esecuzioni nel mondo:

Nel 2024

0

Dal 2000 a oggi

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legenda:

  • Abolizionista
  • Mantenitore
  • Abolizionista di fatto
  • Moratoria delle esecuzioni
  • Abolizionista per crimini ordinari
  • Impegnato ad abolire la pena di morte

IRAN

 
governo: repubblica teocratica
stato dei diritti civili e politici: Non libero
costituzione: dicembre 1979, rivista nel 1989 per estendere il potere presidenziale
sistema giuridico: basato sulla legge della Sharia
sistema legislativo: monocamerale, Assemblea Consultiva Islamica (Majles-e-Shura-ye-Eslami)
sistema giudiziario: Corte Suprema
religione: maggioranza sciita; 10% sunniti; minoranze cristiane, ebree, bahai e zorastriane
braccio della morte:
Data ultima esecuzioni: 0-0-0
condanne a morte: 21
Esecuzioni: 233
trattati internazionali sui diritti umani e la pena di morte:

Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici

Convenzione sui Diritti del Fanciullo

Statuto della Corte Penale Internazionale (esclude il ricorso alla pena di morte) (solo firmato)


situazione:

Ai sensi dell’articolo 4 della Costituzione iraniana, la legge islamica è “la fonte essenziale per tutti i rami della legislazione”, tra cui la legislazione civile e penale. 
La pena di morte è prevista per omicidio, rapina a mano armata, stupro, blasfemia, apostasia, rapimento, tradimento, spionaggio, terrorismo, reati economici, reati militari, cospirazione contro il Governo, adulterio, prostituzione, omosessualità, reati legati alla droga.
L’elezione di Hassan Rouhani come Presidente della Repubblica Islamica il 14 giugno 2013 e la sua riconferma alle elezioni del 19 maggio 2017, hanno portato molti osservatori, alcuni difensori dei diritti umani e la comunità internazionale a essere ottimisti. Tuttavia, il suo Governo non ha cambiato approccio per quanto riguarda l’applicazione della pena di morte; anzi, il tasso di esecuzioni è nettamente aumentato a partire dall’estate del 2013.
Almeno 3.288 prigionieri sono stati giustiziati in Iran dall’inizio della presidenza di Rouhani (tra il 1° luglio 2013 e il 31 dicembre 2017). Dal 1° luglio 2013 al 31 dicembre 2013 le esecuzioni sono state almeno 444, sono state almeno 800 nel 2014, almeno 970 nel 2015, almeno 530 nel 2016 e almeno 544 nel 2017.
Anche se il numero di esecuzioni negli ultimi due anni è significativamente inferiore rispetto a quello degli anni precedenti, l’Iran rimane nel 2017 il paese con il più alto numero di esecuzioni pro capite.
Delle 544 esecuzioni del 2017, solo 112 esecuzioni (circa il 20%) sono state riportate da fonti ufficiali iraniane (siti web della magistratura, televisione nazionale, agenzie di stampa e giornali statali); 432 casi (circa l’80%) inclusi nei dati del 2017 sono stati segnalati da fonti non ufficiali (organizzazioni non governative per i diritti umani o altre fonti interne iraniane). Il numero effettivo delle esecuzioni è probabilmente molto superiore ai dati forniti nel Rapporto di Nessuno tocchi Caino.
I reati che hanno motivato le condanne a morte sono suddivisi come segue in termini di frequenza. Traffico di droga: 257 esecuzioni (circa 47%), di cui 20 ufficiali; omicidio: 233 (circa 43%), di cui 59 ufficiali; moharebeh (fare guerra a Dio), “corruzione in terra”, rapina ed estorsione: 27 (circa 5%), di cui 15 ufficiali; stupro: 16 (circa 3%), di cui 14 ufficiali; reati di natura sessuale (adulterio, relazioni immorali e sodomia): 5 (1%), di cui 3 ufficiali; reati di natura politica e “terrorismo”: 2 (0,3%), di cui 1 ufficiale. In almeno 4 altri casi (0,7%), non sono stati specificati i reati per i quali i detenuti sono stati trovati colpevoli.
L’impiccagione è il metodo preferito con cui è applicata la Sharia in Iran.
Le esecuzioni pubbliche sono continuate nel 2017. Almeno 36 persone sono state impiccate sulla pubblica piazza nel 2017.
Le esecuzioni di donne sono state nel 2017 almeno 12 (rispetto alle 10 del 2016) secondo le notizie raccolte, di cui 3 attraverso fonti ufficiali (2 per reati di natura sessuale e 1 per omicidio) e 9 non-ufficiali (5 per omicidio e 4 per droga).
Le esecuzioni di minorenni sono continuate nel 2017, fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Sono stati giustiziati almeno 6 presunti minorenni al momento del fatto, di cui 2 casi riportati da fonti ufficiali (per omicidio) e 4 da fonti non-ufficiali (2 per omicidio, 2 per droga).
Nel 2017, almeno 2 persone sono state impiccate per fatti di natura essenzialmente politica. Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni fossero in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte. Oltre alla morte, la punizione per Moharebeh è l’amputazione della mano destra e del piede sinistro, secondo il codice penale iraniano.
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta. Migliaia di ragazzi subiscono ogni anno frustate per aver bevuto alcolici o aver partecipato a feste con maschi e femmine insieme o per oltraggio al pubblico pudore. Le autorità iraniane considerano le frustate una punizione adeguata per combattere comportamenti ritenuti immorali e insistono perché siano eseguite sulla pubblica piazza come “lezione per chi guarda”.

