbraccia quelli che in un certo senso potremmo definire reati “moderni”, quelli che ai tempi del Corano non erano prevedibili (ad esempio i reati di droga), o che comunque non sono stati citati nel Testo Sacro.

 

Sui reati Ta’zir i giudici hanno un certo livello di discrezionalità, sugli Hoddud e Qesas no.

Gli articoli 145 e 146 del nuovo codice penale hanno lasciato invariata l’età minima della responsabilità penale: nove anni lunari per le ragazze e quindici anni lunari per i ragazzi. L’età così bassa per le ragazze secondo molte fonti viene fatta risalire alla storia di Aisha, la terza moglie di Maometto e la sua “Preferita”. Aisha avrebbe avuto 6 anni al momento del matrimonio, matrimonio che però sarebbe stato “consumato solo al compimento dei 9 anni. Da allora nella tradizione islamica più osservante una bambina di 9 anni viene considerata “donna” a tutti gli effetti.

Nel caso dei minori la nuova legge (Articolo 90 del nuovo codice) consente ai giudici, nel caso i giovani imputati riescano a dimostrare la loro immaturità (“solo se è accertato che non erano mentalmente maturi e sviluppati al momento del reato e non potevano riconoscere e apprezzare la natura e le conseguenze delle loro azioni”), la discrezionalità anche sui reati capitali.

In quanto Stato parte della Convenzione sui diritti del fanciullo e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, l'Iran sarebbe legalmente obbligato a trattare come minore un minore di 18 anni e a garantire che non sia mai soggetto alla pena di morte o ergastolo. A volte sorgono dubbi sull’età ei minorenni a causa del fatto che in Iran è in vigore l’anno lunare islamico, che dura 11 giorni meno dell’anno solare occidentale. Come raffronto, ad esempio, quando un adolescente “occidentale” compie 18 anni, un pari età iraniano avrà 17 anni e mezzo.

Nella pratica corrente, i giovani in Iran vengono tenuti in detenzione fino al compimento della maggiore età, e poi impiccati, confidando che l’aver raggiunto i 18 anni possa tenere a bada alcune delle critiche internazionali.

 

 

Di seguito, in ordine cronologico, i principali aggiornamenti del 2019 sulla situazione dei diritti umani in Iran. Tutti questi aggiornamenti, ed altri, sono pubblicati sul sito http://www.nessunotocchicaino.it/. La sezione dedicata all’Iran è su: http://www.nessunotocchicaino.it/bancadati/asia-medio-oriente-australia-e-oceania/iran-50000056.

 

 

18/11/2019 IRAN Un rapporto di Amnesty, con i dati aggiornati al 2018, ha documentato 145 esecuzioni di minori autori di reati in 10 paesi: Cina, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Sud Sudan, Sudan, Stati Uniti e Yemen. Molti di questi paesi hanno nel frattempo modificato le loro leggi, e l’esecuzione di minori non è più consentita. Dal 2013 ad oggi, sono 5 i paesi che hanno continuato a giustiziare minorenni: Arabia Saudita, Iran, Pakistan, South Sudan e Yemen. L'Iran ha giustiziato più del doppio dei minori autori di reato rispetto agli altri nove paesi messi insieme. Unendo i dati del rapporto di Amnesty ai dati raccolti da NtC negli ultimi 2 anni, si arriva ad un totale di almeno 103 “minorenni” che l’Iran ha mandato sul patibolo dal 1990 ad oggi. Con i dati aggiunti da NtC, la proporzione è chiara: i minori giustiziati dal 1990 nel mondo salgono a 151, 103 dei quali uccisi dall’Iran. L'Iran è firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, che vieta l'uso della pena di morte. (Fonte: Amnesty International, NtC) La tabella con i 103 minorenni giustiziati è su: http://www.nessunotocchicaino.it/notizia/iran-103-adolescenti-giustiziati-dall-iran-per-reati-commessi-da-minorenni-50312428

 

 

27/01/2019

2300 bambini in carcere con le madri, e 1800 affidati ai servizi sociali dopo il compimento dei 2 anni. Almeno 1.800 bambini sono stati separati dalle loro madri detenute e sono stati consegnati alla Welfare Organization, secondo quanto riferito dall'agenzia di stampa statale ILNA il 26 gennaio. Citato da ILNA, Mohammad Nefriyeh, direttore generale degli Affari dei Bambini e dei Giovani nell'organizzazione del welfare, ha dichiarato: “Secondo un memorandum tra l'organizzazione del welfare e le varie amministrazioni carcerarie, tutti i bambini che vivono con le loro madri in carcere, una volta raggiunti i due anni devono essere consegnati all'organizzazione di assistenza sociale." Rivelando che il regime iraniano considera che le madri detenute non siano portatrici di alcun diritto, Nefriyeh ha proseguito dichiarando: “Non è compito nostro istituire asili nido nelle carceri. Le condizioni carcerarie sono condizioni speciali di sicurezza. Pertanto, non è possibile istituire asili in carcere". Ha sottolineato la separazione di 1.800 bambini dalle loro madri e ha detto: "Attualmente ci sono 1.800 bambini nei centri di assistenza sociale le cui madri sono imprigionate, e fino a quando la madre viene liberata e ha le condizioni per prendersi cura di suo figlio, il bambino sarà tenuto in uno dei nostri centri". Non è chiaro se la cifra di 1800 comprenda bambini tolti dalle prigioni nell’arco di diversi anni, o se sia un fenomeno degli ultimi mesi. Due anni fa infatti aveva suscitato un certo scalpore la cifra di 2300 bambini che vivevano in carcere assieme alle loro madri. Mohammad Javad Fathi, membro della commissione giudiziaria del parlamento iraniano, aveva annunciato il 22 luglio 2017 che oltre 2300 bambini vivevano in prigione insieme ai loro genitori, una situazione che è "molto strana" e "sulla quale si deve intervenire con una legge". Fathi aveva esortato l'Organizzazione delle Prigioni a fornire una "statistica trasparente sul numero di madri detenute", aggiungendo: "Nascondere le cifre non risolve alcun problema, sebbene i numeri alti possano essere davvero deplorevoli". Nel maggio 2018, la deputata per la pianificazione e il coordinamento presso la direzione per le donne e la famiglia, Attahareh Nejadi, ha presentato un rapporto sulla sua visita nelle carceri femminili. Ha rivelato che il numero di donne detenute in Iran è il doppio delle capacità delle carceri. Nejadi ha dichiarato: "Visitando le prigioni del paese, non ho trovato la situazione delle donne appropriata. Le donne detenute per reati minori o comunque non volontari sono autorizzate a tenere i loro bambini piccoli in prigione; i loro figli sanno solo della vita in prigione. Secondo le informazioni esistenti, l'età media di queste donne è compresa tra 17 e 37 anni”. La presenza di così tanti bambini piccoli nelle carceri in Iran è tragica, soprattutto considerando che le leggi internazionali chiedono a tutti i governi di ridurre solo a casi di estrema gravità l’uso di pene detentive per donne con bambini piccoli, indicando espressamente che loro pene detentive devono essere sostituite da punizioni alternative tra cui la "sospensione della detenzione".

(Fonti: Iran Human Rights Monitor) https://iran-hrm.com/index.php/2019/01/27/1800-children-separated-from-their-imprisoned-mothers/

 

 

07/03/2019

L’ultraconservatore Ebrahim Raisi è stato nominato capo del sistema giudiziario in Iran. In Iran il politico ultraconservatore Ebrahim Raisi, 60 anni, conosciuto per avere condannato a morte migliaia di prigionieri politici negli anni Ottanta, ovvero durante il decennio successivo alla rivoluzione khomeinista, è stato nominato nuovo capo del sistema giudiziario del paese. Raisi assumerà l’incarico venerdì e prenderà il posto di un altro religioso molto conservatore, Sadegh Larijani. Nelle elezioni presidenziali del maggio 2017 Raisi era giunto secondo, con il 37%, alle elezioni presidenziali, vinte da Hassan Rohani con il 56%. Raisi è stato nominato direttamente dalla Guida Suprema, Ali Khamenei, la principale carica politica e religiosa dell’Iran, considerata anche la massima rappresentazione dell’ultraconservatorismo del regime iraniano. Secondo alcuni esperti, la nomina di Raisi permetterà di mantenere il sistema giudiziario sotto lo stretto

controllo dell’ala più intransigente del regime, che da anni si contrappone all’ala moderata guidata dal primo ministro Hassan Rouhani, e di marginalizzare ancora di più i cosiddetti “riformisti”, che si potrebbero definire in maniera un po’ approssimativa lo schieramento “più a sinistra” della politica iraniana.

(Fonti: The Iraniana Primer, Il Post) https://iranprimer.usip.org/blog/2019/mar/08/ebrahim-raisi-appointed-judiciary-chief

 

 

09/05/2019

Documenti dimostrano che la magistratura ha mentito sui minori giustiziati. In risposta alla smentita della magistratura sull'esecuzione segreta di due minorenni giovedì 25 aprile a Shiraz, Iran Human Rights Organization ha rilasciato i certificati di nascita dei due minori giustiziati. Secondo i certificati di nascita di Mehdi Sohrabifar e Amin Sedaghat, i due erano ancora minorenni al momento dell'esecuzione ed entrambi sotto i 17 anni al momento del presunto reato. I documenti contraddicono le affermazioni del portavoce del potere giudiziario, Gholamhossein Esmaili, che martedì 7 maggio ha dichiarato in una conferenza stampa: “Avevano più di 17 anni, la loro età era più alta di quanto era stato annunciato, perché i giovani non sono capaci di commettere rapine a mano armata, stupri e rapimenti." Il portavoce della Ong Iran Human Rights Organization ha dichiarato: “Se le persone di età inferiore a 18 e 17 anni non sono in grado di commettere crimini violenti, perché non abolire completamente la condanna a morte per le persone di età inferiore ai 18 anni? Negli ultimi 5 anni, quasi 40 minori sono stati giustiziati in Iran, e la maggior parte di loro aveva tra i 15 e i 18 anni mentre commetteva il reato. L'Iran ha il maggior numero di esecuzioni di minori nel mondo".

(Fonti: Iran Human Rights Organization) https://iranintl.com/en/world/documents-prove-judiciary-has-lied-about-executed-minors

 

 

07/07/2019

L'Iran prevede la “donazione” di organi da parte dei condannati a morte. Lo ha detto Ebrahim Raisi (anche scritto Raeesi) in una conferenza stampa. Raisi nel marzo 2019 è stato nominato a capo del sistema giudiziario dell’Iran, praticamente è il ministro della giustizia. Raisi è stato nominato direttamente dalla Guida Suprema, Ali Khamenei, la principale carica politica e religiosa dell’Iran, ed è conosciuto in patria e all’estero per aver fatto parte della cosiddetta “Commissione della morte” che nel 1988 ordinò l’esecuzione di massa di 30.000 prigionieri politici. Illustrando una recente modifica al codice penale, ha spiegato che ora i detenuti del braccio della morte verranno autorizzati a “offrire” i propri organi, sia prima che dopo l’esecuzione. La “donazione” dovrà essere approvata da un giudice, dal Ministero della Giustizia, e in ultima istanza da un medico legale che dovrà appurare se gli organi sono idonei alla donazione. La nuova legge è stata criticata pesantemente dall’Associazione Iraniana dei Chirurghi, da cui è stata definita “estremamente preoccupante, lesiva della nostra professione e della reputazione dell’Iran agli occhi del mondo civilizzato”. L’agenzia filogoverantiva ISNA ha intervistato un professore, non identificandolo, che lavora nell’unità dei trapianti di fegato al cosiddetto “Khomeini hospital” di Teheran. Il professore ha detto che “nessun chirurgo specializzato seguirebbe la legge, perché è immorale e contro tutti i valori della nostra professione”. “Nessuna persona condannata a morte, ha argomentato il professore, sarebbe nelle adeguate condizioni mentali di offrire “volontariamente” i propri organi, a meno che non sia obbligata a farlo sotto enormi pressioni. I membri della nostra associazione dei chirurghi non rispetteranno mai questa legge”. La legge nasce forse dal fatto che allo stato attuale l’Iran ha un enorme deficit di organi per i trapianti, soprattutto reni, cuori e fegati, e soprattutto per coloro che non sono in grado di pagare. Secondo Katayoun Najafizadeh, direttore dell’Associazione Donatori Iraniani, sono oltre 25.000 i pazienti in lista d’attesa, ma gli organi disponibili sono in media meno di 1.000 l’anno. Nel 2018 ad esempio si sono resi disponibili 926 organi, la maggior parte da vittime di incidenti automobilistici. Inoltre, a complicare la situazione, poiché in Iran è legale vendere organi, migliaia di pazienti da altre nazioni del Medio Oriente si rivolgono a cliniche private iraniana per effettuare trapianti a pagamento, scavalcando così sia la lista

d’attesa nei loro paesi, che in Iran. La mancanza di organi, e la crescente povertà della popolazione, ha creato un mercato nero degli organi, dove un rene può essere venduto a circa 200 euro.

(Fonti: ncr-iran.org) https://www.ncr-iran.org/en/news/human-rights/26431-iran-to-sell-organs-of-death-row-inmates https://www.telegraph.co.uk/news/2019/07/07/organs-executed-prisoners-iran-could-sold-new-law/

 

 

 

31/07/2019

Le attiviste civili iraniane Yasaman Aryani, Monireh Arabshahi e Mojan Keshavarz, sono state condannate a lunghe pene detentive dalla 28° sezione del Tribunale Rivoluzionario Islamico. Sono detenute nella prigione di Qarchak (Gharchak). Sono state trasferite in tribunale il 31 luglio 2019, per ricevere il verdetto senza la presenza dei loro avvocati. Ciascuna delle imputate è stata condannata a cinque anni di prigione per "adunata illegale e cospirazione contro la sicurezza nazionale", un anno per "diffondere propaganda contro il sistema" e 10 anni per "incoraggiare e facilitare l'immoralità e la prostituzione". Inoltre, Mojgan Keshavarz è stato condannato a 7 anni di reclusione per "offesa alla santità". Secondo la legge iraniana, in caso di condanne per imputazioni multiple, va scontata la pena più alta. In questo caso, ognuna di loro dovrebbe scontare 10 anni. Una fonte ben informata ha detto a IHR, "Saba Kord Afshari, un’altra co-imputata che è stata arrestata dopo le tre, non ha ancora ricevuto il suo verdetto". HRANA (Human Rights Activists News Agency) ha citato l'avvocato di Yasaman e Monireh, Amir Raeisian, "Gli avvocati non sono stati autorizzati a prendere parte al processo e non erano presenti durante gli interrogatori né alle udienze". Yasaman Aryani è stata arrestata il 10 aprile 2019 dalle forze di sicurezza. Sua madre Monireh Arabshahi è stata arrestata il giorno dopo. Mojan Keshavarz è stata arrestata il 25 aprile. Sono state arrestate dopo aver distribuito fiori e dolciumi sui vagoni della metropolitana di Teheran in occasione della Giornata internazionale della donna 2019.

