esecuzioni nel mondo:

Nel 2024

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Dal 2000 a oggi

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legenda:

  • Abolizionista
  • Mantenitore
  • Abolizionista di fatto
  • Moratoria delle esecuzioni
  • Abolizionista per crimini ordinari
  • Impegnato ad abolire la pena di morte

GIAPPONE

 
governo: monarchia costituzionale con un governo parlamentare
stato dei diritti civili e politici: Libero
costituzione: 3 maggio 1947
sistema giuridico: si basa sul modello tedesco con influenze Anglo-americane; revisione degli atti legislativi da parte della Corte Suprema
sistema legislativo: bicamerale, Camera dei Consiglieri (Sangi-in) e Camera dei Rappresentanti (Shugi-in)
sistema giudiziario: Corte Suprema (presidente nominato dal Re su indicazione del Governo, gli altri nominati dal Governo)
religione: maggioranza di buddisti e scintoisti; minoranze cattoliche, protestanti ed ortodosse
metodi di esecuzione: impiccagione
braccio della morte: 116 (Fonte: Ministero della Giustizia luglio 2018)
Data ultima esecuzioni: 0-0-0
condanne a morte: 4
Esecuzioni: 3
trattati internazionali sui diritti umani e la pena di morte:

Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Convenzione sui Diritti del Fanciullo

Convenzione contro la Tortura ed i Trattamenti e le Punizioni Crudeli, Inumane o Degradanti

Statuto della Corte Penale Internazionale (esclude il ricorso alla pena di morte)


situazione:

La pena di morte è prevista per 13 reati ma, in pratica, viene applicata solo per omicidio.
La morte avviene tramite impiccagione: i detenuti, incappucciati e bendati, sono messi sopra una botola che poi viene aperta all’improvviso. I detenuti di solito non sono informati sulla data fino al giorno dell’impiccagione. Dal novembre 1989 al marzo 1993 vi è stata una sospensione di fatto delle esecuzioni, in parte dovuta alla personale contrarietà alla pena di morte dell'allora Ministro della Giustizia. A partire dalla metà degli anni ‘90 si è assistito ad una ripresa della pena di morte con un’accelerazione negli anni 2000.

Nel 2018, il Giappone ha giustiziato 15 persone, il record dell'ultimo decennio, portando a 36 il numero totale delle condanne a morte eseguite da quando il Partito Liberal-Democratico del Primo Ministro Shinzo Abe ha preso il potere nel dicembre 2012. 
Al luglio 2018, il numero di detenuti nel braccio della morte era 116, sceso dai 123 del 2017, continuando a superare però la soglia dei 100 dal 2007 secondo quanto dichiarato dal Ministro della Giustizia. 

In Giappone c’è stata una moratoria di fatto delle esecuzioni durata dall’ottobre 2005 al settembre 2006, che ha coinciso con il mandato, nel Governo del conservatore Kuizumi, del Ministro della Giustizia Seiken Sugiura, contrario alla pena capitale per il suo credo buddista. Successivamente le esecuzioni sono state, 4 nel 2006, 9 nel 2007, 15 nel 2008, 7 nel 2009. Il Ministro Keiko Chiba ha autorizzato e personalmente assistito alle due impiccagioni del luglio 2010, nonostante la sua opposizione alla pena capitale. Nel 2011, per la prima volta in quasi 20 anni, nessun prigioniero era stato messo a morte in Giappone.
Il suo successore Toshio Ogawa, ha inviato tre detenuti al patibolo nel marzo 2012 e ha inoltre eliminato un gruppo di studio interno a marzo 2012, cancellando l’intenzione di istituire un panel di discussione più ampio sul tema, sostenendo che i pro e i contro sono stati discussi a sufficienza e che la decisione finale dovrebbe essere lasciata alla pubblica opinione, che nella stragrande maggioranza sostiene la pena di morte. Anche il terzo il Ministro della Giustizia del Partito democratico, Makoto Taki, ha inviato quattro detenuti al patibolo.
Il 26 dicembre 2012, dieci giorni dopo la schiacciante vittoria del Partito Liberal-Democratico alle elezioni anticipate, Shinzo Abe è stato eletto Primo Ministro del Giappone. Il nuovo Ministro della Giustizia Sadakazu Tanigaki ha espresso un atteggiamento positivo verso le esecuzioni. “Il sistema della pena di morte ha una sua ragione d’essere e farò il mio dovere secondo le leggi in materia”, ha detto in una conferenza stampa. Nel 2012 le esecuzioni sono state 7; nel 2013 sono state 8, nel 2014 sono state 3 come  nel 2015 e nel 2016.
Da quando il Partito Liberal Democratico ha riacquistato le redini del governo nel dicembre 2012, la durata media tra la finalizzazione della condanna a morte e l’esecuzione della pena si è ridotta della metà rispetto a quella degli ultimi 10 anni. Secondo il Ministero della Giustizia, il periodo medio tra condanna definitiva ed esecuzione della pena è pari a circa cinque anni e sette mesi per i condannati le cui pene capitali sono state eseguite tra il 2003 e il 2012.