L’impiccagione
Ai sensi dell’articolo 4 della Costituzione iraniana, la legge islamica è “la fonte essenziale per tutti i rami della legislazione”, tra cui la legislazione civile e penale.
L’impiccagione è il metodo preferito con cui è applicata la Sharia in Iran. L’impiccagione in versione iraniana avviene di solito tramite delle gru o piattaforme più basse per assicurare una morte più lenta e dolorosa. Come cappio è usata una robusta corda oppure un filo d’acciaio che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte. L’impiccagione è spesso combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione.
Nel 2017 sono state effettuate almeno 544 impiccagioni: 112 sono state riportate da fonti ufficiali iraniane e 432 sono state segnalate da fonti non ufficiali.

La lapidazione
Nell’aprile 2013, il Consiglio dei Guardiani, il potente corpo di religiosi e giuristi islamici che controlla l’attività parlamentare e certifica che corrisponda alla legge della Sharia, ha reinserito la lapidazione in una precedente versione del nuovo codice penale nella quale era stata omessa come pena esplicita per l’adulterio. Il progetto di codice penale come modificato dai Guardiani identifica esplicitamente la lapidazione come una forma di punizione per le persone condannate per adulterio, la relazione sessuale di una persona sposata consumata fuori dal matrimonio. Ai sensi dell’articolo 132, comma 3, un uomo o una donna possono essere lapidati a morte per relazioni extraconiugali reiterate. Inoltre, in base all’articolo 225, se un tribunale e il capo della magistratura stabiliscono che in un caso particolare “non è possibile” effettuare la lapidazione, la persona può essere giustiziata con un altro metodo, sempre che le autorità abbiano dimostrato il reato in base a testimonianze oculari o alla confessione dell’imputato. L’articolo non spiega cosa si intenda per “casi in cui la lapidazione non è possibile”. Il nuovo codice prevede inoltre che i tribunali che condannino gli imputati di adulterio in base al libero “convincimento del giudice”, una formula notoriamente vaga e soggettiva che permette la condanna in assenza di prove concrete, possono imporre la punizione corporale di 100 frustate invece della lapidazione. La pena per le persone condannate per fornicazione, il sesso al di fuori del matrimonio di una persona non sposata, è di 100 frustate.
L’Iran ha avuto il tasso di lapidazioni più alto al mondo, ma nessuno sa con certezza quante persone siano state lapidate. In base a una lista compilata dalla Commissione Diritti Umani del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, almeno 150 persone sono state lapidate dal 1980 a oggi. I numeri su riportati sono molto probabilmente inferiori ai dati reali, sia perché la maggior parte delle condanne alla lapidazione è stabilita segretamente sia perché è precluso l’accesso alle informazioni in molte prigioni dell’Iran. Shadi Sadr, un avvocato iraniano difensore dei diritti umani che ha rappresentato cinque persone condannate alla lapidazione, ha detto che l’Iran ha effettuato lapidazioni segrete nelle carceri, nel deserto o la mattina molto presto nei cimiteri.
Dal 2006 al 2009 la lapidazione è stata praticata almeno una volta all’anno per un totale di almeno sette esecuzioni, l’ultima delle quali effettuata il 5 marzo del 2009 nei confronti di un uomo condannato per adulterio.
Nel luglio 2016, il Governo iraniano ha affermato che nessuna condanna alla lapidazione era stata eseguita nel Paese negli ultimi anni. Tuttavia, il Governo ha osservato che la criminalizzazione dell’adulterio è coerente con la sua interpretazione della legge islamica e che la lapidazione è un deterrente efficace.