(Fonte: Iran Human Rights) https://iranhr.net/en/articles/3861/

 

 

23/08/2019

200 donne protestano per le condizioni disumane della prigione di Qarchak. Quasi 200 detenute nella famigerata prigione di Qarchak a Varamin descrivono in dettaglio le orribili condizioni della prigione in una lettera al direttore generale delle prigioni di Teheran. Le detenute hanno annunciato sabato 17 agosto 2019 che avrebbero rifiutato il cibo fornito dall’amministrazione fino a quando le loro richieste non fossero state soddisfatte. Nella loro dura lettera al direttore generale delle carceri, Heshmatollah Hayat al-Ghayb, le donne detenute nella sezione 5 della prigione di Qarchak, hanno scritto che a causa delle terribili condizioni di detenzione alcune donne, sopraffatte dal dolore emotivo, dall’intensa rabbia e dalla frustrazione avevano cominciato a compiere atti di autolesionismo. Altre ancora sono stati costrette a lavorare per le loro compagne di cella, lavando i loro panni sporchi, per guadagnare piccole cifre per comprare alcuni beni essenziali. Infatti, poiché alle loro famiglie è stato vietato di portare loro vestiti dall'esterno della prigione, sono state costrette a comprare vestiti a caro prezzo e di bassa qualità dallo spaccio interno della prigione. Le donne hanno ricordato di aver passato due settimane molto dure mentre le autorità carcerarie disponevano una serie di perquisizioni e cambiamenti in vista dell’ispezione effettuata il mese scorso dallo stesso Heshmatollah Hayat al-Ghayb, ispezione che la direzione della prigione voleva avesse un esito positivo. “I detenuti sono stati costretti a lavare e ripulire l’intera prigione, a trasportare i pesanti vasi di piante che hanno incorniciato la sua visita di pochi minuti, e poi sono state rimosse tutte le corde per stendere il bucato, impedendo quello che è da molti anni l’unico sistema che

hanno molte di noi di guadagnare qualcosa lavando il bucato dei detenuti maschi”. “Ma noi donne detenute del braccio 5 abbiamo cercato di spiegare i problemi della prigione a te e alla tua delegazione durante quella stessa visita, ma i nostri sforzi sono stati vani", hanno detto le detenute. La prigione femminile di Qarchak, situata sull'autostrada Teheran-Varamin, ospita circa 2.000 donne e alcuni bambini. Nel carcere non c’è una divisione dei detenuti effettuata a seconda del reato o della natura, politica o comune, dei reati. Sono stati segnalati diversi casi di aggressione a detenuti politici da parte di detenuti comuni, spesso su istigazione del personale di custodia. Sia il cibo che l’assistenza sanitaria sono molto carenti, il che periodicamente provoca pericolose epidemie. Un elevato numero di detenuti ha contratto epatite e/o AIDS. La prigione ha solo quattro docce ogni 200 detenuti. L'acqua che esce dai rubinetti è salmastra, e ha causato numerose malattie della pelle e altre complicazioni di salute per i detenuti. I detenuti e le detenute che protestano vengono minacciate di trasferimento nei reparti di isolamento, dove di solito vengono tenute le persone con gravi problemi mentali. Le condizioni di questa prigione sono così negativamente famose da essere utilizzate come mezzo per esercitare pressioni sui prigionieri politici di Evin, il principale carcere di Teheran. La minaccia di “trasferimento a Qarchak” viene fatta sia dal personale della Procura, sia dai dirigenti di Evin.

(Fonti: Iran Human Rights Monitor) https://iran-hrm.com/index.php/2019/08/23/200-imprisoned-women-protest-inhumane-conditions-of-qarchak-prison/

 

 

24/08/2019

Mentre l'attenzione del mondo è attirata dagli eventi nel Golfo Persico, gli attivisti civili affrontano una nuova ondata di repressione, arresto e lunghe condanne in Iran. Iran Human Rights (IHR) esorta la comunità internazionale a reagire alla recente vasta violazione dei diritti umani in Iran. "Sembra che la Repubblica islamica stia approfittando della tensione nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz per aumentare l’oppressione nei confronti degli iraniani che cercano cambiamenti sostanziali in Iran", ha dichiarato il direttore dell'IHR Mahmood Amiry-Moghaddam, "ancora una volta, esortiamo la comunità internazionale, in particolare i paesi europei, a mettere i diritti umani del popolo iraniano in cima all'agenda nei loro colloqui con le autorità iraniane". Secondo il dipartimento statistico dell'IHR, durante le prime tre settimane di agosto 2019, sono stati compiuti decine di nuovi arresti di attivisti civili, e sono state emesse diverse condanne contro attivisti che erano già detenuti. In questo mese: sono stati arrestati almeno sei cittadini di etnia Bahai: Abolfazl Ansari, Rouhollah Zibaei e Farid Moghaddam (il 3 agosto) e Monireh Bavil Soflaei, Minou Zamanipour e Gholamhossein Mazloumi (il 10 agosto). Il 19 agosto la polizia ha represso duramente una manifestazione di attivisti per i diritti degli animali di fronte al municipio di Teheran. Diverse persone che protestavano contro il massacro di cani da parte dei funzionari della città di Teheran sono state arrestate. Finora non conosciamo il numero esatto di detenuti. Sono stati arrestati anche diversi membri del gruppo di 14 persone che manifestavano chiedendo le dimissioni del Leader Supremo Ali Khamenei: La'l Mohammadi, Hashem Khastar, Mohammad Hossein Sepehri, Hourieh Farajzadeh, Mohammad Nourizad, Fatemeh Sepehri, Abdolrasoul Mortazavi e Pouran Nazami sono stati arrestati mentre manifestavano pacificamente nella città di Mashhad l'11 agosto. Un altro manifestante, il veterano ferito nella guerra Iran-Iraq Reza Sharafkhani, è stato arrestato tre giorni dopo. Ancora in agosto, diversi operai attivisti sono stati arrestati. I membri del Sindacato dei lavoratori di Teheran e della compagnia di autobus suburbana, Hossein Karimi Sabzevar e Narges Mansouri sono stati arrestati rispettivamente il 4 agosto e il 12 agosto. Asal Mohammadi è stato arrestato il 4 agosto per la sua attività nel sindacato dei lavoratori della canna da zucchero. Inoltre, sono stati arrestati i seguenti attivisti civili: l'attivista contro l’uso obbligatorio del hijab Raha Mohammadi (4 agosto), l'attivista delle minoranze turche Aydin Zakeri (1 agosto), gli attivisti civili Asou Garmini e Majid Daryaei (4 agosto), lo scrittore curdo e ricercatore Kamil Ahmadi (11 agosto), l’attivista politico Amirhossein Yousefi (8 agosto), il fotografo Noushin Jafari (4 agosto), l’attivista politico Ali Ghaderi (21 agosto), l’attivista politico Hiwa Jalili (20 agosto), gli attivisti curdi Seifollah Jalili, Bashir Hatami e Ghafour Yari (19 agosto), lo scrittore e attivista

civile Abbas Vahedian Shahroudi (18 agosto), l’attivista Shahla Jahanbin (21 agosto), il religioso sunnita Abdolghani Gahramzehi (17 agosto), lo studente della scuola religiosa sunnita Javad Karimzaei (8 agosto), l’attivista Sirous Abbasi (9 agosto) e l'attivista politico Jamal Goudarzi (7 agosto). Farangis Mazloum, madre del prigioniero politico Soheil Arabi, è stata arrestata il 22 agosto. Inoltre, nel mese di agosto sono state emesse condanne a lungo termine per attivisti precedentemente detenuti. Gli attivisti civili iraniani Yasaman Aryani, Monireh Arabshahi e Mojan Keshavarz sono stati condannati a 55 anni di reclusione. I 13 anni di reclusione del professore universitario in pensione Kamal Jafari Yazi sono stati confermati da una corte d'appello. I 6 anni di reclusione del dottor Farhad Meysami, attivista per i diritti civili e medico, sono stati confermati da una corte d'appello. Ad agosto, Amirsalar Davoudi, avvocato e attivista per i diritti umani, ha avuto confermata la condanna a 30 anni di reclusione. Sono stati confermati 10 anni di reclusione per Aras Amiri Larijani, dipendente del British Council. Inoltre, finora nell'agosto 2019, almeno 23 prigionieri sono stati giustiziati nelle carceri iraniane. Le autorità iraniane hanno annunciato solo 8 esecuzioni e il resto è stato confermato da fonti IHR. Da notare che Iran Human Rights (IHR) riporta le esecuzioni non ufficiali solo se ne ottiene conferma da almeno 2 fonti diverse. Pertanto, il numero effettivo di esecuzioni potrebbe essere addirittura superiore a quello riportato.

(Fonte: Iran Human Rights) https://iranhr.net/en/articles/3908/

 

 

24/08/2019

EUROPA-IRAN. L'intergruppo "Amici dell'Iran Libero" (Friends of Free Iran -FOFI) ha ospitato una conferenza al Parlamento europeo a Strasburgo il 23 ottobre 2019, condannando le violazioni dei diritti umani del regime iraniano e l'esportazione del terrore. I membri del Parlamento europeo fanno appello alla nuova leadership della Commissione europea affinché adotti una ferma politica nei confronti del regime iraniano. La signora Maryam Rajavi, presidente eletto del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, è stata la relatrice principale dell'evento. I partecipanti hanno messo in luce la responsabilità dei funzionari del regime iraniano in merito al massacro del 1988 di oltre 30.000 prigionieri politici in Iran. La maggior parte di queste vittime erano membri e sostenitori dell'opposizione iraniana i Mojahedin del popolo iraniano (PMOI, Mujahedin-e Khalq o MEK). Quello che segue è il testo della dichiarazione del FOFI a seguito della conferenza: Friends of a Free Iran - Parlamento europeo - Strasburgo - Conferenza sull'Iran: i legislatori europei condannano le violazioni dei diritti umani e l'esportazione del terrorismo da parte del regime iraniano; Presentazione di un nuovo libro: Crime Against Humanity (Crimini contro l'Umanità). Invito all'UE e ai governi europei ad adozione di una politica ferma. Mercoledì 23 ottobre 2019, Friends of a Free Iran ha tenuto una conferenza composta da numerosi membri del Parlamento europeo appartenenti a diversi gruppi politici. Oltre 30 parlamentari europei e un grande numero di assistenti e consiglieri parlamentari hanno preso parte e hanno partecipato alla discussione riguardo alla situazione dei diritti umani in Iran, alla portata distruttiva dell'azione dei mullah nella regione e alla sponsorizzazione del terrorismo internazionale. Il deputato Anna Fotyga, ex ministro degli Esteri polacco, ha presieduto la conferenza intitolata "Politica guerrafondaia e repressiva del regime iraniano, politica dell'Unione europea". La relatrice principale è stata Maryam Rajavi, Presidente eletto del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI). Ha annunciato che i massimi leader del regime dei mullah in Iran, tra cui il leader supremo, il presidente del Consiglio, il capo della magistratura e il ministro della giustizia sono stati tutti direttamente coinvolti nel massacro di 30.000 prigionieri politici 30 anni fa. La signora Rajavi ha presentato per la prima volta un nuovo libro intitolato "Crimini contro l'umanità" ai rappresentanti eletti del popolo europeo. Il libro è composto dai nomi e dalle immagini di oltre 5.000 membri e sostenitori dell'organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI), le vittime del massacro del 1988, oltre alle informazioni su dozzine di fosse comuni in 36 città e sulle identità di 86 funzionari del regime iraniano che hanno partecipato a 35 "commissioni della morte" impegnate nella conduzione di processi che decretavano la pena capitale in modo sommario. Ha aggiunto: “I governi occidentali e le Nazioni Unite hanno chiuso gli occhi su questo. Non ritenendo responsabile di un crimine così orribile, il regime, è stato

incoraggiato a diffondere la sua atroce condotta in tutto il Medio Oriente, che ancora viene perpetrata. Hanno istigato un bagno di sangue in Siria e alimentato la guerra nello Yemen. Negli ultimi mesi, i mullah e le loro guardie rivoluzionarie hanno colpito le navi in acque internazionali, gli impianti petroliferi e gli aeroporti dei paesi vicini. Chiaramente, questo perché non incontrano alcuna opposizione." La signora Rajavi ha chiesto una ferma politica da parte dell'Unione Europea, inclusi i seguenti punti: · L'UE deve condizionare tutti gli scambi commerciali e i legami economico-politici con il regime iraniano fino alla fine delle esecuzioni e delle torture in Iran; · Il dossier sul massacro dei prigionieri politici deve essere deferito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ai tribunali internazionali e gli autori devono essere perseguiti legalmente; · La comunità mondiale, in particolare l'Unione europea, deve riconoscere il diritto del popolo iraniano di resistere e cambiare il regime clericale e di stabilire democrazia e diritti umani in Iran. La presidente della conferenza, la signora Fotyga, ha condannato le violazioni dei diritti umani in Iran e ha sottolineato che una risoluzione sulla repressione delle donne in Iran è stata adottata al Parlamento europeo il mese scorso. Ha espresso il suo sostegno all'opposizione democratica iraniana sotto la guida della signora Rajavi. L'ex leader degli Amici di un Iran libero: Alejo Vidal-Quadras, ex vicepresidente del Parlamento europeo (1999-2014) e l'ex deputato europeo Struan Stevenson, sono stati anch'essi invitati a parlare alla conferenza. È intervenuta anche la sig.ra Ingrid Betancourt, rinomata attivista dei diritti umani ed ex candidata presidenziale in Colombia, e la sig.ra Rama Yade, ex ministro francese per i diritti umani. Membri del Parlamento europeo di diversi gruppi politici hanno condannato fermamente le gravi violazioni dei diritti umani in Iran e hanno elogiato la resistenza iraniana nella sua instancabile lotta nel denunciare al mondo la condotta scioccante dei mullah in patria e all'estero. Hanno espresso il loro sostegno al movimento della signora Rajavi e alla sua piattaforma in 10 punti per un Iran laico e democratico. I deputati hanno sottolineato la necessità che l'Europa ponga la questione dei diritti umani al centro della sua politica di fronte al regime iraniano e hanno sottolineato che la resistenza contro la dittatura religiosa al potere in Iran è un diritto del popolo iraniano. Friends of a Free Iran (FOFI) è un gruppo informale del Parlamento europeo che è stato istituito nel 2003 e gode del sostegno attivo di molti deputati provenienti da vari gruppi politici.