Nel difendere la pena di morte, il Governo cita sempre lo schiacciante sostegno popolare alla sua pratica. Il Governo fa questa rilevazione sulla pena capitale ogni cinque anni e, nell'ultimo sondaggio, condotto in forma di intervista dal 13 al 23 novembre 2014 su 3.000 adulti, l’80,3% degli intervistati considera la pena di morte una sanzione "lecita", mentre solo il 9,7% ritiene che dovrebbe essere abolita. Coloro che hanno risposto "non so" o "non posso rispondere sì o no" sono stati il 9,9%. Quando viene chiesto di citare le loro ragioni – con risposte multiple consentite – il 53,4% di coloro che considerano la pena capitale ammissibile ha detto che la rabbia delle vittime non potrebbe mai quietarsi se il sistema venisse abolito e i colpevoli fossero tenuti in vita. Un altro 52,9% ha risposto che gli autori di crimini efferati devono pagare con la loro vita. Tra coloro che si oppongono alla pena di morte, il 46,6% ha citato potenziali errori giudiziari e il 41,6 ha detto che i colpevoli devono essere tenuti in vita per espiare i loro crimini. Agli intervistati nell'ultimo sondaggio è stato per la prima volta chiesto se avrebbero sostenuto l'abolizione della pena di morte nel caso in cui il Giappone introducesse l’ergastolo senza condizionale. I favorevoli sono saliti a 51,5%, contro il 37,7 che ancora voleva mantenere la pena di morte.
Nella rilevazione precedente del dicembre 2009, l’85,6% ha detto che “la pena di morte è inevitabile in determinate circostanze”, mentre il 5,7% ha detto che “la pena di morte dovrebbe essere abolita in ogni circostanza” e l’8,6% ha dichiarato “non so”. Coloro i quali la ritenevano ammissibile erano stati l’81,4% nel sondaggio del 2004.
Il 27 novembre 2012, un esperto di scienze dell’informazione ha contestato il modo di fare i sondaggi di opinione sulla pena di morte e la lettura dei dati da parte del governo giapponese. “E’ stato riportato che più dell’80% approva la pena di morte, ma vista dal punto di vista tecnico, non è ragionevole fare una tale generalizzazione”, ha detto Fumiyasu Yamada, professore di scienze dell’informazione alla Shizuoka University. Riguardo il sondaggio del dicembre 2009 commissionato dal Governo,Yamada ha osservato che il 34,2% di coloro che hanno definito la pena di morte “inevitabile”, ha anche detto nella stessa indagine che la pena di morte “potrebbe essere abolita in futuro se la situazione cambiasse”. Tenuto conto di questa cifra, è “naturale vedere che chi vuole conservare la pena di morte sono più del 50%, e quelli che vogliono la sua eliminazione o un passo verso l’eliminazione costituiscono poco più del 30%”, ha detto Yamada che ha anche criticato una delle opzioni nel sondaggio, quella secondo cui la pena di morte “dovrebbe essere abolita in ogni circostanza”, un’espressione “troppo forte” che “rende difficile per le persone la sua scelta”. Proporre una domanda del genere è “di parte”, ha aggiunto Yamada che ha anche detto che il sondaggio non riflette l’intero Paese, dal momento che i questionari sono stati raccolti solo da circa i due terzi del campione rappresentativo.
Anche uno studio del novembre 2013 evidenzia “gravi pecche” nella convinzione del Governo che la pena di morte sia generalmente popolare e dovrebbe pertanto essere mantenuta. Mai Sato, del Centre for Criminology presso la Oxford University, ha dimostrato che le opinioni sono molto meno radicate di quanto si pensi, soprattutto dopo che le persone sono state opportunamente informate sul tema. Secondo la ricercatrice, le domande utilizzate nei sondaggi d’opinione del Governo sono formulate in modo tale da tradursi in un livello esagerato di favore alla pena di morte. Sato ha deciso di condurre la sua indagine su circa 20.000 persone in Giappone e ha dato agli intervistati cinque opzioni per quanto riguarda la pena di morte: deve essere assolutamente mantenuta (44 per cento); dovrebbe essere probabilmente mantenuta (36); non si può dire (16), dovrebbe probabilmente essere abolita (3) e dovrebbe assolutamente essere abolita (1). I risultati mostrano che, piuttosto che essere a favore in maniera schiacciante, poco più della metà del pubblico giapponese è “indecisa” o “tiepida” verso la pena di morte. Sato ha poi preso 1.000 persone e le ha divise in due gruppi, ognuno dei quali aveva una quota uguale di favorevoli, contrari e indecisi. Il primo gruppo è stato informato di diversi fatti sulla pena di morte – come le procedure di esecuzione e la possibilità di errori giudiziari – mentre l’altro gruppo non ha ricevuto alcuna informazione aggiuntiva. I risultati hanno evidenziato nel primo gruppo un 36 per cento di favorevoli a mantenere la pena di morte contro il 46 per cento del secondo gruppo. Uno studio finale ha visto un gruppo di persone decidere sulla questione per un giorno. I risultati hanno mostrato opinioni spesso oscillanti, coi partecipanti sempre più tolleranti verso il punto di vista opposto. Invece di misurare il sostegno alla pena di morte, secondo Sato, il Governo dovrebbe misurare il livello di tolleranza verso la sua abolizione, perché la sua ricerca mostra una maggioranza dell’opinione pubblica giapponese disposta ad “accettare o tollerare” l’abolizione.