Esecuzioni in pubblico
Nel gennaio 2008, l’allora capo dell’apparato giudiziario, Ayatollah Mahmud Hashemi Shahroudi, aveva deciso di autorizzare esecuzioni pubbliche solo “in base a esigenze di carattere sociale”. In effetti, dopo il decreto di Shahroudi, le esecuzioni effettuate sulla pubblica piazza sono diminuite. Nel 2008 sono state almeno 30, di cui 16 avvenute dopo l’annuncio del decreto, e nel 2009 sono state ufficialmente impiccate in luoghi pubblici solo 12 persone. Nel 2007 erano state almeno 110.
Ma dopo le proteste di piazza contro le elezioni truffa del 2009, il numero di esecuzioni pubbliche è aumentato drammaticamente. Nel 2010, sono state impiccate pubblicamente almeno 19 persone e nel 2011 le esecuzioni pubbliche sono più che triplicate, con almeno 65 persone impiccate sulla pubblica piazza. Nel 2012 sono state impiccate in luoghi pubblici almeno 60 persone. Nel 2013, sono state impiccate sulla pubblica piazza almeno 59 persone, nel 2014 sono state almeno 64, nel 2015 almeno 57 e nel 2016 almeno 31.
Nel 2017, sono state impiccate in pubblico almeno 36 persone, 31 delle quali risultano da fonti ufficiali.

La pena di morte nei confronti di minorenni
Le esecuzioni di minorenni sono continuate nel 2017 fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato.
Nel 2017, sono stati giustiziati almeno 6 presunti minorenni al momento del fatto, di cui 2 casi riportati da fonti ufficiali (per omicidio) e 4 da fonti non-ufficiali (2 per omicidio, 2 per droga).
La Fondazione Abdorrahman Boroumand ha documentato almeno 126 esecuzioni di delinquenti minorenni in Iran dall’inizio del 2000 e fino al 31 dicembre 2017, mentre sarebbero inoltre almeno 80 i prigionieri del braccio della morte in Iran che avevano meno di 18 anni al momento del reato.
In base alla legge iraniana, le femmine di età superiore a nove anni e i maschi con più di quindici anni sono considerati adulti e, quindi, possono essere condannati a morte, anche se le esecuzioni sono normalmente effettuate al compimento del diciottesimo anno d’età.
A seguito delle richieste della comunità internazionale, rimaste inascoltate per anni, di sospendere tutte le esecuzioni di persone condannate per crimini commessi da minorenni, il regime dei Mullah ha annunciato una parziale e, di fatto, ininfluente revisione di una pratica che, anche su questo, pone l’Iran fuori dalla comunità internazionale.
Il regime iraniano ha dato ad intendere che il nuovo codice penale – approvato nella sua ultima versione dal Consiglio dei Guardiani nell’aprile 2013 – abolisce la pena di morte per gli adolescenti di età inferiore a 18 anni. Tuttavia, ai sensi degli articoli 145 e 146 del nuovo codice penale, l’età della responsabilità penale è ancora quella della “pubertà”, cioè nove anni lunari per le ragazze e quindici anni lunari per i ragazzi. Quindi, l’età della responsabilità penale non è cambiata affatto nel nuovo codice penale.
In base all’articolo 87 del nuovo codice, la sentenza di morte è stata rimossa per i minori solo nel caso di reati Ta’zir, la cui pena non è specificata nella Sharia e può essere inflitta a discrezione del giudice come, ad esempio, per reati di droga. Secondo la stessa legge, però, una condanna a morte può ancora essere applicata per un minore di 18 anni se ha commesso altri due tipi di reati, la cui pena è esplicitamente prevista dalla Sharia: i reati Hudud, come sodomia, stupro, fornicazione, apostasia, consumo di alcool per la quarta volta, moharebeh (fare guerra a Dio) e “diffondere la corruzione sulla terra”, reati che l’autorità pubblica ha l’obbligo di punire; i reati Qisas, che attengono invece ai “diritti privati” come l’omicidio, da trattare come una controversia tra l’assassino e gli eredi della vittima, i quali hanno il diritto di esigere l’esecuzione dell’omicida (Qisas), concedergli il perdono o chiedere un risarcimento in denaro (Diya).
Infatti, l’Articolo 90 del nuovo codice penale stabilisce che individui legalmente “maturi” minori di diciotto anni (ad esempio, i ragazzi tra i quindici e i diciotto anni e le ragazze di età compresa tra nove e diciotto) che sono condannati per crimini Hudud e Qisas possono essere esenti da condanne per adulti, tra cui la pena di morte, solo se è accertato che non erano mentalmente maturi e sviluppati al momento del reato e non potevano riconoscere e apprezzare la natura e le conseguenze delle loro azioni. Quindi, questo articolo conferisce ai giudici il potere discrezionale di decidere se un bambino ha capito la natura del reato e, pertanto, se può essere condannato a morte.