(Fonti: ncr-iran.org) https://www.ncr-iran.org/it/notizie/resistenza-iraniana/7064-deputati-denunciano-le-perpetrate-violazioni-dei-diritti-umani-in-iran

 

 

25/08/2019

EUROPA-IRAN. Il 19 settembre 2019, durante la sessione plenaria di Strasburgo, il Parlamento europeo ha adottato con una maggioranza schiacciante una risoluzione che condanna le violazioni dei diritti umani in Iran. Con 608 voti a favore, 7 contrari, e 46 astensioni, il Parlamento europeo “condanna nei termini più forti la repressione contro le donne che protestano contro l’imposizione dello “hijab”, il velo obbligatorio, e per esercitare i loro diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica”. La Risoluzione inoltre insiste perché le autorità di Teheran rilascino incondizionatamente tutti difensori dei diritti delle donne, così come tutti gli altri difensori dei diritti umani, incarcerati e condannati semplicemente per aver esercitato i loro diritti. La risoluzione loda e sostiene le donne che difendono i diritti umani in Iran e che continuano a difendere le loro cause, nonostante le difficoltà e le ripercussioni personali. I deputati chiedono anche che tutti i doppi cittadini UE-Iraniani – tra cui Nazanin Zaghari-Ratcliffe (Regno Unito), Ahmadreza Djalali (Svezia) e Kamran Ghaderi (Austria) – attualmente detenuti nelle carceri iraniane vengano immediatamente rilasciati, oppure che nei loro confronti venga ripetuto il processo che però rispetti gli standard internazionali. La risoluzione sollecita le autorità iraniane a cooperare senza ulteriori indugi con le ambasciate degli Stati membri dell’UE a Teheran al fine di stabilire un elenco completo delle persone con doppia cittadinanza UE-Iran attualmente detenuti nel paese e di monitorare attentamente ogni singolo caso. I parlamentari europei hanno inoltre esortato le autorità iraniane "a garantire la piena e incondizionata attuazione del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR), di cui l'Iran è


firmatario; esorta l'Iran ad aderire alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne". La risoluzione ha condannato fermamente "l'uso della pena di morte, primo fra tutti, il suo uso contro i minorenni; invita le autorità iraniane a introdurre una moratoria immediata come passo fondamentale verso la sua abolizione ", ed infine invitando il regime iraniano" a cooperare con il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, anche consentendogli di entrare nel paese". La risoluzione è arrivata a pochi giorni dall’apertura dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, appuntamento durante il quale è ancora sospeso un possibile incontro tra il Presidente statunitense Trump e il Presidente iraniano Rouhani, dopo l’ennesima apertura al regime iraniano da parte del Presidente francese Macron durante il G7 a Biarritz. Durante la puntata del 22 settembre della trasmissione “Diritto alla Conoscenza” curata da Laura Harth su Radio Radicale, il membro della Presidenza onoraria del Partito Radicale Giulio Terzi di Sant’Agata ha fatto notare come questa decisione del Parlamento europeo deve infatti servire come segnale forte ai Governi europei rispetto alla posizione da prendere nei confronti del regime iraniano durante questa sessione dell’Assemblea Generale. In particolare ha chiesto espressamente al Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio di tenere conto di questa espressione della massima istituzione democratica dell’Unione europea che si è espressa in maniera così forte e inequivoca sulle continue violazioni dei principi fondanti delle Nazioni Unite da parte di Teheran. Ancora troppo spesso i Governi nazionali degli Stati membri e le altre istituzioni UE tendono a mantenere una linea di appeasement nei confronti del regime degli Ayatollah, mettendo a rischio non solo i diritti e le vite di milioni di iraniani, ma anche la stabilità nell’intero medio oriente e persino la vita e la libertà di cittadini in Occidente, contro i quali il regime si scatena con sempre meno pudore. Venerdì 27 settembre, l’Ambasciatore Terzi ha espresso gli stessi concetti durante un evento parallelo al Consiglio ONU per i Diritti Umani a Ginevra organizzato dal Partito Radicale. Insieme a Tahar Boumedra, già Direttore dell’Ufficio per i Diritti Umani dell’United Nations Assistance Mission in Iraq (UNAMI), e Alfred-Maurice de Zayas, già esperto indipendente ONU per un ordine internazionale democratico e equo, ha ribadito l’urgenza e l’importanza di una Commissione d’inchiesta indipendente per i crimini commessi dal regime iraniano nel 1988 con un vero e proprio massacro di almeno 30.000 membri dell’opposizione all’interno del paese; un massacro per cui le vittime e i loro familiari attendono ancora la verità – com’è loro diritto sancito dall’ONU -, mentre gli autori continuano impunemente a essere premiati per averli commessi. E’ emerso in particolare come anche le più alte istituzioni ONU – tenute all’indipendenza e ai principi e agli obiettivi delle Carte fondanti dell’organizzazione -, come l’ex Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon, hanno e continuano a fare pressione sui loro stessi funzionari e esperti indipendenti per non far emergere la verità e per cancellare la questione stessa dai rapporti al fine di “sviluppare relazioni amichevoli con i Governi nazionali”… E’ evidente che sta tornando a pieno regime la ragion di stato anche all’interno delle Nazioni Unite. Forse è utile ricordare che tale politiche – tra realpolitik, appeasement e ragion di stato sovrano – non hanno mai portato la pace e sono stati il fallimento dichiarato del predecessore della stessa ONU. Il Partito Radicale continuerà a richiamare e premere per l’affermazione piena dello Stato di Diritto, contro ogni ragion di stato in contrasto con esso, e a sostenere chiunque – dentro o fuori dalle istituzioni – denunci la violazione e le repressioni dei diritti umani fondamentali.

(Fonti: Laura Hart per Partito Radicale) https://www.partitoradicale.it/2019/09/28/il-parlamento-europeo-e-il-partito-radicale-allonu-si-mobilitano-per-i-diritti-umani-in-iran/

 

 

26/08/2019

Secondo "Reporter senza frontiere" (RSF) il regime iraniano è considerato ai giorni d'oggi il più grande carceriere mondiale di giornaliste. Reporter senza frontiere ha dichiarato sul suo sito Web il 26 agosto 2019 che è stato "allarmato" da una "nuova ondata di arresti e interrogatori di donne giornaliste" in Iran dall'inizio di agosto 2019. "La Repubblica islamica è ora il più grande carceriere delle giornaliste al mondo,

con un totale di dieci attualmente detenute", ha detto RSF. "Già uno dei cinque più grandi carcerieri di giornalisti al mondo, l'Iran ora sta trattenendo più donne in relazione alle loro attività giornalistiche rispetto a qualsiasi altro paese al mondo", ha affermato Reza Moini, capo del Desk Iran/Afghanistan di RSF. "Chiediamo a Javaid Rehman, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, di intervenire con la massima urgenza per ottenere il loro rilascio e affrontare la disastrosa situazione della libertà di stampa in questo paese". L'Iran è al 170 ° posto su 180 paesi nel World Press Freedom Index 2019 di RSF.

(Fonti: ncr-iran.org) https://www.ncr-iran.org/it/notizie/diritti-umani/7028-il-guardiano-dei-media-globali-il-regime-iraniano-e-il-piu-grande-carceriere-di-giornaliste-al-mondo

 

 

27/08/2019

Saba Kord-Afshari, 20 anni, condannata a un totale di 24 anni di reclusione. La giovane attivista per i diritti civili era stata arrestata una prima volta per aver partecipato, nell’agosto 2018, al “Mercoledì bianco”, una protesta pacifica in cui le donne si erano tolte il “hijab”, il velo: un gesto che in Iran può costare molto caro. La giovane era stata liberata nel febbraio di quest’anno, usufruendo di un’amnistia che le aveva concesso due mesi di riduzione della pena. Ma il 1° giugno 2019 era nuovamente finita in manette per lo stesso motivo. È stata tenuta in isolamento per 11 giorni, senza l’assistenza di un avvocato, prima di essere scarcerata in libertà provvisoria su cauzione. Il suo avvocato, Hoosein Taj, il 27 agosto ha ricevuto la comunicazione che in data 19 agosto il Tribunale rivoluzionario di Teheran aveva condannato la giovane donna a 24 anni di reclusione. La condanna è composta di tre diversi capi d’imputazione: 15 anni per "aver diffuso la prostituzione togliendosi il suo hijab e aver camminato in luogo pubblico senza hijab"; 7 anni e 6 mesi per "adunata sediziosa e cospirazione contro la sicurezza nazionale"; 1 anno e 6 mesi per" propaganda contro il sistema". Di solito, in caso di condanne multiple, si sconta solo la pena più alta, quindi se le sentenze verranno confermate dalla Corte d'appello, Saba Kord-Afshari dovrebbe scontare 15 anni. (Fonti: Iran Human Rights) https://iranhr.net/en/articles/3917/

 

 

 

Sahar Khodayari

10/09/2019

È morta Sahar Khodayari, sopranominata dalla stampa occidentale “Blue Girl”, la tifosa di calcio che la scorsa settimana si era data fuoco fuori da un tribunale di Teheran. La notizia è riportata dall’agenzia di news iraniana Shafaghna. In Iran, per una legge in vigore dal 1981, le donne non possono assistere alle partite di calcio. I fatti risalgono allo scorso 12 marzo, quando la giovane donna, identificata dalla stampa come Sahar Khodayari pur di tifare per la propria squadra, l’Esteghlal allenata da Andrea Stramaccioni, si era introdotta nello stadio Azadi di Teheran travestendosi da uomo per assistere ad una partita della sua squadra contro una formazione degli Emirati Arabi. Felice, si era anche ritratta nello stadio con un selfie, per il quale è stata poi soprannominata 'the blue girl'. Non era stata l’unica a usare il travestimento per forzare il divieto. Altre ragazze hanno fatto lo stesso tentativo, diffondendo poi le loro foto come forma di sensibilizzazione dell’opinione pubblica mondiale. Ma “Blue Girl” è stata arrestata e portata nel carcere

femminile di Gharchak Varamin a sud di Teheran, ritenuto tra i peggiori in termini di condizioni di vita. È rimasta in carcere 3 giorni, e poi rilasciata in libertà provvisoria su cauzione. Il Guardian ha scritto che quando, il 1° settembre, si era presentata in tribunale per il processo, aveva scoperto che l’udienza era stata rimandata perché il giudice aveva avuto un’emergenza familiare. Lasciato il tribunale, era poi tornata indietro perché aveva dimenticato il cellulare. Sembra che a questo punto abbia sentito qualcuno commentare il suo caso, e dire che sarebbe stata condannata a un periodo di carcere compreso tra sei mesi e due anni. Di fatto, all’uscita si era data fuoco. Nella notte tra il 9 e il 10 settembre è morta per le conseguenze delle gravi ustioni. Ali Karimi, ex giocatore iraniano del Bayern Monaco che nella sua carriera ha giocato 127 partite per la nazionale, ha invitato tutti i tifosi iraniani di calcio a boicottare gli stadi come segno di protesta per la morte di Khodayari. Andranik “Ando” Teymourian, calciatore iraniano armeno e primo cristiano a essere capitano della nazionale iraniana, ha scritto in un tweet che bisognerebbe dare il nome di Khodayari a uno dei principali stadi di Teheran. Masoud Shojaei, attuale capitano dell’Iran, ha detto che il divieto per le donne di entrare allo stadio è ormai «vecchio» e sarebbe da cambiare. Il ministro dell’Informazione iraniano, Mohammad-Javad Azari Jahromi, ha descritto invece la morte di Khodayari come un «amaro incidente». In una lettera aperta alla Fifa diciotto note attiviste iraniane, tra le quali il premio Nobel Shirin Ebadi, avevano chiesto di intervenire sulla vicenda dello stadio. Chiedevano proprio alla Fifa di rispettare i suoi principi, e ritenere l’Iran responsabile della violazione dell’articolo 4 in cui si afferma che la discriminazione di qualsiasi tipo “è severamente vietata e punibile con la sospensione o l’espulsione”. La Commissione delle Donne del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniano nell’esprimere le più sentite condoglianze ai familiari e agli amici di Sahar, chiede fortemente alla comunità internazionale di difesa dei Diritti delle donne e dei Diritti umani di condannare senza alcun indugio la politica misogina della dittatura al potere in Iran contro le donne iraniane. Ogni silenzio o lassismo incita il regime a perpetuare i suoi crimini.