Nell’ottobre 2016, la Federal Bar Association giapponese ha adottato per la prima volta un documento pubblico con il quale prende posizione contro la pena di morte e ne chiede l’abolizione entro il 2020 in considerazione dei possibili errori giudiziari e del trend internazionale abolizionista.
Yoko Kamikawa, appena nominata Ministro della giustizia il 3 agosto 2017, ha dichiarato che avrebbe "agito con cura e severamente secondo quanto richiesto dalla legge" in materia di pena capitale, rispettando le sentenze emesse dai tribunali. "La pena di morte è una punizione estremamente grave che pone fine alla vita di una persona, e sento che dobbiamo approcciarci al suo uso con il più cauto atteggiamento", ha detto Kamikawa alla sua prima conferenza stampa dopo la nomina. "Allo stesso tempo, questo è un paese governato da leggi e dobbiamo rigorosamente portare a termine le sentenze giudiziarie. Le sentenze di pena di morte in particolare sono emesse dai tribunali dopo un'attenta decisione a persone che hanno commesso crimini atroci e gravi", ha detto la Kamikawa che in precedenza era stato ministro della giustizia nell'amministrazione Abe tra il 2014 e il 2015, periodo durante il quale ha ordinato l'esecuzione di un altro detenuto nel braccio della morte.
Nel maggio del 2017, il Giappone è stato rivisto dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, che ha chiesto al Giappone di fornire informazioni sulle misure adottate per garantire che il regime che disciplina la detenzione dei prigionieri nel braccio della morte non costituisca un trattamento crudele, inumano o degradante e che, tra l'altro, sia dato ai detenuti del braccio della morte e alle loro famiglie un preavviso ragionevole della data prevista e dell'ora di un'esecuzione e sia introdotto un sistema obbligatorio di revisione dei casi capitali, con effetto sospensivo, dopo la condanna di  primo grado. Il Giappone è stato invitato a fornire dati sui detenuti del braccio della morte, disaggregati per sesso, età, etnia e reato e informazioni su qualsiasi sforzo intrapreso per considerare, tra gli altri, la ratifica del Secondo Protocollo Facoltativo al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, che mira all'abolizione della pena di morte.

