PER IL MEDIO ORIENTE UN MANIFESTO COME QUELLO DI VENTOTENE

15 Novembre 2025 :

Sergio D’Elia
Roberto Rampi

L’Unità 15 novembre 2025

Di fronte all’orrore del 7 ottobre è come se in Israele l’idea tremenda della vendetta abbia preso il sopravvento sulle idee di giustizia e libertà, di vita del diritto per il diritto alla vita, che sono quelle che hanno fatto la differenza in un mondo dove dominano regimi ingiusti e illiberali, che profanano la vita e il diritto. Si affaccia ora anche lo spettro della pena di morte, l’idea del contrappasso e del castigo anche nella giustizia. In nome di Abele lo Stato diventa Caino. L’unico parlamento pluralista e democratico in una terra senza parlamenti degni di questo nome, vota la ripresa della pena capitale. Ma solo per i palestinesi che si sono macchiati le mani di sangue israeliano. Caino non è il fratello ebreo di Abele, è il fratello musulmano che ha ucciso l’ebreo. È la rivalsa dello Stato etnico, siamo a un passo vicino al basso più profondo che oltrepassa la dimensione già abissale dello Stato etico, padre padrone della vita dei suoi cittadini.
L’ultima e unica volta che Israele ha praticato la pena di morte è stata quando ha impiccato Adolf Eichmann. Hannah Arendt allora scrisse che il Male incarnato dal vecchio ufficiale della Gestapo le appariva “banale” e il castigo riparatore “anacronistico”, tanto era il tempo passato dal delitto. Come anacronistico ci appare oggi, dopo oltre sessant’anni di moratoria, il ritorno di Israele al suo passato errore capitale. Le vittime del 7 ottobre devono essere onorate della verità di ciò che è accaduto. Sull’altro piatto della bilancia va messa, non la vendetta, ma la fatica della riconciliazione. Se vogliamo assicurare salvezza e futuro a quella terra martoriata.
Uno Stato di diritto è tale se ha la forza di essere, di fronte al male assoluto e al peggiore degli assassini, uno Stato di vita non uno Stato di morte. Di fronte allo Stato di morte instaurato da Hamas, Israele si distingua come Stato di vita. Occorre rompere la catena perpetua di delitti e castighi, di violenze e sofferenze. Ma per farlo occorre lavare il peccato originale, la maledizione del fine che giustifica i mezzi: la sovranità assoluta e la sicurezza nazionale.
Ancor più radicalmente, occorre considerare lo Stato nazionale “in sé”, nella sua logica e nella sua natura, generatore di violenza. L’idea stessa che a uno Stato corrisponda un popolo con una lingua, una religione, una cultura, è la radice del male della violenza. É una idea “purista” che è potenzialmente e spesso concretamente propensa a “eliminare le impurità”. Chi non appartiene a quel territorio, alla lingua o alla religione, alla etnia dominante, va marginalizzato, espulso se non eliminato.
L’idea dell’Europa nasce invece come diversa. Un soggetto politico multietnico, multilinguistico e multireligioso in cui non solo convivere ma superare le ragioni dei conflitti identitari del passato. Perché nasce proprio sulle macerie materiali e spirituali dei nazionalismi delle due guerre. Un soggetto che non si è pienamente concretizzato, ma ha compiuto un po’ di strada. Pensiamo alla storia delle terre di confine tra Francia e Germania o tra Italia e Austria ieri e oggi. Alla fine, la contesa rispetto a quale Stato dovessero appartenere è stata superata più che risolta.
Ecco, la soluzione per le terre e i popoli martoriati del nostro medio oriente ci pare sia in questa direzione. Un soggetto federale multietnico che, magari, come l’Europa attuale conservi (purtroppo) nomi, sovranità (inutili e spesso dannose) e anche i confini. Transitoriamente si può accettare, si spera per un tempo non infinito. Una Unione Medio Orientale potremmo chiamarla. Sarebbe il nome “vista da qui”. E dovrebbe coinvolgere come minimo, oltre a chi vive oggi in Israele e Palestina, anche Giordania, Libano, Siria. Partendo da un Manifesto del Giordano sulla falsa riga di quello di Ventotene. Che individui e indichi un orizzonte. Ci pare una strada che andrebbe favorita e promossa
magari provando a invitare e ospitare con spirito di prossimità e vicinanza alcuni pensatori espressione di quelle terre per discuterne. Magari proprio a Ventotene.
È una visione europea. Ed è forse sbagliato provare a immaginare noi il loro futuro e riproporre le nostre formule. Ma come diceva Tucidide nella guerra del Peloponneso, forse, possiamo insegnare i nostri errori perché altri non li ripetano. L’unica soluzione possibile, contro il probabile del perpetuarsi della tragedia, è alzare la posta e immaginare un’area di diritti e libertà delle persone, magari, parte di una Unione Europea più grande che diventerebbe pienamente Mediterranea oppure una Unione Mediterranea a sé stante. Il destino di quei popoli è da sempre legato. Evitiamo che la forza letteralmente diabolica del “porre ostacoli in mezzo”, delle divisioni, delle barriere di confine, prenda il sopravvento, irreversibilmente, sulla forza gentile della parola, del dialogo, dell’amore, in una parola, della nonviolenza.

 

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