(Fonti: BBC, The Guardian, Il Post, Repubblica, Il Foglio, L’Opinione) https://www.bbc.com/news/world-middle-east-49646879

 

 

23/10/2019

Esperto delle Nazioni Unite: l'Iran continua a giustiziare minorenni, ne ha 90 nel braccio della morte - Javaid Rehman afferma che 7 minori sono stati messi a morte l'anno scorso e almeno due finora quest'anno, anche se la legge sui diritti umani proibisce la pena di morte per chiunque sia minorenne. Javaid Rehman ha anche detto al Comitato per i Diritti Umani dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di avere "informazioni credibili", che ci siano almeno 90 persone attualmente nel braccio della morte in Iran che erano minorenni al momento del reato. Rehman, "special rapporteur" delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran, ha espresso profonda preoccupazione per l'uso complessivo della pena di morte nella Repubblica islamica, affermando che il suo tasso di esecuzione "rimane uno dei più alti al mondo" anche dopo un calo registrato recentemente. Le esecuzioni infatti sono state le 507 nel 2017, e 253 nel 2018. Finora nel 2019, ha affermato, "stime prudenti indicano che sono state eseguite almeno 173 esecuzioni". Ha accolto con favore un emendamento a una legge antidroga iraniana nel 2017 che ha portato alla riduzione delle esecuzioni nel 2018, ma ha affermato che "c'è ancora molto lavoro da fare". Ha anche affermato sentirsi incoraggiato dal miglioramento del dialogo tra le autorità iraniane e l'Ufficio dell'Alto Commissario per i Diritti Umani "sull'amministrazione della giustizia e sulle esecuzioni di minori." Per quanto riguarda la situazione generale dei diritti umani in Iran nell'ultimo anno, Rehman ha citato una serie di fattori negativi, tra cui una situazione economica in declino che, ha affermato, viene "aggravata dall'impatto delle sanzioni, con gravi conseguenze per la realizzazione di diritti sociali". Gli Stati Uniti hanno aumentato le sanzioni contro l'Iran da quando il presidente Donald Trump si è ritirato l'anno scorso dall'accordo tra potenze mondiali e Iran del 2015 sul nucleare. L'amministrazione americana sostiene, in parte supportata dall’osservatorio sulle attività nucleari delle Nazioni Unite, che l'Iran non stia rispettando l'accordo, e sta sollecitando anche altri paesi a intensificare la pressione su Teheran. In tale contesto

economico, ha affermato Rehman, coloro che chiedono il rispetto dei diritti umani "sono stati intimiditi, attaccati, arrestati e detenuti". "Tra settembre 2018 e luglio 2019, almeno otto importanti avvocati sono stati arrestati per aver difeso prigionieri politici e difensori dei diritti umani, molti dei quali hanno ricevuto lunghe condanne". Inoltre, ha affermato Rehman, i manifestanti che chiedono una migliore protezione dei diritti dei lavoratori presso lo zuccherificio Haft Tappeh sono stati arrestati con accuse di attentare alla sicurezza nazionale. Sette di loro sono stati recentemente condannati a pene tra i sei e i 19 anni, sebbene il capo della magistratura abbia ordinato una revisione delle condanne. Rehman, un britannico di origine pachistana, professore di diritto islamico, ha affermato che i giornalisti che hanno denunciato la protesta di Haft Tappeh e altre questioni relative ai diritti dei lavoratori sono stati arrestati e detenuti. Almeno 32 persone sono state arrestate da gennaio 2018 per aver protestato contro le leggi sul velo obbligatorio, la maggior parte delle quali donne che in molti casi hanno subito pene più severe rispetto alle loro controparti maschili. Ha detto che persone che lavorano nel campo dell’arte e della cultura "sono state ripetutamente oggetto di arresti e detenzioni per il loro lavoro". Rehman ha affermato che le minoranze etniche e religiose sono rappresentate in modo sproporzionato sia tra le persone giustiziate per motivi di “sicurezza nazionale”, sia, nel complesso, tra i detenuti per motivi politici. "Sono soggetti a arresti arbitrari e detenzione per la loro partecipazione a una serie di attività pacifiche come la difesa dell'uso delle lingue minoritarie, l'organizzazione o la partecipazione a proteste pacifiche e l'affiliazione con i partiti dell'opposizione". Nella costituzione dell'Iran sono riconosciute solo 3 minoranze religiose: cristiani, ebrei e zoroastriani, ha affermato Rehman. Ha esortato a modificare la costituzione per consentire a tutte le minoranze religiose e coloro che non detengono alcuna credenza religiosa "di godere pienamente dei loro diritti".

(Fonte: Associated Press, Iran Human Rights Monitor) https://iran-hrm.com/index.php/2019/10/24/iran-executes-minors-in-violation-of-rights-law-u-n-expert-says/

 

 

23/10/2019

Amputate 4 dita ad un uomo, non identificato, condannato per furto. La notizia è riportata in inglese da IHR, che aggiunge che il fatto sarebbe avvenuto nella prigione della città di Sari. IHR cita come fonte originaria della notizia Mizan Online, il sito filogovernativo considerato organo “ufficiale” del sistema giudiziario iraniano. Mizan ha pubblicato la notizia il 23 ottobre, ma non è detto che questa sia anche la data in cui è avvenuta l’amputazione. Secondo Mizan, l’uomo è stato condannato ai sensi dell’articolo 201 del codice penale, ossia “furto”. Il furto rientra tra i 6 reati definiti “Hodud” (o Hudud), reati considerati “insindacabili” perché citati espressamente nel Corano e le cui pene sono severissime ed indiscutibili. I 6 reati Hudud sono: l’apostasia (Riddah), la fornicazione e l’adulterio (Zina), la falsa accusa di fornicazione e di adulterio (Qadf), il furto (Sariqa), il saccheggio a mano armata (Hiraba) e il bere alcolici (Shurb al Khamr). Questi sei reati sono considerati particolarmente gravi perché ritenuti molto pericolosi per il benessere e la pacifica coesistenza della Ummah Islamica nel suo complesso. L’art. 201 prevede che per una prima condanna per furto la punizione sia l’amputazione di 4 dita della mano destra, per una seconda condanna l’amputazione del piede sinistro, per una terza condanna l’ergastolo, e per una quarta condanna l’impiccagione.

(Fonti: IHR) https://iranhr.net/en/articles/3989/

 

 

24/10/2019

L’Iran risponde in maniera provocatoria alle critiche sul tema dei diritti umani. Oggi, il governo iraniano è stato sottoposto a rinnovate pressioni da parte dei difensori dei diritti umani dopo che le autorità hanno annunciato di aver eseguito una condanna all'amputazione di un detenuto condannato più volte per furto.

Il sistema teocratico di Teheran tende ad aderire a un'interpretazione molto rigorosa della sharia, e un principio guida per la punizione dei criminali è “Qisas”, che significa “restituzione dello stesso tipo”. Colloquialmente, questo viene definito in Occidente come "occhio per occhio” o “legge del taglione”, e in Iran, questa frase viene talvolta interpretata letteralmente. Fino ad oggi, i tribunali iraniani continuano a ordinare la rimozione di occhi, dita e altre parti del corpo. Sotto la pressione della comunità internazionale e degli attivisti nazionali per i diritti umani, l'applicazione effettiva di questo tipo di punizioni è apparentemente diminuita nel tempo. Ma come chiarisce l'annuncio del regime mercoledì, il fenomeno non si è mai fermato del tutto. Come ha riportato Nessuno tocchi Caino (vedi 23 ottobre) le autorità iraniane hanno fatto eseguire una condanna all’amputazione di 4 dita della mano destra nei confronti di un uomo accusato di furto. La notizia, questa volta, è stata riportata da fonti ufficiali, ma in realtà tutto ciò che riguarda la severa amministrazione della giustizia penale in Iran viene comunicata ai media in maniera molto selettiva. Per fare un esempio, in media ogni quattro esecuzioni rilevate dalle Ong, solo una viene “riconosciuta” dalle autorità. Il 10 ottobre, Giornata mondiale contro la pena di morte, alcune di queste Ong hanno pubblicato i loro dati sul numero delle impiccagioni nell’anno in corso. Tutte le stime (basate su almeno 2 segnalazioni per ogni caso) hanno superato i 200 casi, la più alta ne ha segnalati 273. Meno di 70 di queste uccisioni sono state annunciate ufficialmente dalle autorità iraniane. Si può prevedere che questa discrepanza alimenterà il sospetto che altri aspetti delle politiche di punizione corporale dell'Iran siano allo stesso modo peggiori di quanto riconosciuto. Ma indipendentemente dall'effettiva frequenza delle amputazioni ordinate dallo stato, le statistiche note sulla pena di morte sono sufficienti da sole per generare proteste internazionali praticamente costanti. Anche considerando solo le stime più basse per quest’anno, è chiaro che l'Iran sta ancora mantenendo il suo status di nazione con il più alto tasso di esecuzioni pro capite. Solo la Cina, con la sua popolazione di oltre un miliardo, supera l'Iran in termini di numeri grezzi. È interessante notare che l'uso eccessivo e spesso illegale della pena di morte da parte del governo iraniano è stato oggetto di rinnovata attenzione nello stesso giorno in cui è venuta alla luce l'ultima sentenza di amputazione. Infatti Javaid Rehman, il relatore speciale per la situazione dei diritti umani in Iran, aveva presentato il suo rapporto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite proprio il 23 ottobre. Questa tendenza negativa dei diritti umani coincide approssimativamente con la nomina, nel marzo 2019, di Ebrahim Raisi come nuovo capo della magistratura. Raisi era stato muno dei membri della ‘Commissione della morte’ di Teheran quando, nel 1988, a seguito di una fatwa di Khomeini, in tutto il Paese vennero istituite delle commissioni con l’incarico di individuare i dissidenti politici, e avviarli alla forca. Stime indipendenti hanno valutato che nel giro di pochi mesi circa 30.000 persone, prevalentemente affiliate al MEK (Mojahedin del Popolo), vennero messe a morte, e seppellite in fosse comuni. E prima di nominare Raisi la “Guida Suprema”, Ali Khamenei, la principale carica politica e religiosa dell’Iran, considerata anche la massima rappresentazione dell’ultraconservatorismo del regime iraniano, nel 2018 aveva nominato Alireza Avaei, un membro della ‘Commissione della morte’ di Dezful, ministro della Giustizia. L'indignazione pubblica per il massacro è gradualmente cresciuta man mano che ulteriori informazioni sono trapelate su un capitolo della storia iraniana che era stato in gran parte nascosto dal regime. L’indignazione si è gradualmente diffusa anche ai sostenitori occidentali del movimento di resistenza iraniano, molti dei quali hanno chiesto un'indagine internazionale sul massacro. Mercoledì scorso, il Parlamento europeo ha ospitato una conferenza sull'argomento cui ha partecipato Maryam Rajavi, il presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. La conferenza ha coinciso con la pubblicazione di un nuovo libro del NCRI, Crime Against Humanity (crimine contro l’umanità), che secondo quanto riferito include dettagli precedentemente non divulgati sulle vittime del massacro, le posizioni di alcune delle loro fosse comuni e altro ancora. Successivamente, un certo numero di eurodeputati ha espresso le proprie osservazioni denunciando la situazione dei diritti umani del regime iraniano e invitando i rispettivi governi a impegnarsi di più, e di sollevare la questione dei diritti umani ogni volta che c’è una trattativa economica con l’Iran. Il relatore speciale delle Nazioni Unite ha avanzato altre richieste specifiche lo stesso giorno, dinanzi al Comitato per i diritti umani. Amnesty International ha fatto lo stesso il giorno seguente, concentrandosi su un aspetto diverso della dipendenza "odiosa" dell'Iran dalla punizione

corporale. Javaid Rehman ha focalizzato la propria attenzione sulla persistente questione delle condanne a morte per gli imputati che avevano meno di 18 anni al momento dei loro presunti crimini. Tali esecuzioni sono categoricamente vietate ai sensi del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e anche della Convenzione sui Diritti dell'Infanzia. L'Iran ha firmato entrambi i documenti ma non ne applica le disposizioni, e quando viene criticata reagisce sostenendo che si tratti di un'imposizione culturale indebita sull'Iran da parte di chi non rispetta la tradizione islamica della Sharia che prescriva la severità. Il rapporto di Rehman indica che almeno sette delle esecuzioni del 2018 hanno riguardato persone che erano ancora minorenni quando avevano commesso il presunto reato, e che tra le esecuzioni del 2019 questi “minorenni” sono stati almeno 5. Secondo Rehman nei bracci della morte iraniani ci sono almeno altri 90 giovani in attesa di esecuzione per reati commessi da minorenni, esecuzioni che potrebbero essere implementate arbitrariamente e senza preavviso, in qualsiasi giorno. L'Iran è uno degli ultimi paesi sulla Terra a consentire l'esecuzione di autori di reati minorenni. E i presunti criminali possono essere soggetti alla pena di morte non appena sono considerati maturi secondo la legge iraniana. Per i ragazzi, questo punto è definito come un'età di 13 anni lunari, e per le ragazze solo nove anni. L’anno lunare islamico dura 11 giorni meno dell’anno solare occidentale. Come raffronto, ad esempio, quando un adolescente iraniano compie 18 anni, un pari età nato che utilizzi il calendario solare avrà esattamente 6 mesi di più. Nella pratica corrente, i giovani in Iran vengono tenuti in detenzione fino al compimento della maggiore età, e poi impiccati, confidando che l’aver raggiunto i 18 anni possa tenere a bada alcune delle critiche internazionali. Come per le cifre complessive sulle esecuzioni e le cifre relative al sistema punitivo iraniano, vi è sempre una forte probabilità che i dati siano peggiori di quanto si riesce ad apprendere dalle fonti ufficiali o dalle Ong. E tutto questo potrebbe ulteriormente peggiorare sotto la leadership della magistratura iraniana di Ebrahim Raisi. Di fatto l’attuale leadership iraniana, alle prese con una grave crisi economica in parte strutturale ma in parte esacerbata dalle sanzioni internazionali, sembra meno preoccupata che in passato delle critiche internazionali, ritenendo invece più importante presentare un'immagine di forza al popolo iraniano.