La guerra alla droga
Il 18 ottobre 2017, il Consiglio dei Guardiani ha dato il via libera al disegno di legge approvato dal Parlamento iraniano il 13 agosto che emenda la legge sulla droga.
In base alla riforma, coloro che sono imputati del traffico di meno di 50 chili di oppio, meno di 3 chili di metamfetamina e meno di 2 chili di eroina non saranno giustiziati. Secondo la legge precedente, il possesso di 5 chili di oppio o 30 grammi di eroina era un reato capitale.
La nuova legge è potenzialmente significativa nel diminuire il numero di esecuzioni in Iran, perché dovrebbe applicarsi retroattivamente a quei prigionieri del braccio della morte che sono stati imputati prima della sua approvazione. Secondo la commissione giustizia del parlamento iraniano, oltre 5.000 condannati nel braccio della morte potrebbero beneficiare dell’emendamento, la maggior parte dei quali di età compresa tra i 20 ei 30 anni.
Il 9 gennaio 2018, Mizanonline, l’agenzia di stampa affiliata al sistema giudiziario iraniano, ha riferito che il suo capo, l’ayatollah Sadeq Larijani, aveva chiesto ai funzionari di fermare le esecuzioni di coloro che potevano beneficiare della riforma, riconsiderare i loro casi e commutare le loro sentenze se possibile.
Tuttavia, la commutazione della pena non è automatica, perché i condannati devono fare istanza per assicurarsi che il loro caso sia rivisto. “La maggior parte di quelli nel braccio della morte appartengano alla parte emarginata della società iraniana e potrebbero non essere consapevoli dei cambiamenti e non avere la possibilità di fare ricorso”, ha fatto notare Mahmood Amiry-Moghaddam, di Iran Human Rights (IHR), un’organizzazione non governativa indipendente con sede in Norvegia, anche perché “coloro che si trovano nel braccio della morte per reati di droga devono ricevere assistenza legale”.
Nel 2016, a causa del suo uso massiccio della pena di morte nei confronti dei narcotrafficanti, l’Iran ha dovuto fare i conti con una significativa riduzione del finanziamento internazionale della campagna antidroga del paese. Un numero crescente di paesi europei – come Regno Unito, Italia, Germania, Austria, Danimarca, Irlanda e Norvegia – ha deciso di tagliare i contributi, nonostante l’Ufficio delle Nazioni Unite Contro la Droga e il Crimine (UNODC) avesse approvato all’inizio del 2016 un programma quinquennale di partnership con l’Iran volto a fornire circa 20 milioni di dollari, destinati a sostenere una serie di operazioni di contrasto, compresa la creazione di posti di frontiera finalizzati alla cattura dei corrieri della droga che attraversano i confini del Paese con l’Afghanistan.
Nell’ottobre 2015, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sull’Iran Ahmed Shaheed aveva avvertito che il regime iraniano stava usando il supporto delle Nazioni Unite per giustificare la pratica aggressiva della pena capitale.
Come negli anni precedenti, il traffico di droga è stato l’accusa più frequente contro coloro che sono stati giustiziati nel 2017.
Poiché la stragrande maggioranza delle persone giustiziate per droga non sono identificate con nome e cognome, non è possibile confermare le accuse. Osservatori sui diritti umani ritengono che molti di quelli giustiziati per questo tipo di reato possano essere in realtà oppositori politici.
Delle almeno 544 persone giustiziate nel 2016, almeno 257 sono state impiccate per casi relativi alla droga, di cui 4 donne e 1 minore secondo fonti non ufficiali; solo in 20 dei casi vi è stato l’annuncio da parte di fonti governative.

La guerra al terrorismo
Nel 2017, l’Iran ha giustiziato almeno 25 persone accusate di Moharebeh (guerra contro Dio), “corruzione sulla terra” o terrorismo. Accusati di essere mohareb – nemici di Allah –, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo a porte chiuse davanti ai Tribunali Rivoluzionari, che spesso finiscono in una sentenza di morte.
In questi casi, le esecuzioni sono spesso effettuate in segreto, senza che siano informati gli avvocati o i familiari.
Tuttavia, tra i condannati a morte o giustiziati per Moharebeh e/o “corruzione sulla terra”, molti non erano direttamente coinvolti in atti di violenza. Alcuni di loro erano dissidenti politici, membri di gruppi fuorilegge o appartenenti alle minoranze etniche e religiose iraniane, in particolare, azeri, kurdi, baluci e ahwazi. [Vedi anche il capitolo “Pena di morte per reati non violenti, politici e di opinione”]