La pena di morte top secret
Il Giappone ha mantenuto il massimo riserbo sulle esecuzioni fino al dicembre 2007. Prima, il Governo si limitava a dichiarare il numero di detenuti giustiziati, rifiutando perfino di rivelarne i nomi. Le esecuzioni, che il più delle volte erano effettuate d’estate e alla fine dell’anno, avvenivano quando la Dieta, il Parlamento giapponese, era in vacanza per evitare la discussione parlamentare. Con l’entrata in carica nell’agosto 2007 dell’allora Ministro della Giustizia Kunio Hatoyama, esplicito sostenitore della pena capitale, i principi e i tabù che il Giappone aveva mantenuto nei riguardi della pena di morte si sono andati sempre più rompendo.
Nel dicembre 2007, con le prime esecuzioni del governo di Fukuda, il Ministro della Giustizia ha rotto con la tradizione, che voleva il segreto sulle esecuzioni, pubblicando i nomi e i crimini di tre prigionieri giustiziati. Anche la tradizione di non eseguire sentenze capitali mentre il Parlamento è in sessione, nel tentativo di evitare inutili controversie, è stata interrotta.
I detenuti del braccio della morte devono rimanere seduti in una cella angusta dalle sette di mattino alle sette di sera. Se si muovono, cadono o si sdraiano, immediatamente le guardie li costringono a rimettersi seduti. Fanno esercizio solo due volte a settimana per 30 minuti. Le telecamere li sorvegliano 24 ore su 24, mentre mangiano, usano il bagno o fanno qualsiasi altra cosa. Nel dicembre 2011, il Ministero della Giustizia ha reso noto che circa la metà dei prigionieri nel braccio della morte in Giappone viene trattata con psicofarmaci a causa dello stress mentale che si manifesta con insonnia e allucinazioni, sintomi che possono essere causati dal confinamento in spazi chiusi per lunghi periodi di tempo.
I detenuti di solito non sono informati sulla data della loro esecuzione fino al giorno dell’impiccagione. Poiché sono avvertiti solo un’ora prima dell’esecuzione, non possono incontrare i parenti o presentare un appello finale. Familiari e avvocati sono generalmente informati dopo l’esecuzione, alla quale non possono assistere nemmeno gli avvocati.
Il direttore del carcere annuncia formalmente le esecuzioni nella stanza che precede quella delle impiccagioni, dove ai detenuti è concessa l’ultima possibilità di parlare con il cappellano. I prigionieri sono poi bendati, ammanettati e scortati nella stanza delle impiccagioni. Una tenda separa la stanza delle esecuzioni da quella precedente, impedendo così ai detenuti di vedere la corda che, fissata al pavimento, pende da una carrucola posta sul soffitto. Nella camera delle esecuzioni, le gambe del prigioniero vengono legate, il cappio viene stretto intorno al collo e il prigioniero sta in piedi al centro di un quadrato rosso, posto in corrispondenza della botola. Poi tre addetti entrano in una stanza laterale in cui ci sono tre bottoni, che sono premuti nello stesso momento in modo da non sapere chi effettivamente apra la botola. Dalla stanza a loro riservata, i funzionari assistono all’impiccagione. Dopo che un medico ha confermato il decesso, entro cinque minuti il corpo viene sistemato nella bara.
Nel maggio 2013, quando il Giappone è stato esaminato dal Comitato Contro la Tortura delle Nazioni Unite, il Comitato ha espresso profonda preoccupazione su molte questioni: le condizioni di detenzione dei detenuti nel braccio della morte, in particolare per quanto riguarda la segretezza e l’incertezza ingiustificate che circondano l’esecuzione dei condannati; l’isolamento dei condannati a morte, in alcuni casi superiore a 30 anni; la mancanza di un sistema di ricorso automatico nei casi capitali, considerato che un numero crescente di imputati sono stati condannati a morte, senza poter esercitare il loro diritto di ricorso. Il Comitato ha inoltre esortato il Governo a informare i condannati a morte e le loro famiglie con un ragionevole anticipo della data prevista e dell’ora dell’esecuzione e a rivedere il sistema di isolamento dei condannati a morte. Il Comitato ha esortato le autorità a fornire i dati sui condannati a morte, disaggregati per sesso, età, razza e reato e a prendere in considerazione la possibilità di abolire la pena di morte.
Nel 2009, nel quadro di un progetto di riforma della giustizia più ampio, sono entrate in vigore norme per introdurre la partecipazione dei cittadini in alcuni processi penali come giudici onorari, i quali costituiscono la maggior parte dei collegi giudicanti, composti da tre giudici togati e sei comuni cittadini. I giudici non togati non formano una giuria separata dai giudici togati, come in un sistema di common law, ma partecipano al processo come giudici inquirenti che attivamente analizzano ed esaminano le prove presentate dalla difesa e dall’accusa, secondo la tradizione del diritto civile. In Giappone, non v’è alcuna procedura speciale per la selezione dei giudici non togati da utilizzare in processi potenzialmente capitali. Il sistema misto di giudici onorari e togati è stato introdotto per riflettere il "senso comune" nei processi penali, che sono stati spesso criticati in quanto poco comprensibili e lontani dal sentimento popolare.
Ottenere una revisione del processo o una commutazione della pena in appello è un evento abbastanza raro in Giappone. Ma dopo il 2009, con l’introduzione delle corti composte anche da giudici non togati, alcuni casi di commutazione in appello si sono registrati.
Al 18 dicembre 2015, un totale di 26 condanne a morte sono state emesse da collegi composti da giudici togati e sei comuni cittadini.
Il sistema giudiziario giapponese continua a basarsi sensibilmente su “confessioni” ottenute con la tortura o altri maltrattamenti. Non ci sono chiari limiti sulla durata degli interrogatori, che non sono integralmente registrati e che si svolgono senza la presenza di avvocati.
Il 27 agosto 2010, le autorità giapponesi hanno mostrato alla stampa una stanza per le esecuzioni, consentendo così per la prima volta all’opinione pubblica nipponica di vedere il luogo dove i condannati a morte vengono impiccati. Il tour per i giornalisti, durato circa 30 minuti, è stato organizzato dal Ministero della Giustizia nella “Detention House” di Tokyo, sulla base delle istruzioni fornite dal Ministro della Giustizia Keiko Chiba. Funzionari della struttura carceraria e del Ministero hanno accompagnato fino alla stanza delle esecuzioni una ventina di giornalisti, con il divieto assoluto di parlare e di portare altro che penna e blocco per appunti. La prima tappa è stata la stanza del cappellano, nominato dalle autorità della prigione, a cui i prigionieri possono rivolgersi. La stanza ospita una statuetta di Buddha, tuttavia su richiesta è possibile avere ornamenti cristiani o scintoisti. Nella stanza sono offerti ai prigionieri tè, frutta o dolci. Poi i reporter sono stati accompagnati nella stanza che precede quella delle impiccagioni, dove ai detenuti è concessa l’ultima possibilità di parlare con il cappellano. E’ qui che il capo del carcere annuncia formalmente le esecuzioni.

