IRAN - L’Iran risponde in maniera provocatoria alle critiche sui diritti umani.

14 Novembre 2019 :

L’Iran risponde in maniera provocatoria alle critiche sul tema dei diritti umani. Oggi, il governo iraniano è stato sottoposto a rinnovate pressioni da parte dei difensori dei diritti umani dopo che le autorità hanno annunciato di aver eseguito una condanna all'amputazione di un detenuto condannato più volte per furto. Il sistema teocratico di Teheran tende ad aderire a un'interpretazione molto rigorosa della sharia, e un principio guida per la punizione dei criminali è “Qisas”, che significa “restituzione dello stesso tipo”. Colloquialmente, questo viene definito in Occidente come "occhio per occhio” o “legge del taglione”, e in Iran, questa frase viene talvolta interpretata letteralmente. Fino ad oggi, i tribunali iraniani continuano a ordinare la rimozione di occhi, dita e altre parti del corpo. Sotto la pressione della comunità internazionale e degli attivisti nazionali per i diritti umani, l'applicazione effettiva di questo tipo di punizioni è apparentemente diminuita nel tempo. Ma come chiarisce l'annuncio del regime mercoledì, il fenomeno non si è mai fermato del tutto. Come ha riportato Nessuno tocchi Caino (vedi 23 ottobre) le autorità iraniane hanno fatto eseguire una condanna all’amputazione di 4 dita della mano destra nei confronti di un uomo accusato di furto. La notizia, questa volta, è stata riportata da fonti ufficiali, ma in realtà tutto ciò che riguarda la severa amministrazione della giustizia penale in Iran viene comunicata ai media in maniera molto selettiva. Per fare un esempio, in media ogni quattro esecuzioni rilevate dalle Ong, solo una viene “riconosciuta” dalle autorità. Il 10 ottobre, Giornata mondiale contro la pena di morte, alcune di queste Ong hanno pubblicato i loro dati sul numero delle impiccagioni nell’anno in corso. Tutte le stime (basate su almeno 2 segnalazioni per ogni caso) hanno superato i 200 casi, la più alta ne ha segnalati 273. Meno di 70 di queste uccisioni sono state annunciate ufficialmente dalle autorità iraniane. Si può prevedere che questa discrepanza alimenterà il sospetto che altri aspetti delle politiche di punizione corporale dell'Iran siano allo stesso modo peggiori di quanto riconosciuto. Ma indipendentemente dall'effettiva frequenza delle amputazioni ordinate dallo stato, le statistiche note sulla pena di morte sono sufficienti da sole per generare proteste internazionali praticamente costanti. Anche considerando solo le stime più basse per quest’anno, è chiaro che l'Iran sta ancora mantenendo il suo status di nazione con il più alto tasso di esecuzioni pro capite. Solo la Cina, con la sua popolazione di oltre un miliardo, supera l'Iran in termini di numeri grezzi. È interessante notare che l'uso eccessivo e spesso illegale della pena di morte da parte del governo iraniano è stato oggetto di rinnovata attenzione nello stesso giorno in cui è venuta alla luce l'ultima sentenza di amputazione. Infatti Javaid Rehman, il relatore speciale per la situazione dei diritti umani in Iran, aveva presentato il suo rapporto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite proprio il 23 ottobre. Questa tendenza negativa dei diritti umani coincide approssimativamente con la nomina, nel marzo 2019, di Ebrahim Raisi come nuovo capo della magistratura. Raisi era stato muno dei membri della ‘Commissione della morte’ di Teheran quando, nel 1988, a seguito di una fatwa di Khomeini, in tutto il Paese vennero istituite delle commissioni con l’incarico di individuare i dissidenti politici, e avviarli alla forca. Stime indipendenti hanno valutato che nel giro di pochi mesi circa 30.000 persone, prevalentemente affiliate al MEK (Mojahedin del Popolo), vennero messe a morte, e seppellite in fosse comuni. E prima di nominare Raisi la “Guida Suprema”, Ali Khamenei, la principale carica politica e religiosa dell’Iran, considerata anche la massima rappresentazione dell’ultraconservatorismo del regime iraniano, nel 2018 aveva nominato Alireza Avaei, un membro della ‘Commissione della morte’ di Dezful, ministro della Giustizia. L'indignazione pubblica per il massacro è gradualmente cresciuta man mano che ulteriori informazioni sono trapelate su un capitolo della storia iraniana che era stato in gran parte nascosto dal regime. L’indignazione si è gradualmente diffusa anche ai sostenitori occidentali del movimento di resistenza iraniano, molti dei quali hanno chiesto un'indagine internazionale sul massacro. Mercoledì scorso, il Parlamento europeo ha ospitato una conferenza sull'argomento cui ha partecipato Maryam Rajavi, il presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. La conferenza ha coinciso con la pubblicazione di un nuovo libro del NCRI, Crime Against Humanity (crimine contro l’umanità), che secondo quanto riferito include dettagli precedentemente non divulgati sulle vittime del massacro, le posizioni di alcune delle loro fosse comuni e altro ancora. Successivamente, un certo numero di eurodeputati ha espresso le proprie osservazioni denunciando la situazione dei diritti umani del regime iraniano e invitando i rispettivi governi a impegnarsi di più, e di sollevare la questione dei diritti umani ogni volta che c’è una trattativa economica con l’Iran. Il relatore speciale delle Nazioni Unite ha avanzato altre richieste specifiche lo stesso giorno, dinanzi al Comitato per i diritti umani. Amnesty International ha fatto lo stesso il giorno seguente, concentrandosi su un aspetto diverso della dipendenza "odiosa" dell'Iran dalla punizione corporale. Javaid Rehman ha focalizzato la propria attenzione sulla persistente questione delle condanne a morte per gli imputati che avevano meno di 18 anni al momento dei loro presunti crimini. Tali esecuzioni sono categoricamente vietate ai sensi del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e anche della Convenzione sui Diritti dell'Infanzia. L'Iran ha firmato entrambi i documenti ma non ne applica le disposizioni, e quando viene criticata reagisce sostenendo che si tratti di un'imposizione culturale indebita sull'Iran da parte di chi non rispetta la tradizione islamica della Sharia che prescriva la severità. Il rapporto di Rehman indica che almeno sette delle esecuzioni del 2018 hanno riguardato persone che erano ancora minorenni quando avevano commesso il presunto reato, e che tra le esecuzioni del 2019 questi “minorenni” sono stati almeno 5. Secondo Rehman nei bracci della morte iraniani ci sono almeno altri 90 giovani in attesa di esecuzione per reati commessi da minorenni, esecuzioni che potrebbero essere implementate arbitrariamente e senza preavviso, in qualsiasi giorno. L'Iran è uno degli ultimi paesi sulla Terra a consentire l'esecuzione di autori di reati minorenni. E i presunti criminali possono essere soggetti alla pena di morte non appena sono considerati maturi secondo la legge iraniana. Per i ragazzi, questo punto è definito come un'età di 13 anni lunari, e per le ragazze solo nove anni. L’anno lunare islamico dura 11 giorni meno dell’anno solare occidentale. Come raffronto, ad esempio, quando un adolescente iraniano compie 18 anni, un pari età nato che utilizzi il calendario solare avrà esattamente 6 mesi di più. Nella pratica corrente, i giovani in Iran vengono tenuti in detenzione fino al compimento della maggiore età, e poi impiccati, confidando che l’aver raggiunto i 18 anni possa tenere a bada alcune delle critiche internazionali. Come per le cifre complessive sulle esecuzioni e le cifre relative al sistema punitivo iraniano, vi è sempre una forte probabilità che i dati siano peggiori di quanto si riesce ad apprendere dalle fonti ufficiali o dalle Ong. E tutto questo potrebbe ulteriormente peggiorare sotto la leadership della magistratura iraniana di Ebrahim Raisi. Di fatto l’attuale leadership iraniana, alle prese con una grave crisi economica in parte strutturale ma in parte esacerbata dalle sanzioni internazionali, sembra meno preoccupata che in passato delle critiche internazionali, ritenendo invece più importante presentare un'immagine di forza al popolo iraniano.

 

altre news