(Fonte: Iran Focus) https://www.iranfocus.com/en/human-rights/34010-defiant-iran-faces-condemnation-of-its-human-rights-record-on-several-fronts

 

 

04/11/2019

15.000 giustiziati in Iran per reati di droga dal 1979. Il dato è stato fornito da Jalil Mohebbi, un religioso di medio rango che ricopre l’incarico di “segretario del personale del Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio”, un organo di supervisione/controllo religioso della moralità in Iran. Mohebbi ha fornito il conteggio nel corso di una riunione alla quale partecipava anche Ebrahim Raisi, il presidente della Corte Suprema iraniana, in pratica il capo del sistema giudiziario. Richiesto di un commento Parviz Esmaeili, direttore del quotidiano filogovernativo Teheran Times e anche vice capo della comunicazione del governo, avrebbe detto all’agenzia di stampa Fars che i dati sono "inaccurati" e "privi della precisione richiesta", e come tali non dovrebbero essere pubblicati. C’è da ricordare che tutte le cifre relative alla repressione in Iran sono di solito sottostimate, perché le autorità non forniscono dati ufficiali, e contrastano l’attività delle organizzazioni umanitarie che si occupano di queste cose, organizzazioni che quasi nella loro interezza devono operare dall’estero. Dopo la Cina, la Repubblica islamica dell'Iran, l'Arabia Saudita, il Vietnam e l'Iraq sono rispettivamente i principali paesi al mondo in cui viene eseguita la pena di morte. Secondo molte fonti, l’Iran è primo in questa “graduatoria” se si considera la proporzione con la popolazione. Secondo molte fonti l’Iran è anche il paese che mette a morte più minorenni nel mondo, in un contesto in cui i paesi che ancora giustiziano i minorenni sembra siano ridotti a 4: appunto l’Iran, il Pakistan, l’Arabia Saudita e lo Yemen. "Per anni, le autorità iraniane hanno usato la pena di morte per diffondere un clima di paura nello sforzo inutile di contrastare il traffico di droga, ma non ci sono prove che dimostrino che questo è un metodo efficace per combattere il crimine", aveva detto nel 2015 Said Boumedouha,

vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa. Nel suo ultimo rapporto, il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran, Javaid Rehman, ha osservato che mentre le esecuzioni nel paese sono diminuite da 507 nel 2017 a 253 nel 2018, il paese ha ancora uno dei più alti numeri di esecuzioni al mondo. Un emendamento del 2017 alla legge sui reati di droga ha svolto un ruolo fondamentale nel ridurre il numero di esecuzioni in Iran.

(Fonti: radiofarda.com, iran-hrm) https://iran-hrm.com/index.php/2019/11/04/regime-official-admits-15000-executed-in-iran-on-drug-charges-since-1979/

 

 

05/11/2019

Un ex detenuto politico iraniano critica le democrazie occidentali e le Nazioni Unite per la loro inattività. Hamid Bahrami è un ex prigioniero politico iraniano, che vive a Glasgow, in Scozia. È un attivista per i diritti umani e politico e lavora come giornalista freelance. In vista dell’UPR ha scritto una lettera aperta in cui critica le democrazie occidentali. “Le Nazioni Unite dovrebbero riconsiderare la propria politica in materia di diritti umani in Iran. Dal 2011 le Nazioni Unite hanno nominato tre relatori speciali per l'Iran per monitorare e riferire sulla situazione dei diritti umani nel paese. Non è mai stato loro permesso di visitare l'Iran mentre, secondo i loro rapporti annuali, da allora gli arresti arbitrari, le torture e le esecuzioni quotidiane sono aumentate in modo significativo. Il regime iraniano è noto per le esecuzioni pubbliche poiché il paese ha purtroppo raggiunto record orribili sul numero di esecuzioni, il secondo più grande dopo la Cina. Sebbene la teocrazia abbia firmato la Convenzione sui Diritti dell'Infanzia, che vieta l'esecuzione di persone che abbiano commesso reati prima di compiere 18 anni, ha impiccato almeno 12 minorenni dall'inizio del 2018, mentre attualmente 90 minorenni sono rinchiusi nei bracci della morte. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato dieci risoluzioni sulla situazione dei diritti umani in Iran dal 2009 allo scorso anno, criticando e condannando le violazioni sistematiche e le persecuzioni denunciate dal Relatore Speciale per l'Iran. Queste risoluzioni e relazioni hanno esortato il regime iraniano ad affrontare le preoccupazioni sostanziali e a rispettare i suoi obblighi in materia di diritti umani, sia nella legge che nella pratica. Uno degli ultimi rapporti, pubblicato lo scorso dicembre, ha invitato il regime iraniano ad avviare un processo globale per individuare le responsabilità in tutti i casi di gravi violazioni dei diritti umani, e a porre fine dell'impunità per tali violazioni. Invece di rispettare questa raccomandazione, la teocrazia ha nominato uno dei suoi dirigenti più noti, Ebrahim Raisi, a capo del suo potere giudiziario. Raisi è stato membro della “commissione della morte” durante il massacro di migliaia di prigionieri politici nel 1988, che è stato documentato dal relatore speciale delle Nazioni Unite sull'Iran in un rapporto nell'agosto 2017 e in un rapporto di Amnesty International nel dicembre 2018. Le esecuzioni di massa hanno avuto luogo in tutto l'Iran tra Luglio e settembre 1988 contro migliaia di attivisti politici che stavano scontando le loro pene detentive; la maggior parte di loro erano membri e sostenitori dell'opposizione Mujahedin-e Khalghe (MEK), ma anche dell’opposizione di sinistra. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato Raisi per essere stato coinvolto nella brutale repressione del regime contro gli oppositori, in particolare nel massacro del 1988. Raisi ha criticato il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, Javaid Rehman, per il suo ultimo rapporto sulla situazione dei diritti umani all'interno del paese. "L'attuazione dei decreti divini nella Repubblica islamica è al di là di ogni discussione e le notizie sulla violazione dei diritti umani in Iran sono assolutamente sbagliate e prive di fondamento", ha detto Raisi il 4 novembre, respingendo le critiche del Consiglio per i Diritti Umani. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite terrà la 34a sessione della sua Revisione periodica universale (UPR) a novembre per rivedere lo stato dei diritti umani di tutti i suoi membri. [L’UPR è una procedura per cui, ogni quattro anni circa, tutti gli stati membri dell’Onu si sottopongono ad un esame complessivo in materia di diritti umani. Introdotta nel 2006 dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu, questa procedura ha la finalità di spingere i paesi ad adempiere agli obblighi a tutela e garanzia dei diritti umani, quindi lavorare per attuare politiche adeguate, creando una certa pressione sociale. Ndt]. Nella sessione di venerdì 8 novembre, gli Stati membri delle

Nazioni Unite esamineranno la situazione del regime iraniano basandosi sulle relazioni degli Special Rapporteur, dei Relatori Speciali nominati ad hoc. Negli scorsi anni, le domande poste dalle democrazie occidentali all’Iran non avevano senso, il che dimostra che non hanno una buona comprensione della struttura politica e ideologica dell'Iran. Il Regno Unito chiede se il regime abbia in programma di porre fine alla pena di morte per i minorenni o di consentire alla comunità bahaita di partecipare alla società. La Repubblica islamica si è vista spesso rivolgere questo tipo di domande durante gli ultimi due cicli di UPR, ma i suoi comportamenti hanno chiaramente deriso i richiedenti. La Svezia chiede ingenuamente quali misure prenderà il regime per migliorare il rispetto della libertà di opinione e di espressione. Amnesty International ha riferito lo scorso settembre che la Corte Rivoluzionaria del Paese ha condannato quattro giornalisti e tre attivisti per i diritti dei lavoratori tra sei e 18 anni di carcere e, in un caso, 74 frustate per false accuse di sicurezza nazionale. Ciò si aggiunge a oltre 7000 arrestati dalle autorità nel solo 2018 per aver preso parte a proteste pacifiche. Tuttavia, alcuni di questi attivisti sono stati “tatticamente” rilasciati su cauzione proprio prima dell’UPR, chiaramente per ridurre la pressione. Questo modus operandi ha dato l'impunità ai dirigenti di Teheran per i loro 40 anni di gravi violazioni dei diritti umani. Mostafa Pourmohammadi, attuale consigliere del capo della magistratura ed ex ministro della giustizia nel gabinetto del presidente Hassan Rouhani, che era anche membro della “Commissione della Morte” nel 1988, ha difeso palesemente il massacro di prigionieri politici in una recente intervista con i media statali. Nel suo ultimo rapporto del 2017, l'ex relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, Asma Jahangir aveva chiesto un'indagine completa e indipendente sul massacro. Purtroppo, l'attuale relatore delle Nazioni Unite per i diritti umani e i rappresentanti degli Stati membri delle Nazioni Unite hanno ingenuamente aspettato che gli stessi dirigenti iraniani che avevano progettato le esecuzioni di massa avviassero i processi per individuare le responsabilità in quei fatti, e rispondessero alle preoccupazioni internazionali. Per porre fine all'impunità delle autorità iraniane, la prossima riunione dell'UPR deve assolutamente considerare nuove azioni. Logicamente, sarebbe sufficiente chiedere al regime iraniano di fermare tutte le esecuzioni, e ritenere i dirigenti responsabili delle eventuali violazioni. Il mondo ha perso sufficiente tempo in discussioni infruttuose con i mullah sui diritti umani mentre è chiaro che è la loro stessa ideologia che rifiuta i valori democratici dell’Occidente democratico. Durante l'UPR l'8 novembre, gli Stati membri delle Nazioni Unite devono chiedere all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di avviare un'indagine indipendente guidata dalle Nazioni Unite sul massacro del 1988 per accertarne le responsabilità. Questo è un atto legittimo che può porre fine all'impunità delle autorità iraniane e anche migliorare veramente le condizioni dei diritti umani in Iran. Il movimento per la ricerca della giustizia sul massacro del 1988 ha una popolarità significativa tra gli iraniani all'interno del paese, ma la giustizia iraniana punisce chiunque sollevi la questione. Il caso di Maryam Akbari Monfared è notevole, la donna è stata arrestata dopo aver scritto una lettera aperta in cui chiedeva verità e giustizia per i suoi fratelli giustiziati nel 1988”.

(Fonte: radiofarda.com) https://en.radiofarda.com/a/the-un-should-reconsider-its-policy-on-iran-s-human-rights-record/30253986.html

 

 

08/11/2019

ONU-IRAN. A Ginevra, l’8 novembre 2019, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha discusso della situazione in Iran. Gli stati membri delle Nazioni Unite hanno sollevato allarme per la violenza e la discriminazione nei confronti delle donne, le esecuzioni minorili e il matrimonio minorile tra le altre violazioni degli obblighi iraniani in materia di diritti umani e hanno invitato l'Iran ad adottare misure risolute per sostenere i suoi obblighi in materia di diritti umani. La situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell'Iran è stata esaminata questa mattina a Ginevra, nel corso della sua terza revisione periodica universale (UPR). L’UPR è un meccanismo di revisione inter pares a cui a rotazione, una volta ogni 4 anni, vengono sottoposti, sul tema dei diritti umani, tutti gli stati membri dell’Onu. Al termine di ogni

UPR per ogni Stato sottoposto a Revisione viene stilato e approvato un rapporto che si conclude con la formulazione di raccomandazioni al governo. Quella che si è tenuta a novembre a Ginevra è la 34a sessione della UPR. La coalizione per i diritti umani Impact Iran, una coalizione di 15 Ong che si occupano di diritti umani in Iran, ha dichiarato che "oggi la comunità degli Stati ha inviato un chiaro messaggio secondo cui le esecuzioni di minori, il matrimonio minorile e il mantenimento delle donne fuori dalla vita economica, sociale, pubblica e politica non sono accettabili nel 2019". 111 stati di tutti i continenti hanno partecipato alla Revisione Periodica delle Nazioni Unite a Ginevra. Tra questi, molti hanno formulato raccomandazioni sulla situazione delle donne e delle ragazze nel paese, con 25 stati di tutte le regioni che invitano l'Iran a ratificare il CEDAW (Convention on the Elimination of all forms of Discrimination Against Women, Convenzione sull'Eliminazione di ogni forma di Discriminazione Della Donna). Anche la partecipazione delle donne alla vita economica, pubblica e politica è stata una questione ricorrente per gli stati. Inoltre, è stata posta particolare enfasi sulla situazione dei difensori dei diritti umani delle donne, che sono stati oggetto di forte repressione negli ultimi mesi. Viene inoltre chiesto all’Iran di mettere fuorilegge il matrimonio minorile aumentando l'età minima per le ragazze, e di attuare forme di prevenzione del fenomeno. Questo tema è stato affrontato più volte durante la Revisione da parte di Stati africani, latinoamericani ed europei. Come nel precedente UPR, molti stati hanno espresso preoccupazione per l'alto tasso di esecuzioni in Iran. Mentre la mancanza di garanzie di equo processo e la vaghezza e l'elevato numero di reati considerati capitali sono stati citati dagli Stati, la questione dell'esecuzione di persone che avevano meno di 18 anni al momento del presunto reato si è distinta come la più affrontata, con 29 stati che hanno specificato riferimenti a tale pratica proibita dai trattati sui diritti umani che l'Iran ha ratificato. Durante il dialogo, molti stati hanno inoltre sollevato preoccupazione per la situazione delle minoranze religiose, delle minoranze etniche e degli LGBT+ iraniani. I numerosi ostacoli posti al lavoro indipendente di giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani sono stati inoltre sollevati ripetutamente. Impact Iran invita il governo iraniano a dimostrare la volontà politica di rispettare i suoi obblighi in materia di diritti umani accettando senza riserve la stragrande maggioranza delle raccomandazioni che riflettono semplicemente i suoi obblighi in materia di diritti umani ai sensi dei trattati sui diritti umani che ha firmato e ratificato. “Oggi deve servire da campanello d'allarme per la Repubblica islamica dell'Iran. Le autorità iraniane devono ora attuare riforme dei diritti umani, argomento su cui sono in ritardo. Tali riforme sono necessarie per rendere l'Iran conforme ai suoi obblighi internazionali, per rispettare le richieste frequentemente espresse dalla sua popolazione e per rispondere alla richiesta degli Stati di un miglioramento tangibile ", ha affermato Impact Iran.