La pena di morte per reati non violenti, politici e d’opinione
Ci sono state alcune modifiche apportate nel nuovo Codice Penale Islamico approvato nella sua ultima versione dal Consiglio dei Guardiani nell’aprile 2013. Il termine “omosessuale” è presentato nella nuova legge come un dato di rilevanza penale anche per le relazioni tra uomini, mentre prima era riferito solo a quelle tra donne. In ogni caso, i rapporti sessuali tra due individui dello stesso sesso continuano a essere considerati crimini Hudud e soggetti a punizioni da cento frustate fino all’esecuzione. Secondo l’articolo 233 del nuovo codice, la persona che ha svolto un ruolo attivo (nella sodomia) sarà frustata 100 volte se il rapporto sessuale era consensuale e non era sposata, ma quella che ha giocato un ruolo passivo sarà condannata a morte a prescindere dal suo status matrimoniale. Se la parte attiva è un non-musulmano e la parte passiva un musulmano, entrambi saranno condannati a morte. In base agli articoli 236-237, gli atti omosessuali (tranne che per sodomia) saranno puniti con 31-99 frustate (sia per gli uomini che per le donne). Secondo l’articolo 238, la relazione omosessuale tra donne in cui vi è contatto tra i loro organi sessuali sarà punita con 100 frustate.
Il 19 dicembre 2017, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una nuova risoluzione che esprime seria preoccupazione per numerose violazioni dei diritti umani in Iran. La risoluzione delle Nazioni Unite ha esortato la Repubblica islamica a porre fine alle “diffuse e gravi restrizioni, nella legge e nella pratica, sul diritto alla libertà di espressione, opinione, associazione e assemblea pacifica, sia online che offline, anche ponendo fine alle molestie, alle intimidazioni e persecuzione di oppositori politici, difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle donne e delle minoranze, leader sindacali, attivisti per i diritti degli studenti, accademici, cineasti, giornalisti, blogger, utenti di social media e amministratori di pagine di social media, operatori dei media, leader religiosi, artisti, avvocati e persone appartenenti a minoranze religiose riconosciute e non riconosciute e alle loro famiglie”.
Nel 2017 l’Iran ha continuato ad applicare la pena di morte per reati non violenti, politici e di opinione. Nel 2017, almeno 2 persone sono state impiccate per fatti di natura essenzialmente politica.
È opinione di osservatori sui diritti umani che molti dei giustiziati per reati comuni – in particolare per droga – o per “terrorismo”, possano essere in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di Moharebeh (inimicizia verso Allah) o per Ifsad fil-Arz (corruzione sulla terra), gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte. Oltre alla morte, la punizione per Moharebeh è l’amputazione della mano destra e del piede sinistro, secondo il codice penale iraniano.
La provincia del Kuzistan, dove l’etnia araba di religione sunnita rappresenta la maggioranza, è stata teatro di una dura repressione nel corso del 2007, in relazione anche agli attentati dinamitardi che si sono verificati nella città di Ahwaz nel 2005, una violenza che è esplosa in seguito alla rivelazione di un piano del Governo volto a ridurre la percentuale di popolazione araba di etnia ahwazi nella provincia. Al di là della propaganda di Teheran, la maggior parte dei movimenti ahwazi non sono separatisti violenti. Essi vogliono innanzitutto non discriminazione, diritti culturali, giustizia sociale e autogoverno regionale, non l’indipendenza.
Nel Kurdistan iraniano condanne a morte ed esecuzioni si sono susseguite nei confronti di oppositori politici accusati di “atti contro la sicurezza nazionale” e di “contatti con organizzazioni sovversive”, quali il Party of Free Life of Kurdistan (PJAK), il Partito Democratico del Kurdistan in Iran (KDPI) e il partito Komalah, che rivendicano maggiori diritti economici, democratici e culturali per i curdi iraniani.
Secondo le informazioni ricevute dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell’Iran, al 31 ottobre 2017, 1.828 curdi erano ancora detenuti dalle autorità per accuse legate a varie attività come l’attivismo ambientale, il mangiare in pubblico durante il mese di Ramadan, il contrabbando di beni illeciti o per aver celebrato i risultati del referendum tenuto nel vicino Kurdistan iracheno. Le informazioni ricevute indicano che 114 di questi detenuti sono stati accusati di reati politici o legati alla sicurezza, spesso per attivismo civico o per la loro appartenenza a partiti politici kurdi. Nel 2017, almeno 64 prigionieri kurdi sono stati giustiziati dalle autorità e almeno 16 prigionieri politici curdi sono stati sottoposti a torture o maltrattamenti, 31 hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le circostanze relative al loro arresto e detenzione. A 15 sono stati negati i diritti fondamentali come la visita dei loro familiari e altri 15 sono stati privati di adeguate cure mediche. Anche la Provincia sud-orientale iraniana del Sistan-Balucistan è stata teatro di una dura repressione nei confronti della dissidenza baluci di religione sunnita.

