03 Ottobre 2025 :
Stefano Caliciuri
In Corea del Nord anche un gesto quotidiano, come guardare un film o una serie televisiva straniera, può trasformarsi in una condanna a morte. È la spietata realtà descritta da un nuovo rapporto delle Nazioni Unite che getta luce su un Paese sempre più chiuso, affamato e tenuto sotto il giogo del terrore. Coprendo i dieci anni successivi alla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite del 2014, le ultime scoperte indicano l’introduzione di ulteriori leggi, politiche e pratiche che sottopongono i cittadini a una maggiore sorveglianza e controllo in ogni ambito della vita.
Dal 2015 il regime di Kim Jong Un ha introdotto anche almeno sei nuove leggi che permettono la pena di morte. Tra i reati più “pericolosi”, secondo la dittatura, c’è l’accesso a contenuti culturali provenienti dall’estero: un film sudcoreano, un dramma televisivo occidentale, persino un semplice file condiviso di nascosto tra amici. Le testimonianze raccolte dall’Onu raccontano di esecuzioni pubbliche davanti a folle terrorizzate ma obbligate ad assistere. Una giovane fuggitiva ha ricordato il processo di un suo amico, appena 23 anni, condannato a morte per aver visto contenuti sudcoreani. “Era processato insieme ai trafficanti di droga. Ora la cultura straniera è trattata come un veleno da eliminare”.
Quando nel 2011 Kim Jong Un salì al potere, molti auspicavano in un futuro migliore. Il giovane leader prometteva prosperità e cibo a sufficienza, assicurando che il popolo non avrebbe più dovuto “stringere la cinghia”. Quelle speranze si sono trasformate in illusioni bruciate. Dal 2019, dopo il crollo dei negoziati con l’Occidente, il regime ha puntato tutto sul nucleare, lasciando i cittadini a fare i conti con la fame. La maggior parte degli intervistati dall’Onu ha dichiarato che mangiare tre volte al giorno è diventato un lusso. Durante la pandemia, la situazione è precipitata: intere famiglie sono morte di stenti, mentre il governo soffocava i mercati informali, unica ancora di sopravvivenza per molti.
Alla fame si aggiunge il peso del lavoro coatto. Migliaia di nordcoreani, soprattutto giovani provenienti da famiglie povere, vengono arruolati in “brigate d’urto” per lavorare in miniere o cantieri, spesso senza protezioni e in condizioni letali. La morte sul lavoro non viene nascosta, ma celebrata come sacrificio eroico per la nazione. Il rapporto Onu conferma anche l’esistenza di almeno quattro campi di prigionia politica, luoghi dove il dissenso sparisce e i prigionieri vengono logorati da torture, malnutrizione e fatiche estreme. “Il governo – scrive l’Onu – ha raggiunto un controllo quasi totale sulla vita delle persone, privandole di ogni possibilità di scelta”. “Nessun’altra popolazione è soggetta a tali restrizioni nel mondo odierno”, afferma il rapporto, citando le osservazioni di un fuggitivo che ha raccontato: “Per bloccare gli occhi e le orecchie della gente, hanno rafforzato le misure repressive. Si tratta di una forma di controllo volta a eliminare anche il più piccolo segno di insoddisfazione o di protesta”.
Oggi, il Paese si mostra più chiuso che in qualsiasi altro momento della sua storia, si legge nel rapporto che considera come “il panorama dei diritti umani non può essere disgiunto dal più ampio isolamento che lo Stato sta attualmente perseguendo”. Dalla chiusura delle frontiere con la Cina, scappare dalla Corea del Nord è diventato quasi impossibile. I soldati hanno perfino l’ordine di sparare a chiunque tenti di attraversare il confine. Il rapporto chiede che la situazione venga portata davanti alla Corte penale internazionale de L’Aia, accusando il regime di crimini contro l’umanità. Ma per arrivarci serve il via libera del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove Cina e Russia continuano a bloccare ogni sanzione contro Pyongyang. Non a caso, solo qualche giorno fa, Kim Jong Un è apparso sorridente accanto a Xi Jinping e Vladimir Putin in una parata militare a Pechino: un’immagine che vale più di mille parole sul sostegno, anche tacito, di questi due giganti al suo regime.
Volker Türk, Alto Commissario Onu per i diritti umani, ha concluso con un monito: “I nordcoreani sono intrappolati in un sistema di paura e repressione, ma la nostra indagine mostra un forte desiderio di cambiamento, soprattutto tra i giovani”. Un desiderio che, per ora, resta soffocato dal silenzio delle armi e dal controllo asfissiante di un regime che trasforma persino un film in una minaccia mortale.