TANZANIA - Aggiornamento sulla questione di Tundu Lissu dopo le elezioni, e uno sguardo sull'Africa

Tanzania - Free Tundu Lissu

03 Novembre 2025 :

02/11/2025

Tanzania

Aggiornamento sulla questione di Tundu Lissu, leader politico nel braccio della morte in Tanzania

Scolaresca italiana bloccata in Tanzania dei disordini del post elezioni

Secondo i risultati “ufficiali”, la Presidente uscente Samia Suluhu Hassan, del partito Chama Cha Mapinduzi (CCM), è stata confermata con circa il 97,66% dei voti. L'affluenza alle urne riportata ufficialmente è stata di quasi l'87% degli oltre 37 milioni di elettori registrati.

I dati ufficiali non sono credibili. I pochi osservatori indipendenti che hanno seguito gli ultimi mesi della campagna elettorale hanno scritto di seggi elettorali quasi vuoti, e di una popolazione che ha disertato il voto come forma di protesta contro i metodi coercitivi che il governo sta usando contro chiunque manifesti forme di dissenso.

Come Nessuno tocchi Caino ha scritto più volte negli ultimi mesi, il principale candidato dell’opposizione, Tundu Lissu, leader del partito CHADEMA, è stato arrestato con l'accusa di tradimento e il suo partito è stato bandito dalle elezioni.

Un altro candidato di rilievo sarebbe stato Luhaga Mpina, del partito ACT-Wazalendo. È stato più fortunato di Lissu e non è stato arrestato, ma gli è stato comunque impedito di partecipare alle elezioni per presunte irregolarità “tecniche” nella presentazione delle liste.

Ad elezioni finite, per quanto si possa essere molto dubbiosi sulla veridicità dei risultati, e soprattutto sui dati dell’affluenza, rimane il fatto che Tundu Lissu rimane nel braccio della morte, con un’accusa tipica di tutti i regimi autoritari: chi critica il governo lo fa perché “al soldo” di qualche potenza nemica. Come abbiamo visto nei nostri primi articoli, nonostante la Tanzania sia stata inserita dall’Italia nel suo “Piano Mattei per l’Africa”, sono in realtà molto forti i legami che la nazione africana ha con la Cina per le questioni economiche, e con la Russia per le questioni militari e di security. E in effetti nei dati “strepitosi” di affluenza alle urne e gradimento del partito al potere non si può non notare una certa somiglianza con la propensione russa a falsificare totalmente la verità.

Comunque, nonostante il presunto plebiscito che avrebbe confermato al governo lo stesso partito che già governa la Tanzania da oltre mezzo secolo, subito dopo la chiusura dei seggi la Tanzania è sprofondata nel caos.

L'esclusione dei candidati e le accuse di frode hanno scatenato proteste violente a Dar es Salaam (che non è la capitale amministrativa, ma la principale e più popolosa città della Tanzania) e in altre città. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada per denunciare brogli elettorali e la crescente repressione del governo.

È difficile avere informazioni aggiornate, poiché il governo da diversi giorni ha disattivato internet in tutta la nazione, ha silenziato i media e chiuso le università. Le poche notizie filtrate delle Ong e da alcuni uffici dell’Onu presenti in zona parlano di una folla di manifestanti che ha fatto irruzione nell’aeroporto internazionale Julius Nyerere, di diversi edifici pubblici e governativi dati alle fiamme, stazioni di polizia assaltate, e proteste diffuse in diverse città, con scontri violenti tra manifestanti e forze di sicurezza.

L'opposizione ha parlato di centinaia di morti negli scontri post-elettorali, mentre fonti diplomatiche hanno confermato decine di vittime. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha deplorato la perdita di vite umane e ha chiesto un'indagine imparziale sull'uso eccessivo della forza.

La BBC ha ricevuto informazioni da un ospedale della capitale che sarebbe “sopraffatto dalle vittime”, e di aver saputo che lo stesso vale per altri ospedali “con gli obitori pieni”.

Una trentina di italiani, che erano in Tanzania per una gita scolastica, sono bloccati da diversi giorni in una zona periferica, e per prudenza evitano di rientrare a Dar es Salaam da dove sarebbero ripartire in aereo per l’Italia.

Si tratta di sedici studenti bresciani dell'istituto agrario Gigli di Rovato e 15 tra insegnanti e volontari, partiti a fine ottobre, destinazione Pomerini, nell’altopiano interno della Tanzania, a circa cinquecento chilometri da Dar Es Salaam, per restare due settimane nella scuola agraria di Dabaga: uno scambio culturale internazionale all'insegna della formazione e della solidarietà.