La persecuzione di appartenenti a movimenti religiosi spirituali
La Costituzione iraniana afferma che l’Islam sciita è la religione ufficiale dello Stato. Prevede che “le altre denominazioni islamiche siano pienamente rispettate” e riconosce ufficialmente solo tre gruppi religiosi non islamici – zoroastriani, cristiani ed ebrei – come minoranze religiose.
Anche se la Costituzione tutela i diritti dei seguaci di queste tre religioni a praticare liberamente, il Governo ha imposto restrizioni legali sul proselitismo. Convertire un musulmano al Cristianesimo o ad altra religione è considerato un crimine capitale. Convertiti al Cristianesimo sono spesso tormentati, perseguitati e costretti a riunirsi clandestinamente in chiese domestiche, mentre i missionari cristiani sono di solito espulsi dal Paese e a volte incarcerati per aver distribuito Bibbie o altro materiale religioso.
La repressione di quasi tutti i gruppi religiosi non sciiti – in particolare dei Bahai, così come dei Musulmani Sufi, dei Cristiani Evangelici, degli Ebrei e dei gruppi sciiti che non condividono la religione ufficiale del regime – è aumentata significativamente negli ultimi anni. Gruppi bahai e cristiani hanno subito arresti arbitrari, detenzioni prolungate e confisca dei beni.
Il regime considera i Bahai apostati e li bolla come una “setta politica”. Il Governo vieta loro di insegnare e praticare la fede e li sottopone a molte forme di discriminazione che altri gruppi religiosi non conoscono. Dalla rivoluzione islamica del 1979, il Governo ha giustiziato più di 200 Bahai, anche se non ci sono state notizie di esecuzioni nel corso del 2017.

Non solo pena di morte 
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, inumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.
Ogni anno centinaia di persone vengono regolarmente frustate, a volte in pubblico.
Secondo la legge iraniana, più di 100 “reati” sono punibili con la fustigazione. Questi coprono una vasta gamma di atti, che vanno dal furto, aggressione, vandalismo, diffamazione e frode ad atti che non devono essere criminalizzati affatto come adulterio, relazioni intime tra uomini e donne non sposate, “violazione della morale pubblica” e rapporti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso.
Molti di quelli fustigati sono giovani sotto i 35 anni arrestati per attività pacifiche come mangiare in pubblico durante il Ramadan, per avere avuto relazioni al di fuori del matrimonio o partecipato a feste di genere misto.
Secondo le informazioni ricevute dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell’Iran, nel corso del 2017, sono state emesse oltre 100 sentenze di flagellazione e 50 sono state eseguite. Inoltre, tra gennaio e dicembre 2017, sono state comminate 19 pene di amputazione di mani o piedi e 5 di queste sono state eseguite.