(Fonti: Iran Human Rights) https://iranhr.net/en/articles/4006/

 

 

11/11/2019

IRAN

Le donne iraniane hanno il più alto tasso di suicidio in Medio Oriente. Ogni giorno che passa, l'Iran sprofonda in altre crisi e disastri. Sotto il dominio teocratico in Iran, il tasso di suicidio delle donne è aumentato di proporzioni strabilianti. Le statistiche ottenute da materiale pubblicato da testate iraniane mostrano che l'Iran ha il più alto tasso di suicidi tra donne e ragazze in Medio Oriente. Purtroppo, questa crisi silenziosa si sta verificando mentre il governo non fa nulla per salvare più vite. Invece, le politiche e le leggi misogine dei sovrani convincono le donne a porre fine alla loro vita piuttosto che sopportare altre umiliazioni e repressione. È difficile avere un quadro preciso della situazione perché, come è tipico del governo iraniano, le notizie più preoccupanti o allarmanti vengono passate sotto censura, ed è probabile che ai media sia stato dato l’input di sminuire il fenomeno dei suicidi femminili. Mancano quindi notizie accurate su questa catastrofe sociale. Le donne iraniane devono affrontare vari ostacoli per trovare un posto di lavoro, svolgere attività sociali, subire le obsolete leggi sul matrimonio, e l'aumento della povertà. Queste restrizioni hanno causato depressione e disperazione tra le donne iraniane. D'altra parte, le donne

e le ragazze sono vittime di discriminazioni sistematiche istituzionalizzate nella costituzione degli Ayatollah. A questo proposito, il governo non solo non ha nessuna intenzione di rimuovere la discriminazione legale e di normalizza la costituzione, ma cerca anche di stringere ulteriormente il cappio su questo segmento oppresso della società. I dirigenti iraniani non hanno la minima intenzione di creare un sistema di pari opportunità. Al contrario, perseguono il rafforzamento delle norme che emarginano ulteriormente le donne. I ricercatori sociali indipendenti ripetono che le statistiche ufficiale dei suicidi in Iran non sono affidabili, con le cifre tenute molto più basse di quella che sembra essere la realtà. Le autorità cercano di coprire le statistiche reali nel timore delle reazioni della società. "Nella mia ricerca ho anche parlato con infermieri che hanno affermato di aver spesso registrato, come causa di morte, un incidente invece del suicidio, perché se i fatti fossero registrati, il tasso di suicidi sarebbe molto alto", ha affermato Parvin Bakhtiarnejad, studiosa di affari femminili che si occupa anche delle regioni dei suicidi delle donne in Iran. Tuttavia, secondo le notizie pubblicate dai media statali o dai social media, solo nelle ultime sei settimane 12 donne iraniane si sono suicidate. La povertà è una delle ragioni più importanti del suicidio delle donne in Iran. Attualmente, oltre l'80% della popolazione iraniana vive al di sotto della soglia di povertà, mentre la classe media della società iraniana è quasi scomparsa. Le statistiche mostrano che dal 2017 il tasso di povertà assoluta è aumentato dal 12% al 50% e che la soglia di povertà ha superato gli 8 milioni di Riyal. Questa catastrofe si sta verificando nonostante l’Iran galleggi su un mare di petrolio e si classifica come il proprietario delle seconde maggiori risorse mondiali di gas naturale, oltre a notevoli risorse nazionali. In particolare, l'Iran possiede l'8% delle risorse naturali del mondo rispetto all'1% della popolazione mondiale. Tuttavia, il 96% della popolazione iraniana non ha accesso a queste ricchezze nazionali. In queste circostanze, purtroppo, i suicidi, con le donne che rappresentano la parte più significativa, si sono diffusi nella società iraniana. L'aumento del suicidio dipende dalle condizioni socioeconomiche e psicologiche della società, in particolare tra i giovani: il segmento povero della società iraniana continua a espandersi in queste statistiche orribili. Tra i dati salienti delle statistiche c’è il fatto che il 42% dei disoccupati è laureato, che il 65% delle donne sono disoccupate, che il tasso di inflazione ha superato il 40% in un solo anno, e che il prezzo delle abitazioni è aumentato del 91,5% in 12 mesi. E il tasso di suicidi è sempre stato in crescita negli ultimi 10 anni. Secondo recenti statistiche pubblicate dal Ministero della salute e dell'igiene, il 30% della popolazione iraniana soffrirebbe di disturbi psicologici, il che significa 21 milioni di persone! Provincia dell'Azarbaijan Occidentale - giugno, quattro donne e due uomini si sono suicidati con metodi diversi, tra cui l'autoimmolazione, l'uso di droghe e l'impiccagione. Provincia di Yazd - 28 luglio, una madre si è suicidata con una overdose di insulina. Successivamente si sono suicidati anche le due figlie e il figlio. Provincia di Fars, città di Neyriz - 2 agosto, una madre ha posto fine alla sua vita e a quella della figlia di 11 anni. Matrimonio forzato. Il matrimonio forzato è un altro motivo principale di suicidio tra le giovani donne. Secondo la costituzione dell'Iran, le giovani donne non hanno protezione legale. Le leggi degli Ayatollah considerano le ragazze di 13 anni “ammissibili al matrimonio”. Inoltre un padre può chiedere a un giudice il permesso di far sposare la figlia anche prima dei 13 anni. Gli uomini possono avere fino a quattro mogli formali e possono anche divorziare dalle loro mogli senza che la legge riconosca loro un qualche tipo di protezione se non quella di tornare, eventualmente, a casa dai genitori. Il 26 agosto, Ziba, 16 anni; il 5 giugno, Suma Khedri, 19 anni, nella città di Baneh, Azarbaijan-e Qarbi; il 1° giugno, Sara Esmaeeli, 17 anni, nella città di Piranshahr, Azarbaijan-e Qarbi; il 21 maggio, Delina Rahmani, 18 anni; e il 19 agosto, una donna sposata di nome Mandana Hosseini si sono suicidate. Sfortunatamente, nonostante il livello di istruzione delle donne e delle ragazze iraniane, l'Iran ha il più alto tasso di suicidi di donne in Medio Oriente. Questo perché la società non prevede per le ragazze e le donne cure di alcun tipo, e il complesso di leggi misogine che regola la vita sociale iraniana le spingono verso la disperazione e la depressione invece di aiutare i loro talenti a prosperare. Naturalmente, in un paese normale, questi preziosi talenti porterebbero il paese al progresso e alla prosperità. Come testimoniamo, le donne iraniane sono in prima linea nella lotta nazionale per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza negli ultimi 40 anni.

(Fonti: Iranfocus.com)

tps://www.iranfocus.com/en/women-mainmenu-28/34051-iranian-women-have-the-highest-suicide-rate-in-the-middle-eas


com/en/women-mainmenu-28/34051-iranian-women-have-the-highest-suicide-rate-in-the-middle-east

 

 

17 ottobre 2019

Una donna di 61 anni convertita al Cristianesimo, Mahrokh Ghanbari (anche Rokhsareh Qanbari), si è consegnata oggi alla prigione di Shahid Kachooei nella sua città natale di Karaj per scontare una condanna ad un anno. La signora Ghanbari ha registrato un breve video messaggio prima di andare in prigione, in cui ha affermato di essere stata arrestata da agenti del ministero dell'intelligence iraniano "per il reato di credere in Gesù Cristo". Ghanbari era stata arrestata una prima volta poco prima del Natale 2018, con l’accusa di tenere incontri di preghiera nella sua abitazione a Karaj. In quell’occasione vennero arrestate altre 3 donne, i cui nomi però non sono stati resi noti. Venne interrogata per otto giorni da agenti del ministero dell'intelligence, e rilasciata su cauzione in attesa del processo. È stata di nuovo arrestata a luglio 2019 e condannata dal Tribunale Rivoluzionario di Karaj, con l'accusa di "propaganda contro il sistema" attraverso la conversione al cristianesimo e la partecipazione a chiese domestiche.

(Fonti: Mohabatnews.com) http://mohabatnews.com/?p=35530 https://iran-hrm.com/index.php/2019/10/31/iran-human-rights-monitor-monthly-report-october-2019/

 

 

12/11/2019

ONU-IRAN. Le critiche del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di Ginevra all'Iran. Il 12 novembre 2019, le conclusioni e le raccomandazioni del gruppo di lavoro sull'UPR sono state adottate dalla comunità internazionale in una riunione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Nel contesto della Revisione Periodica Universale (UPR), la comunità internazionale ha preso posizione contro le violazioni dei diritti umani da parte del regime iraniano, ed ha sollecitato il regime a porre fine alla tortura, all'esecuzione di minori e alla discriminazione nei confronti delle donne. L'8 novembre 2019, circa 111 paesi hanno partecipato all'UPR della situazione dei diritti umani in Iran, criticando l'esecuzione di minori, l’uso della tortura, e le discriminazioni contro le donne in Iran. L'UPR è un meccanismo di revisione tra pari in cui gli Stati membri delle Nazioni Unite sono in grado di formulare raccomandazioni ai governi sottoposti a revisione. Il 12 novembre 2019, le conclusioni e le raccomandazioni del gruppo di lavoro sull'UPR sono state adottate dalla comunità internazionale in una riunione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Un totale di 329 raccomandazioni sono state rivolte al governo iraniano. Diversi paesi hanno invitato il regime a ratificare la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW, Convention on the elimination of all forms of discrimination against women). Danimarca, Estonia e Moldavia hanno invitato il regime a ratificare la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. La Germania ha invitato il regime a "ratificare le principali convenzioni internazionali sui diritti umani, in particolare la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti e la Convenzione Sull'eliminazione di ogni forma di Discriminazione nei Confronti delle Donne". L'Albania ha invitato il regime iraniano a cooperare con tutti i relatori speciali delle Nazioni Unite che desiderano visitare il paese, e ai quali fino ad oggi è stato impedito l’ingresso. La Svezia ha dichiarato che l'Iran deve "cooperare pienamente e garantire un accesso immediato e senza restrizioni al relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell'Iran".

Il Belgio ha invitato il regime a "abolire la pena di morte almeno per i reati commessi da persone di età inferiore ai 18 anni, in conformità con i suoi obblighi ai sensi del Patto internazionale sui diritti civili e politici e della Convenzione sui diritti del fanciullo, e commutare tutte le condanne a morte emesse contro minorenni." La Germania ha dichiarato che l'Iran deve "stabilire una moratoria formale sulla pena di morte. In particolare, cessare tutte le esecuzioni pianificate di minorenni e vietare l'imposizione della pena di morte per reati commessi da minori." Gli Stati Uniti hanno affermato che il regime iraniano deve porre immediatamente fine all'uso della tortura, e indagare e perseguire in modo credibile tutte le accuse di tortura. L'Ucraina ha invitato l'Iran a "rimuovere tutte le disposizioni di legge nazionali che prevedono sanzioni che equivalgono a tortura o trattamenti crudeli e degradanti.” L'Australia ha dichiarato che l'Iran deve "Indagare immediatamente su tutte le accuse di tortura e altri maltrattamenti di coloro che sono stati arrestati o detenuti durante le manifestazioni del dicembre 2017 e individuare e sanzionare i responsabili". Il Regno Unito ha dichiarato che l'Iran deve "Dimostrare immediatamente che tutti i detenuti in carcere non sono né torturati né soggetti a trattamenti o pene crudeli o disumane". La Svizzera ha invitato l'Iran a "Liberare tutte le persone detenute per aver esercitato i loro diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica, e abrogare o modificare le leggi e altre disposizioni che criminalizzano o limitano l'esercizio di tali diritti". L'Argentina ha affermato che l'Iran deve "garantire la libertà di espressione, in particolare dei difensori dei diritti umani e dei giornalisti e delle giornaliste, e abrogare le disposizioni di legge che incidono su questi diritti".

(Fonte: ncr-iran.org) https://www.ncr-iran.org/en/news/157-human-rights/26867-un-urges-iran-regime-to-end-torture-execution-of-minors-and-discrimination-against-women

 

 

14/11/2019

66a condanna dell'ONU contro le violazioni dei diritti umani in Iran. Il 14 novembre, il Terzo Comitato dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA), che si occupa di questioni sociali e umanitarie, ha adottato una risoluzione che condanna per la 66a volta le violazioni dei diritti umani del regime iraniano. Introdotta dal Canada, la risoluzione è stata approvata con 84 voti positivi e nonostante gli sforzi profusi del regime per ostacolarne l'adozione. La risoluzione esprime grave preoccupazione per "la frequenza alta in maniera allarmante dell'imposizione e dell'esecuzione della pena di morte da parte della Repubblica islamica dell'Iran, in violazione dei suoi obblighi internazionali, comprese le esecuzioni condotte contro persone sulla base di confessioni forzate o per crimini che non si qualificano come i crimini più gravi”. Il regime iraniano ha il più alto tasso di esecuzioni pro capite in tutto il mondo. La risoluzione mette in guardia su "l'uso diffuso e sistematico di arresti e detenzioni arbitrari, i casi di decessi sospetti in custodia, le cattive condizioni delle carceri, la pratica di negare deliberatamente ai detenuti l'accesso a cure mediche adeguate, che crea un conseguente rischio di morte.” La risoluzione delle Nazioni Unite continua che la "soppressione del diritto alla libertà di espressione e di opinione, anche nei contesti digitali, e il diritto alla libertà di associazione e di riunione pacifica, e la discriminazione e altre violazioni dei diritti umani contro le donne", compreso il diritto alla libertà di associazione e assemblea pacifica e il diritto alla libertà di espressione e di opinione, molestie, intimidazioni e persecuzioni di oppositori politici, di difensori dei diritti umani, di difensori dei diritti delle donne e delle minoranze, di attivisti sindacali, di difensori dei diritti degli studenti, di ambientalisti, accademici, cineasti, giornalisti, blogger, utenti di social media e amministratori di pagine di social media, operatori dei media, leader religiosi, artisti, avvocati, compresi avvocati per i diritti umani, e le loro famiglie, e persone appartenenti a minoranze religiose riconosciute e non riconosciute e alle loro famiglie". E "la discriminazione e altre violazioni dei diritti umani nei confronti di persone appartenenti a minoranze etniche, linguistiche o di altro tipo, inclusi, a titolo esemplificativo, arabi, azeri, baluci, curdi e turkmeni e i loro difensori". La 66a Risoluzione delle Nazioni Unite riflette anche le preoccupazioni degli Stati membri per la frequenza allarmante alta dell'imposizione e dell'esecuzione della pena di morte, in violazione dei suoi obblighi internazionali, tra cui: Esecuzione di persone basate su

confessioni forzate; l'imposizione della pena di morte per reati che non si qualificano come reati gravi, e spesso definiti in maniera vaga, in violazione del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici; l'imposizione confermata della pena di morte contro i minori in violazione della Convenzione sui diritti del fanciullo. La signora Maryam Rajavi, presidente eletto del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (NCRI), ha accolto con favore l'adozione di questa risoluzione delle Nazioni Unite. "I responsabili della maggior parte dei crimini a cui la risoluzione ha fatto riferimento sono le stesse persone che hanno perpetrato continuamente un crimine contro l'umanità negli ultimi quattro decenni, in particolare il massacro di prigionieri politici del 1988", ha affermato Rajavi. La Rajavi ha osservato che, sebbene questa risoluzione non abbia affrontato molti aspetti delle flagranti violazioni dei diritti umani in Iran, rende comunque chiaramente palese che la teocrazia che governa l'Iran è oggi il più barbaro ed egregio violatore dei diritti umani nel mondo.