Poco dopo il loro arrivo la nazione è sprofondata nel caos, ma questi italiani si trovano in una regione rurale lontana dagli scontri dove non si stanno registrando problemi di sicurezza. La situazione è seguita in maniera ottimale dall’Unità di Crisi del nostro Ministero degli Affari Esteri, e pur mancando ancora la connessione internet, gli studenti e i loro accompagnatori riescono a tenersi in contatto con le loro famiglie attraverso gli SMS. Il loro rientro è previsto per l’11 novembre

La generosa scolaresca italiana rientrerà in patria, ma che ne sarà di Lissu? Il processo continuerà, lui confermerà di aver criticato il governo, e ovviamente sosterrà di averlo fatto in nome dei valori democratici, valori suoi, del suo partito, e del DUA (Democracy Union of Africa), l’organizzazione sovrannazionale che riunisce oltre 25 partiti che si riconoscono nei valori “occidentali” della democrazia liberale. La pubblica accusa continuerà a sostenere la versione ingenua secondo cui solo un agente straniero può criticare un governo onesto ed efficiente come quello tanzaniano.

Per quanto tempo ancora Lissu sarà tenuto in ostaggio? Il governo si accontenterà di una condanna simbolica che però lo costringa all’esilio, o seguirà vie più sbrigative?

Difficile fare una previsione attendibile. Non a caso l’Africa il questi mesi è al centro di forti tensioni: finalmente è uscita sui media qualche notizia sul Sudan, regione che già da molti anni è martoriata da massacri, ma che nelle ultime settimane ha visto un forte peggioramento delle già gravi condizioni in cui versava. Finalmente qualcuno scrive del Mali, dove una milizia armata di ispirazione jihadista ha preso il controllo della quasi interezza del paese, con le ambasciate occidentali che stanno invitando i propri cittadini a lasciare il paese. Qualche notizia, nell’Europa poco attenta, circola anche sull’Etiopia, e sul Congo, dove le crisi umanitarie sono particolarmente gravi, e solo leggermente meno gravi permangono le crisi umanitarie nel Burkina Faso, in Niger, in Somalia, in Burundi. La situazione tesa tra Rwanda e Uganda da alcuni mesi sperimenta una fragile stabilizzazione, aiutata anche dal fatto che per la prima volta nella storia del ciclismo, i campionati mondiali su strada si sono tenuti in Rwanda alcune settimane fa, attirando, finalmente, l’attenzione dei media internazionali, e più in generale l’ammirazione per la qualità dell’organizzazione.

L’Africa non ha mai goduto di pace e stabilità. Prima per le guerre coloniali, poi per le guerre di liberazione dal colonialismo, e nemmeno adesso che la fase post-coloniale è consolidata. Consolidata ma non “democratica”. Dopo il graduale disimpegno dell’Occidente, negli spazi vuoti si sono incuneate la Cina, la Russia (attraverso le decine di migliaia di mercenari di quella che prima si chiamava Wagner, ed ora Africa Corps) e l’Islam combattente.

I valori di democrazie a moderazione non sono più difesi dall’Occidente, che teme sempre di essere accusato di “spirito colonialista”. L’unico presidio “moderato” sono i partiti del DUA, ma se ne parla poco, e sono poco aiutati, forse perché nella semplificazione dei nostri media vengono considerati “partiti di centro destra”.

Di cosa pensi l’opinione pubblica invece non si preoccupano né i cinesi, né i russi, né i jihadisti. Il regime autoritario della Tanzania, pur non avulso dal ricorso alla violenza, sembra al momento meno drastico di altri governi del continente. Continueremo a seguire le vicende di Tundu Lissu e della sua detenzione immotivata nel braccio della morte. Attraverso le vicende di Lissu proveremo a tenere un occhio sull’intera Africa, continente davvero troppo trascurato. Recentemente Nessuno tocchi Caino ha commentato positivamente l’abrogazione della pena di morte in Zimbabwe, la commutazione di alcune condanne a morte in Congo e Gambia, la sentenza della Corte Africana dei diritti Umani che chiede alla Tanzania di eliminare alcuni automatismi dalla propria legge capitale, e le attività di una Ong nigeriana, Prawa, che opera contro la pena di morte in quel paese. Nessuna di queste notizie positive è però passata sui telegiornali italiani di prime time.

In memoriam di Marco Cochi, il nostro grande esperto d’Africa, che per conto di Nessuno tocchi Caino avrebbe scritto questo articolo molto meglio di me. Valerio Fioravanti

 

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