Il prezzo del sangue
La versione iraniana del “prezzo del sangue” stabilisce che per una vittima donna esso sia la metà di quello di un uomo. Inoltre, se uccide una donna, un uomo non potrà essere giustiziato, anche se condannato a morte, senza che la famiglia della donna abbia prima pagato a quella dell’assassino la metà del suo “prezzo del sangue”.
Nel dicembre 2003, dopo un verdetto favorevole emesso dal leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, è entrata in vigore una legge che garantisce alle minoranze non musulmane il diritto allo stesso “prezzo del sangue” dei musulmani. Il “prezzo del sangue” per la vita di una donna però continuerà a essere la metà di quello per la vita di un uomo.
Le autorità iraniane hanno sempre sostenuto di “non poter rifiutare alla famiglia della persona uccisa il diritto legale di reclamare il qisas, il principio cioè dell’occhio per occhio”. Il qisas è probabilmente il solo diritto che il popolo iraniano può legittimamente rivendicare.
Tuttavia, il codice penale iraniano esenta, tra le altre, le seguenti persone dal qisas: musulmani, seguaci di religioni riconosciute e “persone protette” che uccidano seguaci di religioni non riconosciute o “persone non protette” (art. 310). Ciò riguarda, in particolare, i membri della fede Bahai, che non è riconosciuta come una religione, secondo la legge iraniana. Se un Bahai viene ucciso, la famiglia non riceve il prezzo del sangue e l’autore del reato è esentato dal qisas.
Il codice penale islamico dell’Iran ha autorizzato il sistema giudiziario a stabilire il “prezzo del sangue” in base all’interpretazione delle leggi islamiche sciite vecchie di secoli da parte della Guida Suprema del paese. Attualmente, se una persona è condannata per aver accidentalmente preso la vita di qualcuno, ha la possibilità di pagare l’importo pari al prezzo di 100 cammelli, 100 mucche, 1.000 pecore, 200 abiti fatti di tessuto yemenita, 1.000 monete d’oro o 10.000 monete d’argento. Ogni anno, la magistratura iraniana stabilisce la quantità minima di “prezzo del sangue” in base al prezzo di mercato di 100 cammelli, che tradizionalmente è stata l’opzione di costo più bassa. L’importo per questo anno iraniano (marzo 2017-marzo 2018) è stato fissato a circa 210 milioni di toman (circa 60.000 dollari).
Negli ultimi anni si è registrato un aumento significativo del numero dei casi di “perdono” da parte dei parenti delle vittime. Secondo Iran Human Rights, nel 2017 sono state perdonate dalle famiglie delle vittime almeno 221 persone nel braccio della morte per omicidio, a fronte di 232 casi registrati nel 2016.

La pena di morte per apostasia e blasfemia
In Iran, l’apostasia e la blasfemia sono entrambe fuori legge e punibili con la morte. Per i musulmani è illegale convertirsi al Cristianesimo, mentre ai cristiani è permesso convertirsi all’Islam. 
L’approvazione nel 2013 del nuovo codice penale islamico potrebbe portare a più pene capitali per apostasia. L’apostasia non è esplicitamente menzionata nel nuovo codice penale. Tuttavia, la nuova legge rende più facile per i giudici emettere la pena di morte per apostasia in quanto l’Articolo 220 del nuovo codice afferma: “Se la presente legge tace su uno qualsiasi dei casi Hudud, il giudice fa riferimento all’Articolo 167 della Costituzione”. L’Articolo 167 della Costituzione iraniana spiega: “Il giudice è tenuto a tentare di pronunciarsi su ogni singolo caso, sulla base della legge in vigore. In caso di assenza di tale legge, deve emettere il suo giudizio sulla base di fonti ufficiali islamiche e fatwa autentiche. Con il pretesto del silenzio o carenza della legge in materia, o della sua brevità o natura contraddittoria, [il giudice] non può astenersi dall’ammettere ed esaminare il caso e stabilire la sua sentenza”. Il riferimento all’Articolo 167 era in precedenza presente nel codice civile ma ora è anche incluso nella legge penale.

La pena di morte top secret
In Iran, dove pure non esiste segreto di Stato sulla pena di morte, le autorità non rilasciano statistiche sulla sua pratica, tutti i nomi delle centinaia di giustiziati ogni anno e i reati per i quali sono stati condannati. Le sole informazioni disponibili sulle esecuzioni sono tratte da notizie selezionate dal regime e uscite su media statali o da fonti ufficiose o indipendenti che evidentemente non possono riportare tutti i fatti.
La trasparenza del sistema iraniano e l’informazione sulla pratica reale della pena di morte sono diventate ancora più opache dopo che, il 14 settembre 2008, nel tentativo di arginare le proteste internazionali, le autorità iraniane hanno vietato ai giornali del Paese di pubblicare notizie relative a esecuzioni capitali, in particolar modo di minorenni.
Nel 2017 sono state effettuate almeno 544 esecuzioni: 112 esecuzioni (20%) sono state riportate da fonti ufficiali iraniane (siti web della magistratura, televisione nazionale, agenzie di stampa e giornali statali), mentre 432 casi (80%) sono stati segnalati da fonti non ufficiali (organizzazioni non governative per i diritti umani o altre fonti interne iraniane).
Il numero effettivo delle esecuzioni è probabilmente molto superiore ai dati forniti nel Rapporto annuale di Nessuno tocchi Caino.
Delle persone giustiziate di cui fonti ufficiali iraniane hanno dato notizia, solo una parte è stata identificata con nome e cognome, e ancora più ridotta è la parte di coloro di cui è stata resa nota l’età e la data del reato. Molti dei giustiziati sono stati processati in dibattimenti a porte chiuse.