(Fonti: irannewsupdate.com, PMOI/MEK) https://english.mojahedin.org/i/iranian-regimes-human-rights-abuses-condemned-the-for-66th-time https://www.iranfocus.com/en/human-rights/34065-un-66th-condemnation-against-human-rights-violations-in-iran https://www.ncr-iran.org/en/ncri-statements/26871-un-adopts-66th-resolution-censuring-human-rights-violations-in-iran

 

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le 6 esecuzioni di “minori” del 2019

 

 

28/07/2019

Touraj Ghassemi (Qasemi), forse un minorenne, impiccato nella prigione di Nur il 28 luglio. La notizia è riportata da IHR, che cita come fonte la testata filogovernativa ISNA. ISNA cita a sua volta il procuratore generale della città di Nur, che non ha fatto il nome del giovane uomo impiccato, ma ha detto che aveva 23 anni, e che 5 anni prima aveva accoltellato a morte un diciannovenne. Secondo HRANA, il fatto sarebbe in realtà avvenuto 6 anni fa, e all’epoca Ghassemi (identificato da HRANA) aveva 16 anni.

(Fonti: IHR)

 

 

14/07/2019

Ali Karimi, Mohammad Parvaei e il "minorenne" Amirali Shadabi impiccati nella prigione di Minab il 14 luglio. La notizia è riportata da IHR, che ha precisato che la notizia al momento non risulta pubblicata da nessuna fonte filogovernativa. Secondo un'altra fonte, iranrights.org, Amirali Shadabi era minorenne all'epoca del reato. IHR è stata in grado di aggiungere che Amirali Shadabi aveva ucciso una persona durante una lite, mentre gli altri due avevano commesso un omicidio “per motivi economici”, termine generico che potrebbe riferirsi ad un furto o una rapina, e che secondo il codice iraniano ispirato alla Shari’a viene assorbito dalla definizione di “moharebeh”. In Iran, nazione che segue i precetti dell’islam sciita, sono “moharebeh” (detto anche ifsad fil Arz “corruzione sulla terra”) coloro che “dichiarano guerra” contro Dio e il suo Messaggero e in via estensiva contro le regole e i precetti della società islamica. La formula viene applicata ad attività violente sia per fini criminali sia si contestazione ai poteri dello stato. Gli accusati di essere moharebeh “nemici di Allah” sono sottoposti ad un processo a porte chiuse che spesso si conclude con la condanna a morte. In alternativa, la punizione per moharabeh è l’amputazione “incrociata” degli arti, ossia della mano destra e del piede sinistro. Nei casi di moharabeh le esecuzioni sono spesso effettuate in segreto, senza che siano informati gli avvocati o i familiari. Tra i condannati a morte o giustiziati per moharebeh, considerata la natura indeterminata ed estensiva del reato, vi sono spesso

dissidenti politici, membri di gruppi politici considerati illegali o appartenenti alle minoranze etniche e religiose, in particolare, sunniti, azeri, kurdi, baluci e ahwazi.

(Fonti: IHR, NtC) https://iranhr.net/en/articles/3842/ https://www.iranrights.org/memorial/story/-8385/amir-ali-shadabi

 

 

15/01/2019

Farhard Akbari è stato impiccato il 15 gennaio nella prigione di Ilam. Era accusato di un omicidio commesso quando aveva 15 anni e 9 mesi. La notizia è stata pubblicata da HENGAW, l’organizzazione per i diritti umani che si occupa della minoranza curda, che non è stata in grado di aggiungere altri dettagli, se non che Akbari era di etnia curda.

(Fonti: Hengaw) https://hengaw.net/en/news/two-kurdish-citizens-was-executed-in-ilam-prison

 

 

25/04/2019

IRAN

Mehdi Sohrabifar e Amin Sedaghat, minorenni all’epoca del reato, e probabilmente anche al momento dell’esecuzione, sono stati impiccati il 25 aprile nella prigione di Adel Abad. La notizia è riportata a Amnesty International: “Le autorità iraniane hanno frustato e giustiziato segretamente due ragazzi di età inferiore ai 18 anni. Mehdi Sohrabifar e Amin Sedaghat, due cugini, sono stati giustiziati il 25 aprile nella prigione di Adel Abad a Shiraz. Entrambi sono stati arrestati a 15 anni e condannati per accuse multiple di stupro a seguito di un processo ingiusto. Secondo le informazioni ricevute da Amnesty, gli adolescenti non erano a conoscenza del fatto che erano stati condannati a morte fino a poco prima delle loro esecuzioni, e quando i familiari hanno recuperato i corpi, hanno notato segni freschi di frustate su entrambe i cadaveri. Né le famiglie né gli avvocati erano stati informati in anticipo delle esecuzioni. Mehdi Sohrabifar e Amin Sedaghat erano stati detenuti in un centro di correzione minorile a Shiraz dal 2017. Il 24 aprile sono stati trasferiti nella prigione di Adel Abad, apparentemente senza conoscerne il motivo. Lo stesso giorno, alle famiglie è stato concesso un colloquio con i ragazzi, ma né ai ragazzi né ai familiari era stato detto loro che era in preparazione la loro esecuzione. Il giorno successivo, il 25 aprile, le famiglie hanno ricevuto improvvisamente una chiamata dall'Organismo di medicina legale iraniana, un istituto forense statale, che li informava delle esecuzioni e chiedeva loro di raccogliere i corpi. I procedimenti giudiziari che hanno portato alla condanna e alla sentenza dei due ragazzi sono stati ingiusti e hanno palesemente violato i principi di giustizia minorile. Dopo il loro arresto, sono stati trattenuti per due mesi in un centro di detenzione della polizia, dove hanno dichiarato di essere stati picchiati. Inoltre non hanno avuto accesso a un avvocato durante la fase delle indagini. La pratica di sottoporre i minori a interrogatori di polizia in assenza di un tutore o di un avvocato viola la Convenzione sui diritti del fanciullo, che prevede che i minori debbano ricevere assistenza legale tempestiva. In quanto Stato parte della Convenzione sui diritti del fanciullo e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, l'Iran sarebbe legalmente obbligato a trattare come minore un minore di 18 anni e a garantire che non sia mai soggetto alla pena di morte o ergastolo. A volte sorgono dubbi sull’età ei minorenni a causa del fatto che in Iran è in vigore l’anno lunare islamico, che dura 11 giorni meno dell’anno solare occidentale. Come raffronto, ad esempio, quando un adolescente “occidentale” compie 18 anni, un pari età iraniano avrà 17 anni e mezzo.

(Fonte: Amnesty International) https://www.amnesty.org/en/latest/news/2019/04/iran-two-17yearold-boys-flogged-and-secretly-executed-in-abhorrent-violation-of-international-law/ https://iran-hrm.com/index.php/2019/05/07/iran-secretly-hangs-four-men-on-drug-related-charges-in-arak-prison/ https://iranhrdc.org/ihrdc-chart-of-executions-by-the-islamic-republic-of-iran-2019/

 

 

25/10/2019

IRAN

Saeed Mohammadi, che sembra avesse 16 anni al momento del reato, è stato impiccato nella prigione di Karaj il 25 ottobre. La notizia al momento non è stata data da fonti filogovernative. Iran Human Rights Monitor ha potuto aggiungere solo che Mohammadi aveva 21 anni, e ne aveva 16 quando avrebbe commesso l’omicidio per il quale era stato condannato. (Fonti: Iran HRM) https://iran-hrm.com/index.php/2019/10/28/iran-executed-young-man-sentenced-as-juvenile/

 

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I “casi” seguiti da Nessuno tocchi Caino nel 2019

 

15/03/2019

Il caso Sotoudeh

 

Nasrin Sotoudeh (scritto anche Sotoodeh) è una avvocatessa per i diritti umani in Iran. Nata nel 1963 a Langarūd (anche Langarood), una piccola città sulle coste del Mar Caspio, dopo essersi laureata in una delle più prestigiose università iraniane, la Shahid Beheshti University di Teheran, nel 1995 ha superato l'esame di avvocato, ma ha dovuto attendere altri otto anni per ottenere il permesso di esercitare la professione legale. Come avvocato ha rappresentato attivisti e politici dell'opposizione iraniana incarcerati a seguito delle contestate elezioni presidenziali iraniane del giugno 2009 e dei prigionieri condannati a morte per crimini commessi quando erano minorenni. Tra i suoi clienti c'erano il giornalista Isa Saharkhiz, il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi e Heshmat Tabarzadi, capo del gruppo di opposizione messo fuori legge “National Democratic Front”. Ha anche rappresentato donne arrestate per essersi mostrate in pubblico senza hijab. È sposata, ed ha due figli. Il 28 agosto 2010, le autorità iraniane hanno fatto irruzione e perquisito l'ufficio di Sotoudeh. All'epoca, Sotoudeh rappresentava Zahra Bahrami, una donna con doppia cittadinanza olandese-iraniana accusata di reati “contro la sicurezza dello stato”. Il 4 settembre 2010 Sotoudeh è stata arrestata e condotta alla prigione di Evin (a Teheran). Il 9 gennaio 2011 è stata condannata a 11 anni per accuse che includono "attività contro la sicurezza nazionale" e "propaganda contro il regime". Inoltre, le è stato proibito di praticare la legge e di lasciare il paese per 20 anni. A metà settembre 2011, una corte d'appello ha ridotto la pena detentiva Sotoudeh a sei anni; e il divieto di esercitare la professione forense è stato ridotto a dieci anni. Dopo due lunghi scioperi della fame, e un forte interessamento della comunità internazionale, Sotoudeh è stata rilasciata il 18 settembre 2013 assieme ad altri dieci prigionieri politici, tra cui il leader dell'opposizione Mohsen Aminzadeh, pochi giorni prima di un discorso del presidente iraniano Hassan Rouhani alle Nazioni Unite. Nessuna spiegazione ufficiale è stata data per il suo rilascio anticipato. Sotoudeh ha iniziato la sua carriera presso l'ufficio legale del Ministero dello Sviluppo Urbano, e dopo due anni è entrata a far parte della sezione legale della banca statale Tejarat. Sotoudeh ha iniziato ad occuparsi dei diritti delle donne curano una raccolta di interviste,

relazioni e articoli per la rivista Daricheh. Il caporedattore della pubblicazione ha respinto la raccolta, circostanza che sembra abbia aumentato la determinazione di Sotoudeh. È stata nuovamente arrestata il 13 giugno 2018. Secondo il suo avvocato, è stata accusata di spionaggio, diffusione di propaganda e denigrazione del leader supremo dell'Iran, Ali Khamenei. Il 22 agosto 2018, 60 membri del Parlamento europeo hanno invitato il presidente iraniano Hassan Rouhani a lavorare con forza per la "liberazione incondizionata" di Sotoudeh. Il 6 marzo 2019, è stata condannata in contumacia, dopo aver rifiutato di partecipare al processo dinanzi alla corte rivoluzionaria islamica di Teheran perché non le è stato consentito di scegliersi un avvocato il proprio avvocato. È stata accusata di una serie di reati, tra cui essere membro di un'organizzazione per i diritti umani e alimentare la "corruzione e la prostituzione". L'11 marzo, il giudice Mohammad Moqiseh, intervistato dall’agenzia filogovernativa IRNA, ha detto che la donna era stata condannata a 7 anni, cinque per aver messo in pericolo la sicurezza del Paese e due per aver offeso Khamenei. Altre fonti hanno riportato che era stata condannata a 10 anni e 148 frustate, più altre 6 condanne concorrenti per un totale di 38 anni. Il 12 marzo, il marito di Sotoudeh, Reza Khandan, ha dichiarato che la moglie avrebbe scontato solo la pena più alta, ossia i 10 anni inferti per “incoraggiamento alla corruzione e della dissolutezza”. Di solito in Iran nei casi di condanne per capi d’imputazione multipli si sconta la pena più alta, che assorbe le pene inferiori. Prima che la sentenza fosse resa pubblica, il vice Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Kate Gilmore, aveva avuto il permesso di visitare Sotoudeh. Quella della Gilmore è stata la prima visita che le autorità iraniane hanno autorizzato in molti anni di tentativi dei vari Investigatori per i diritti umani delle Nazioni Unite. L’attuale Alto Commissario con la delega per l’Iran, Javaid Rehman, non è mai riuscito ad ottenere il visto d’ingresso nel paese, e men che mai è riuscito a visitare un carcere. L'11 marzo 2019 Rehman ha sollevato il caso di Sotoudeh al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, affermando che era stata "dichiaratamente condannata per accuse relative al suo lavoro e che avrebbe dovuto affrontare una lunga pena detentiva". (Fonte: www.nasrinsotoudeh.com)

 

 

15/03/2019

Appello di Nessuno tocchi Caino per Nasrin Sotoudeh

Riteniamo vergognosa e inaccettabile la condanna di Nasrin Sotoudeh alla pena senza precedenti di 38 anni di carcere e di 148 frustate per fatti essenzialmente legati alle sue attività di avvocato di detenuti politici e difensore dei diritti umani, per le quali nel 2012 il Parlamento europeo l’ha insignita del Premio Sakharov per la libertà di pensiero. La sua condanna è stata annunciata appena qualche giorno dopo l’elezione di Ebrahim Raisi a capo del sistema giudiziario iraniano, noto a tutti per essere stato componente negli anni Ottanta della cosiddetta “commissione della morte”, responsabile di decine di migliaia di esecuzioni di prigionieri politici effettuate nel decennio successivo alla Rivoluzione Islamica. Enormi e politicamente motivate ci appaiono le accuse che le sono state mosse di “collusione contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro lo Stato”, “istigazione alla corruzione e alla prostituzione” e di “essere apparsa in pubblico senza hijab”. Al contrario, sappiamo che l’attivista iraniana ha dedicato la sua vita a battersi contro la pena di morte e a difendere le persone vittime del regime oscurantista e misogino dei mullah e, in particolare, le donne che tra dicembre 2017 e gennaio 2018 avevano manifestato pacificamente contro la legge della Repubblica Islamica che le obbliga a indossare il velo (Hijab). La condanna a una pena assurda di 38 anni e la tortura medioevale della fustigazione sono un insulto alla civiltà giuridica, alla dignità della persona e al senso di umanità, che sono principi basilari e valori universalmente riconosciuti. Ci appelliamo al parlamento e al governo italiani e ai rappresentanti dei parlamenti e dei governi europei perché intervengano con urgenza sulle autorità iraniane per ottenere la liberazione di Nasrin Sotoudeh e porre fine alle pene e ai trattamenti inumani e degradanti che le sono stati inflitti.

