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Il presidente USA Barack Obama
Il presidente USA Barack Obama
USA: OBAMA CHIEDE STOP ESECUZIONE IN TEXAS

1 luglio 2011: l’amministrazione del presidente Obama, attraverso una istanza presentata dall’Avvocato Generale dello Stato, Donald Verrilli Jr., ha chiesto alla Corte Suprema degli Stati Uniti di fermare per almeno 6 mesi l’esecuzione in Texas di Humberto Leal che è fissata per giovedì 7 luglio.
È molto raro che la Presidenza degli Stati Uniti intervenga direttamente in casi giudiziari. L’Amministrazione non contesta né il verdetto di colpevolezza, né la condanna a morte in sé, ma il fatto che Leal sia uno di quei 51 condannati a morte di nazionalità messicana che, secondo una sentenza del 2004 della Corte Penale Internazionale dell’Aja, non dovrebbero essere giustiziati perché nei loro confronti gli Stati Uniti hanno commesso delle irregolarità al momento dell’arresto.
L’Amministrazione motiva la sua richiesta alla Corte Suprema con la necessità di dare il tempo al Parlamento di approvare una legge apposita, il Consular Notification Compliance Act, recentemente presentata in Senato. Obama, come il suo predecessore Bush, ritiene opportuno rispettare gli accodi internazionali in tema di giustizia per evitare che i molti cittadini statunitensi all’estero, soprattutto quelli implicati in operazioni militari, possano essere a loro volta processati senza adeguate garanzie.
Come è noto l’amministrazione statunitense da sempre pretende che i propri militari operanti all’estero, anche quando implicati in reati, vengano processati ed eventualmente detenuti sul suolo statunitense.
 Leal, 38 anni, nato in Messico ma immigrato in Texas da quando aveva 2 anni, è accusato di aver violentato e ucciso, nel 1994, una ragazza di 16 anni, Adria Sauceda. Nei suoi confronti, al momento dell’arresto, non è stato rispettato quanto previsto dalla “Convenzione di Vienna sulle Relazioni Consolari”.
La Convenzione di Vienna è un accordo internazionale che risale al 1963, e che è stato sottoscritto da 166 paesi, compresi gli Stati Uniti. L’art. 36 della Convenzione prevede che quando un cittadino straniero viene arrestato, le autorità locali devono informarlo esplicitamente che ha il diritto che dell’arresto vengano informate le autorità consolari del suo paese, e che ha diritto a ricevere assistenza legale nella propria lingua dal proprio consolato.
La polemica sulla Convenzione di Vienna non è nuova. Il 14 agosto 2002 il Texas giustiziò un cittadino messicano, Javier Suarez Medina, nonostante l’intervento personale del Presidente del Messico, Vicente Fox, di Mary Robinson, Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, e dell’allora Segretario di Stato Usa Colin Powell. Il Messico allora si rivolse alla Corte Penale Internazionale (ICJ) dell’Aja, che nel marzo 2004 riconobbe la violazione da parte degli Usa della Convenzione di Vienna del 1963, non avendo informato gli imputati messicani del loro diritto all’assistenza legale da parte del proprio consolato.
La Corte Internazionale, emettendo una sentenza limitata ai soli casi di condanne a morte, aveva chiesto agli Usa di rivedere i processi. I casi di condannati a morte detenuti negli Usa segnalati dal governo messicano allora erano 51 in 9 diversi stati, 14 dei quali nel braccio della morte del Texas. Lo stato del Texas, dopo un ordine da parte dell’allora Presidente George W. Bush perché un altro messicano, Josè Medellin, non venisse giustiziato, rispose di non sentirsi vincolato da un accordo firmato dal governo federale. Questa impostazione venne confermata dalla Corte Suprema degli Usa che, il 25 marzo 2008, nel caso Medellin v. Texas decise 6-3 che il Presidente non ha il potere di ordinare agli stati di ignorare le loro regole procedurali al fine di rispettare le sentenze emesse dalla Corte Internazione di Giustizia.
Tecnicamente il ricorso presentato dal Texas (stato di cui, tra l’altro, proprio Bush era stato governatore per due mandati) era incentrato sulla divisione di ruoli e di competenze che hanno il governo federale, ossia il governo centrale di Washington, che è quello che ha aderito alla Convenzione di Vienna, e i governi dei singoli stati. Il presidente Bush inizialmente aveva contrastato l’applicazione “garantista” della Convenzione di Vienna, arrivando ad ipotizzare il ritiro degli Usa dalla Convenzione stessa. In un secondo tempo, considerando che Corte Internazione di Giustizia è il più alto organo giudiziario delle Nazioni Unite, Bush aveva invertito l’impostazione, sostenendo pubblicamente che non fosse opportuno che gli Usa aprissero nuovi contenziosi in politica estera. La sentenza della Corte Suprema però dette torto a Medellin spiegando la differenza tra governo federale e governi dei singoli stati. Poiché, argomentava la Corte, il reato di cui doveva rispondere Medellin non era un reato federale, il presidente Bush, che era a capo del governo federale, ma non del governo locale del Texas, non poteva imporre la volontà del governo federale in quei casi in cui un accordo internazionale o una sua parte contrastava con la legge interna di uno stato. Questo perché i singoli stati hanno una loro autonomia giurisdizionale e legislativa fortemente garantita dalla costituzione. La Corte Suprema aveva indicato quale sarebbe stata la procedura corretta da seguire. Il Presidente, invece di tentare di imporre direttamente alle Corti d’Appello di rivedere i 51 casi di cittadini messicani condannati a morte negli Usa, avrebbe dovuto chiedere al Congresso di trovare una soluzione legislativa che esplicitamente inserisse quelle norme indicate dalla Corte Internazionale nelle legislazioni degli Stati Uniti e dei singoli stati. Medellin, nonostante un appello dell’ultimo minuto del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, venne giustiziato il 5 agosto 2008 (vedi), suscitando le ferme proteste del governo messicano e dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani. Ora, nell’imminenza dell’esecuzione di Leal, la questione si riapre. Oltre all’Amministrazione Obama, è intervenuto anche il consulente legale del Dipartimento di Stato, Harold Koh, che ha scritto al Governatore del Texas Rick Perry di fermare l’esecuzione.
Dalle Nazioni Unite Christof Heyns, Relatore Speciale sulle Esecuzioni Estragiudiziali, Sommarie o Arbitrarie, è intervenuto con una nota: “Se la prevista esecuzione di Leal va avanti, il governo degli Stati Uniti avrà eseguito la sentenza di un processo che non ha rispettato i diritti fondamentali dell’imputato. Equivarrebbe ad una esecuzione arbitraria”. (Fonti: CNN, Associated Press, 01/07/2011)

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