La pena di morte nei confronti delle donne
L’Iran è il Paese in cui la discriminazione di genere è maggiormente diffusa e assume forme parossistiche: nei procedimenti legali, la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo e la versione iraniana del “prezzo del sangue” stabilisce che per una vittima donna esso sia la metà di quello di un uomo. Inoltre, se uccide una donna, un uomo non potrà essere giustiziato, anche se condannato a morte, senza che la famiglia della donna abbia prima pagato a quella dell’assassino la metà del suo “prezzo del sangue”. L’età minima per la responsabilità penale è di poco meno di nove anni per le donne, di poco meno di 15 anni per gli uomini. Lo stupro coniugale e la violenza domestica non sono considerati reati penali. Non c’è da stupirsi se l’uguaglianza dei diritti delle donne sia sistematicamente negata quando si tratta di matrimonio, divorzio, affidamento dei figli, eredità, viaggio e persino per quanto riguarda l’abbigliamento. In Iran infatti le donne e persino le bambine al di sopra dei nove anni che non si coprono i capelli col velo e non seguono i codici obbligatori di abbigliamento possono essere punite con una multa e anche col carcere. L’Iran è al 140° posto, su 144, nella graduatoria del Global Gender Gap Index.
In questo clima misogino, il Consiglio dei Guardiani, il potente corpo di religiosi e giuristi islamici che controlla l’attività parlamentare e certifica che corrisponda alla legge della Sharia, ha reinserito, nell’aprile 2013, la lapidazione in una precedente versione del nuovo codice penale nella quale era stata omessa come pena esplicita per l’adulterio [vedi capitolo “La lapidazione”].
Le donne sono discriminate anche quando si tratta di omosessualità. Fino al 2013 il termine “omosessuale” aveva rilevanza penale solo in merito alle relazioni tra donne e non per le relazioni tra uomini. Con le modifiche apportate nel nuovo Codice Penale Islamico approvato nella sua ultima versione dal Consiglio dei Guardiani nell’aprile 2013, il termine “omosessuale” riguarda anche le relazioni tra uomini. Secondo l’articolo 233 del nuovo codice, la persona che ha svolto un ruolo attivo (nella sodomia) sarà frustata 100 volte se il rapporto sessuale era consensuale e non era sposata, ma quella che ha giocato un ruolo passivo sarà condannata a morte a prescindere dal suo status matrimoniale. Se la parte attiva è un non-musulmano e la parte passiva un musulmano, entrambi saranno condannati a morte. In base agli articoli 236-237, gli atti omosessuali (tranne che per sodomia) saranno puniti con 31-99 frustate (sia per gli uomini che per le donne). Secondo l’articolo 238, la relazione omosessuale tra donne in cui vi è contatto tra i loro organi sessuali sarà punita con 100 frustate e, in caso di quarta recidiva, con la pena di morte.
Il 19 dicembre 2017, l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato una nuova risoluzione che condanna fermamente le brutali e sistematiche violazioni dei diritti umani in Iran tra cui anche l’aumento della violenza e della discriminazione nei confronti delle donne.
Le esecuzioni di donne sono state nel 2017 almeno 12 (rispetto alle 10 del 2016) secondo le notizie raccolte, di cui 3 attraverso fonti ufficiali (2 per reati sessuali e 1 per omicidio) e 9 non-ufficiali (5 per omicidio e 4 per droga).
Nel 2015 le donne impiccate erano state almeno 19 su un totale di almeno 970 esecuzioni. Nel 2014 le donne impiccate erano state almeno 26.

Le Nazioni Unite
Il 19 dicembre 2017, con 80 voti favorevoli, 30 contrari e 70 astenuti, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una nuova risoluzione che esprime viva preoccupazione per numerose violazioni dei diritti umani in Iran, incluso l’uso sistematico della detenzione arbitraria e la discriminazione nei confronti delle donne e delle minoranze. In particolare, la risoluzione Onu ha espresso “viva preoccupazione per l’allarmante frequenza dell’imposizione ed esecuzione della pena di morte da parte della Repubblica islamica dell’Iran, in violazione dei suoi obblighi internazionali, compresa l’applicazione della pena di morte nei confronti di minori e persone che al momento del reato avevano meno di 18 anni”. Ha anche espresso “preoccupazione per il continuo disprezzo delle garanzie riconosciute a livello internazionale, incluse le esecuzioni compiute senza notifica ai familiari o ai consulenti legali del prigioniero”. La risoluzione ha invitato il governo “ad abolire, nella legge e nella pratica, le esecuzioni pubbliche, che sono contrarie alla direttiva del 2008 emessa dall’ex capo del sistema giudiziario che cerca di porre fine a questa pratica”.

Il 17 dicembre 2018, l’Iran ha nuovamente votato contro la Risoluzione per una Moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.


 

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