13 Giugno 2025 :
Stefano Caliciuri
La Corea del Nord ha ulteriormente irrigidito la propria legislazione penale per contrastare l’ingresso di influenze culturali straniere, in particolare quelle provenienti dalla Corea del Sud. Secondo il ministero della giustizia sudcoreano, tra le modifiche al codice penale nordcoreano spicca l’ampliamento dell’applicazione della pena di morte, ora estesa anche ai reati legati alla diffusione della cosiddetta “cultura antisocialista”. Il ministero di Seul ci ha tenuto a dire che non ha solo studiato le fattispecie penali delineate in ciascun articolo del Codice nordcoreano, le ha anche comparate alle norme penali di Corea del Sud, Russia, Cina e Vietnam.
Il rapporto, frutto di un’analisi dettagliata delle revisioni legislative effettuate da Pyongyang nel dicembre 2023, sottolinea come le nuove disposizioni coinvolgano reati legati alla droga, all’ideologia reazionaria e alla cultura straniera, inclusa la cosiddetta Hallyu, l’onda culturale sudcoreana che comprende K-pop, drama e linguaggio popolare.
Un esempio emblematico è l’uso della parola “oppa”. In Corea del Nord mantiene un significato strettamente tradizionale e letterale: viene utilizzato esclusivamente dalle donne per riferirsi al fratello maggiore (biologico o adottivo). A differenza della Corea del Sud, dove “oppa” è diventato un termine affettuoso e colloquiale usato anche per rivolgersi a fidanzati, amici maschi più grandi o celebrità, in Corea del Nord l’uso del vocabolo deve essere limitato alla sola accezione fraterna. L’uso sudcoreano del termine è visto come un’influenza culturale pericolosa e potenzialmente antisocialista. Il regime nordcoreano considera infatti questi usi non ortodossi come parte della penetrazione ideologica straniera, in particolare legata alla Hallyu, che comprende non solo musica e serie Tv ma anche modi di parlare e di relazionarsi, ritenuti sovversivi e decadenti. Il trend è interpretato dal regime come un potenziale pericolo per la stabilità del sistema.
Con la nuova revisione del codice penale, il numero dei reati punibili con la pena capitale è salito da undici a sedici. Contestualmente, sono stati eliminati riferimenti alla “riunificazione nazionale” da diversi articoli, segno del peggioramento delle relazioni intercoreane, ora descritte come un conflitto tra “due stati ostili”. Tra le novità, è stato introdotto un nuovo reato per la profanazione dei simboli nazionali, come la bandiera o l’emblema statale, e sono stati incorporati articoli ispirati alle sanzioni imposte dalla comunità internazionale.
Le modifiche legislative si inseriscono in un contesto già gravemente compromesso sul piano dei diritti umani. Secondo le Nazioni Unite e numerose organizzazioni per i diritti umani, la Corea del Nord è uno dei paesi più repressivi al mondo. Il regime esercita un controllo totale sulla vita dei cittadini, limitando drasticamente libertà fondamentali come quella di espressione, informazione, religione e movimento. Testimonianze di disertori e rapporti internazionali parlano di campi di prigionia politica, dove detenuti – inclusi interi nuclei familiari – sono sottoposti a torture, lavori forzati, fame cronica e, in alcuni casi, esecuzioni sommarie. Anche il semplice possesso di media sudcoreani, come film o musica, può portare a pene durissime, fino alla condanna a morte.
Le nuove misure punitive sembrano dunque confermare la strategia del regime di Kim Jong-un di soffocare ogni forma di influenza esterna che possa minare l’ideologia ufficiale o incoraggiare il dissenso, soprattutto tra le nuove generazioni. “Ci auguriamo che l’analisi delle Nazioni unite possa costituire una base solida per sviluppi futuri, volti a promuovere l’integrazione dei sistemi legali delle due Coree – ha dichiarato il Ministero della Giustizia sudcoreano – ma intanto continueremo a lavorare per prepararci all’unificazione dei quadri giuridici e istituzionali della penisola coreana”.