(Fonte: NtC)

 

 

17/11/2019

Aggiornamento sul caso Sotoudeh

Alla data del 19 novembre non risultano aggiornamenti disponibili sul caso Sotoudeh. Sembra che la donna sia tuttora detenuta nella prigione di Evin, a Teheran.

 

 

03/08/2019

Il caso Djalali.

 

Ahmad Reza Jalali, che all’epoca viveva in Svezia, è stato arrestato a Teheran nell’aprile 2016 dopo essere tornato in Iran per partecipare a un ciclo di seminari su invito dell’università della capitale. La professione di Djalali era quella di medico e ricercatore, esperto nelle procedure mediche di emergenza da adottare in casi di attacchi nucleari, chimici o biologici. Tra il 2012 e il 2016 ha lavorato al Centro di ricerca interdipartimentale in medicina dei disastri (Crimedim), per un breve periodo è stato visiting professor presso la Free University of Brussels in Belgio, e infine è stato docente presso l'Istituto Karolinska di Stoccolma. È sposato con una biologa, Vida, e ha due figli di 5 e 14 anni. Jalali, che oggi ha 47 anni, il 21 ottobre 2017 è stato condannato a morte con l’accusa di aver passato informazioni riservate ad Israele. Il 5 dicembre 2017 la Corte suprema ha confermato la condanna a morte. Quasi a spiegare la condanna, nel dicembre 2017 la tv iraniana aveva trasmesso un video in cui l’uomo confessava di aver fornito informazioni a Israele, informazioni che, secondo l’accusa, hanno portato anche all’uccisione, tra il 2007 e il 2012, di alcuni scienziati che lavoravano al programma nucleare iraniano. In una registrazione vocale pubblicata lo scorso ottobre su YouTube, effettuata di nascosto nella prigione di Evin dove lo scienziato è detenuto, e fatta uscire clandestinamente dal carcere, Djalali afferma che le video-confessioni gli erano state estorte minacciando di morte lui, sua moglie, la sua anziana madre che vive in Iran, e anche i suoi figli che vivono in Svezia. In precedenza aveva negato le accuse di spionaggio, e anzi sosteneva di essere stato arrestato “per rappresaglia” per non aver accettato la richiesta dei servizi segreti iraniani di fornire informazioni sulle infrastrutture antiterrorismo con cui collaborava in Europa. Nel febbraio 2018 la Svezia gli ha concesso la cittadinanza, nella convinzione che questo possa agevolare le trattative a favore di Djalali. Sembra che in realtà la mosse abbia molto innervosito le autorità iraniane, le quali per altro non accettano mai il concetto di “doppia nazionalità”, nemmeno in casi meno drammatici.

(Fonti: NtC)

 

 

25/1/2018

Appello di Nessuno tocchi Caino per Ahmad Reza Djalali

Appello per Djalali. A S. E. Federica Mogherini, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Vice Presidente della Commissione Europea, Rue de la Loi / Wetstraat 200 – 1049 Brussels. Roma 25.01.2018. Appello Urgente per il dott. Ahmad Reza Djalali. Egregio Alto Rappresentante e Vice Presidente Federica Mogherini, Le scriviamo per esprimere la nostra profonda preoccupazione per il caso di Ahmadreza Djalali. Abbiamo appreso che il caso di Djalali è stato inviato alla 33a sezione della Corte Suprema iraniana per una revisione del processo. Tuttavia, questa non è stata ancora esaminata, quindi il rischio di esecuzione resta alto. Il Dr. Djalali è ancora recluso nel carcere di Evin, le sue condizioni fisiche sono drammatiche e sta diventando di giorno in giorno sempre più magro e debilitato. Egli continua a rigettare tutte accuse che gli sono state addebitate, comprese quelle che gli sono state attribuite dal Ministero dell’Intelligence attraverso un documentario diffuso dalla televisione di stato iraniana. Il Dott.

Djalali collabora con il Karolinska Institutet in Svezia a Stoccolma e con l'Università italiana del Piemonte Orientale a Novara, dove ha condotto ricerche per migliorare le risposte di emergenza degli ospedali al terrorismo armato e alle minacce radioattive, chimiche e biologiche. È stimato a livello internazionale e collabora regolarmente con i principali istituti di ricerca europei. Il contributo del Dott. Djalali in questo campo è innegabile. La sua ricerca innovativa è stata condotta in ambienti multiculturali e in collaborazione con colleghi e istituzioni di tutto il mondo, dai Paesi dell'Est all'Ovest. I suoi studi hanno portato alla pubblicazione di oltre quaranta articoli scientifici con lo scopo di migliorare la risposta alle emergenze, non solo nel suo Paese, in Iran, ma anche in Europa. Il Dott. Djalali è stato arrestato in Iran nell'aprile 2016 e in seguito condannato per spionaggio, in assenza di prove materiali. Il processo, celebrato in segreto e modo frettoloso dalla Corte rivoluzionaria iraniana, si è svolto senza che alla difesa fosse consentito di esercitare il proprio ruolo. Il 21 ottobre, il Dott. Djalali è stato condannato a morte. Secondo quanto riportato dal settimanale internazionale di scienza Nature (23 ottobre 2017), una fonte vicina al Dott. Djalali ha rivelato, attraverso un documento che pretende di essere una trascrizione letterale di un testo scritto da lui a mano all'interno della prigione di Evin, che nel 2014 è stato avvicinato da agenti dell'intelligence militare iraniana che gli chiedevano di raccogliere informazioni sui siti chimici, biologici, radiologici e nucleari occidentali, nonché sulle infrastrutture critiche e sui piani operativi antiterrorismo. Il documento afferma che il Dott. Djalali crede di essere stato arrestato per aver rifiutato di lavorare per i servizi iraniani. La storia del Dott. Djalali ricorda quella di altri scienziati iraniani: Omid Kokabee, un fisico rilasciato da un carcere di Teheran nell'agosto 2016, dopo cinque anni di detenzione, che sostiene di essere stato punito per aver rifiutato di aiutare un programma segreto di armi nucleari, e Hamid Babaei, recluso da sei anni in Iran dopo aver seguito un dottorato di ricerca in finanza in Belgio, che ha dichiarato di essere stato arrestato per aver rifiutato di spiare i suoi colleghi. Noi, firmatari di questo appello, consideriamo il problema sopra citato - in considerazione del numero sempre crescente di ricercatori iraniani in Europa, in ragione degli accordi bilaterali esistenti tra l'Iran e le università europee, soprattutto nel campo della scienza e della tecnologia – come un grave attacco contro i diritti e le libertà fondamentali, in particolare contro la mobilità accademica e la sua sicurezza. Crediamo che l'UE dovrebbe essere in prima linea negli sforzi internazionali per chiedere alle autorità iraniane un processo equo per il Dott. Djalai - in conformità con le convenzioni e i trattati internazionali, in particolare la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, di cui l'Iran è parte - dato che, oltre all'importanza di affermare il diritto di ogni cittadino a un giusto processo, solo un processo adeguato che rispetti tutti gli standard legali è in grado di stabilire l’eventuale responsabilità e colpa del Dott. Djalali e, in caso di sua innocenza, di mettere in guardia contro potenziali problemi alla sicurezza europea. Chiediamo pertanto all'UE di agire con urgenza e compiere tutti i passi necessari ad ottenere una sospensione della pena e che gli siano assicurate le cure mediche più appropriate. Grati per un Suo interessamento, La preghiamo, Signora Alto Rappresentante, di gradire i sensi della nostra considerazione. Fidu – Federazione Italiana Diritti Umani, Nessuno Tocchi Caino, ECPM – Ensemble Contre la Peine de Mort, Iran Human Rights

(Fonte: NtC)

 

 

03/08/2019

Aggiornamento sul caso Djalali

Aggiornamento della situazione di Ahmad Reza Djalali (anche scritto Ahmadreza Jalali). Nei giorni scorsi era trapelata la notizia che Djalali fosse stato trasferito senza preavviso dalla prigione di Evin (Teheran) a un posto non identificato, e si temeva che la sua esecuzione potesse essere imminente. In una conversazione telefonica con la sua famiglia, lo scienziato iraniano che ha acquisito anche la nazionalità svedese ha detto di essere stato messo sotto pressione per confessare nuovi crimini, e registrare un’altra video-confessione. Parlando a Radio Farda sabato 3 agosto, la moglie di Djalali, Vida Mehran Nia, ha detto di aver saputo dal marito che lunedì era stato portato in isolamento, ma fuori dalla prigione di Evin. "Mio marito mi ha detto al telefono che era stato sottoposto a forti pressioni per sottomettersi a una confessione forzata", ha detto

la signora Mehran Nia, aggiungendo: "Loro (gli agenti dell'intelligence) lo hanno minacciato di produrre nuove accuse o di procedere con l’esecuzione. Djalali, che oggi ha 47 anni, il 21 ottobre 2017 è stato condannato a morte con l’accusa di aver passato informazioni riservate ad Israele. La professione di Djalali era quella di medico e ricercatore, esperto nelle procedure mediche di emergenza da adottare in casi di attacchi nucleari, chimici o biologici. Ha lavorato all'Università del Piemonte Orientale di Novara, al Karolinska Institutet di Stoccolma, e alla Vrije Universiteit Brussel. Djalali nega le accuse, e anzi ritiene di essere stato arrestato “per rappresaglia” per non aver accettato la richiasta dei servizi segreti iraniani di fornire informazioni sulle infrastrutture antiterrorismo con cui collaborava in Europa. Nel febbraio 2018 la Svezia gli ha concesso la cittadinanza, nella convinzione che questo possa agevolare le trattative a favore di Djalali. Sembra che in realtà la mosse abbia molto innervosito le autorità iraniane, le quali per altro non accettano mai il concetto di “doppia nazionalità”, nemmeno in casi meno drammatici. Djalali, che all’epoca era residente in Svezia, era stato arrestato nell’aprile 2016 dopo essere tornato a Teheran per partecipare a un ciclo di seminari su invito dell’università stessa. Il 5 dicembre 2017 la Corte suprema ha confermato la condanna a morte. Quasi a spiegare la condanna, nel dicembre 2017 la tv iraniana aveva trasmesso un video in cui l’uomo confessava di aver fornito informazioni a Israele, informazioni che, secondo l’accusa, hanno portato anche all’uccisione, tra il 2007 e il 2012, di alcuni scienziati che lavoravano al programma nucleare iraniano. In una registrazione vocale pubblicata lo scorso ottobre su YouTube, Djalali afferma che le video-confessioni gli erano state estorte minacciando di morte lui, sua moglie, la sua anziana madre che vive in Iran, e anche i suoi figli che vivono in Svezia. (Fonti: radiofarda.com)

 

 

21 agosto 2019

Aggiornamento sul caso Djalali

Il 21 agosto 2019 Il Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha detto che Teheran “farà del suo meglio” per rinviare l’esecuzione di Ahmad Reza Djalali, lo scienziato con doppia nazionalità iraniana e svedese, che l’Iran ha condannato a morte nell’ottobre 2017 con l’accusa di aver collaborato con Israele. "Faremo del nostro meglio per motivi umanitari per vedere se la sentenza sul sig. Djalali può essere ritardata, ma è stato accusato di molteplici reati capitali ... e ne è stato condannato", ha detto Zarif, rispondendo alla domanda di un giornalista dopo aver tenuto una conferenza presso l'Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma durante una visita in Svezia. "In Iran la magistratura è indipendente", ha aggiunto Zarif. "Oggi due membri del governo iraniano vengono processati dal nostro sistema giudiziario. Ciò dimostra quanto il potere giudiziario sia indipendente dal nostro esecutivo". La Svezia ha concesso la cittadinanza a Djalali nel febbraio 2018.

(Fonte: alarabiya.net) http://english.alarabiya.net/en/News/middle-east/2019/08/21/Zarif-says-Tehran-will-see-if-Swedish-Iranian-s-death-sentence-can-be-delayed.html

 

 

17/11/2019

Aggiornamento sul caso Djalali

Alla data del 19 novembre non risultano aggiornamenti disponibili sul caso Djalali. Sembra che l’uomo sia tuttora detenuto nella prigione di Evin, a Teheran.