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QUELLA STRANA PREVENZIONE CHE ESISTE SOLO IN ITALIA

12 dicembre 2021:

Vincenzo Vitale su Il Riformista del 10 dicembre 2021

Il verbo “prevenire” indica qualcuno o qualcosa che giunge prima del tempo previsto, allo scopo di evitare che un esito negativo si possa verificare. Un esempio. Siamo in un momento storico in cui la medicina “preventiva” mostra le sue prerogative positive rispetto a quella “terapeutica”. Qui davvero prevenire è meglio di curare, dal momento che la prevenzione praticata attraverso una alimentazione sana ed equilibrata, l’esercizio fisico, regolari ore di sonno ecc. garantisce comportamenti tali da scongiurare un esito patologico, il quale, se avverato, si presenterebbe poi di difficile soluzione. In questo caso prevenire è meglio che curare.
Che dire allora delle misure di prevenzione disciplinate nell’ordinamento giuridico italiano? Prevengono? E che cosa prevengono? E come prevengono?
In realtà, va subito denunciato un caso emblematico di autentica ipocrisia semantica a sfondo sociale, consumata proprio dalle istituzioni. Prova ne sia la circostanza che vede la Cassazione inciampare su una questione lessicale, la quale invece travalica i confini del lessico per farsi cogliere quale questione eminentemente giuridica. È la Cassazione infatti a dirci che le misure di prevenzione non sono “sanzioni”, rivelandoci tuttavia come esse abbiano comunque una natura “afflittiva”. Avete mai visto misure di carattere afflittivo che non siano sanzioni? Io mai. Infatti, la caratteristica propria della afflittività sta nel suo carattere sanzionatorio, sicché se certamente esistono sanzioni non afflittive (per esempio, quelle dei verbali dei vigili urbani), ogni afflittività non può non avere carattere sanzionatorio.
In questo strano e singolare gioco di parole – quello per cui la Cassazione ci dice più volte che le misure di prevenzione sono afflittive, ma non sono sanzioni – si manifesta l’ipocrisia semantica sopra accennata, destinata evidentemente a far sì che l’opinione pubblica possa accettare ciò che invece è inaccettabile: che cioè vere e proprie sanzioni afflittive vengano irrogate senza un processo penale. Per questo, l’intero sistema delle misure di prevenzione rimane inaccettabile, in quanto contrario ai principi fondamentali dello Stato di diritto.
Al di là di ogni ipocrisia, le misure di prevenzione si lasciano cogliere come autocontraddittorie. Infatti, se esse vanno applicate prima della commissione del reato – proprio in quanto sono destinate a prevenirne la consumazione – allora non debbono e non possono essere afflittive, come invece di fatto sono e come sono riconosciute essere dalla stessa Cassazione; se invece sono afflittive – come in effetti sono – allora andrebbero applicate, come sanzioni, dopo la consumazione del reato: ma in tal modo finirebbero col sovrapporsi alle misure di sicurezza, dissolvendosi in queste ultime.
Non se ne esce: tali misure non possono sussistere così come sono e, se sussistono, sono chiaramente assurde, contrarie alla logica e ai più elementari principi giuridici. A riprova della insostenibilità di tale assurda situazione e dei suoi effetti, basti leggere alcune sentenze della Corte di Cassazione – non solo una – ove si afferma, in relazione al giudizio di pericolosità, che delle misure rappresenta il presupposto giuridico, che Tizio nel 2006 divenne pericoloso, cessò di esserlo nel 2010, ma lo diventò di nuovo nel 2015 e così via di questo passo.
E ciò si annota in tutta serietà, come nulla fosse, senza avvertire come si sia in tal modo già superata la soglia del ridicolo, configurando un soggetto che diventa pericoloso – tanto da esigere l’applicazione di una misura di sicurezza – “a intermittenza”, a volte sì e a volte no, a seconda del sospetto che gravi su di lui per aver frequentato una certa persona o aver consumato una birra presso un certo esercizio commerciale. Il tanto celebrato requisito della pericolosità non può ridursi a una sorta di soprabito che sia possibile indossare o riporre nell’armadio quando occorra, il che fa soltanto sorridere; la pericolosità di un soggetto delinea invece un tratto caratteriale indefettibile, il quale, proprio per questo, o c’è o non c’è, non potendosi ravvisare in alcun modo pause o intermezzi di inspiegabile assenza fra due momenti reputati invece come contrassegnati dalla pericolosità della persona.
Il fatto è che questo tanto favoleggiato giudizio di pericolosità è null’altro che un giudizio impossibile se funzionalizzato all’applicazione delle misure di prevenzione, in quanto si riduce necessariamente a un giudizio sul modo d’essere dell’uomo, sulla sua natura profonda, precluso a ogni giudice umano e riservato a un giudice che abita altri e più nobili luoghi.
Sulla scorta soltanto di queste osservazioni critiche, la sola possibilità di dare un senso giuridico alle misure di prevenzione non sta in una riforma: sta nel procedere alla loro totale abrogazione. Infatti, a differenza della vera ed efficace prevenzione cui ho accennato al principio di queste righe – quella medica – le misure di prevenzione non solo non prevengono per endemica impossibilità di farlo, ma vanno viste come misure di “autocontraddizione” (dell’ordinamento giuridico con se stesso). Non a caso, esse esistono in Europa soltanto in Italia: nel resto d’Europa e nell’intero mondo occidentale, non ne conoscono neppure il nome. E tanto basti.

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