La pena di morte nei confronti delle donne
L'esecuzione di una donna incinta è sospesa fin dopo il parto secondo l'articolo 479(2)-(3) del codice di procedura penale. Una donna è stata condannata a morte nel 2017.

Le Nazioni Unite
Il 31 ottobre 2012, il Giappone è stato sottoposto alla Revisione Periodica Universale del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU. Il 14 marzo 2013, il Giappone ha respinto la raccomandazione fatta da più di 20 Stati membri di introdurre una moratoria sulle esecuzioni in vista della completa abolizione. Takashi Okada, rappresentante permanente del Giappone a Ginevra, ha detto che il Giappone non ritiene che sia opportuno abolire la pena di morte.
Nel novembre 2017, il Giappone è stato oggetto della Revisione Periodica Universale del Consiglio diritti umani dell’ONU. Il Giappone ha affermato  "che ogni Paese dovrebbe avere il diritto sovrano a decidere sulla pena di morte. L'opinione pubblica nazionale, per crimini particolarmente odiosi ritiene inopportuno abolire la pena di morte. Anche una moratoria è inappropriata, poiché il giudizio finale deve essere eseguito in modo imparziale ed esauriente secondo lo stato di diritto.”  Il Giappone detto di aver migliorato le condizioni carcerarie, comprese le cure mediche e di riscaldamento e raffreddamento, e che i condannati a morte sono trattati adeguatamente. Ha respinto tutte le raccomandazioni sulla pena di morte, compresa l'introduzione di una moratoria sulle esecuzioni in vista di una piena abolizione.

Il 29 settembre 2017, il Giappone ha votato contro la risoluzione sulla pena di morte (L6/17) alla 36° sessione del Consiglio diritti umani.
Il 19 dicembre 2018, il Giappone ha nuovamente votato contro la Risoluzione per una Moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.


 

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