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MARIO E’ MORTO E CON LUI ANCHE IL DIRITTO E LA PIETA’

2 luglio 2022:

Sergio D’Elia su Il Riformista del 1° luglio 2022

All’ultimo laboratorio nel carcere di Parma, l’11 giugno, era seduto davanti a noi e aveva raccontato di nuovo la sua storia. Gli avevo chiesto di mandare una lettera da pubblicare su questa pagina. Gli avevano tolto la semi-libertà, neanche la libertà piena. Poi gli hanno tolto la vita, tutta, anche la poca che gli restava. La giustizia lo aveva condannato all’ergastolo, l’appendice penitenziaria della giustizia lo ha condannato a morte.
Mario Serpa se n’è andato tre giorni fa. Aveva 69 anni ed era in carcere da più di quarant’anni, più di mezzo secolo se si conta anche la parte di liberazione anticipata. Carcerato da una vita e per tutta la vita, condannato a una pena da non finire mai, la sua pena è finita all’improvviso. In un modo che fa letteralmente pena, che segna anche la morte del diritto, della giustizia, della pietà.
Alla fine del Laboratorio Spes contra spem, Mario mi aveva consegnato una lettera. Forse, sentiva di non avere altre parole da aggiungere a quelle che aveva già scritto due anni fa a Carmelo Musumeci. Forse, temeva di non avere altro tempo da aggiungere al tempo della sua vita che stava per scadere.
L’inizio della lettera a Musumeci è straordinario. “Carissimo Carmelo, non so se questa mia missiva ti giungerà, ma provo ugualmente. Dei tuoi buoni insegnamenti ho fatto tesoro e seppur ancora oggi mi ritrovo a dover soffrire (per colpe non mie) non mi lascerò mai più guidare né dall’odio né dalla prepotenza, come quand’ero giovane... A settembre 2006 ho avuto la fortuna di ottenere la semilibertà, fruita in Arborea, in provincia di Oristano. A novembre 2010, per mia richiesta, fui trasferito al penitenziario di Opera (MI), sempre in semilibertà. Dietro mia richiesta, a gennaio 2011, spostai la mia semilibertà al carcere di Pavia. Senza mai aver commesso nessuna infrazione, all’alba del 30 marzo del 2012, con una ordinanza di misura cautelare, sono stato chiuso dalla semilibertà e portato in cella, nello stesso carcere di Pavia. Dopo circa un mese, il Tribunale di Sorveglianza di Milano mi revoca la semilibertà; fatto sta che, nell’immediatezza di questa revoca, fui trasferito al carcere di Padova. Da qui, per il processo in videoconferenza, mi mandarono al carcere di Tolmezzo. Dopo aver subito una condanna a 20 anni per la sola associazione mafiosa (per il reato estorsivo fui assolto), fui trasferito qui a Parma dove tutt’ora mi trovo. A marzo 2017, la Corte di Appello di Catanzaro mi assolve definitivamente anche da questo capo d’imputazione e, poiché il Procuratore Generale non ritenne opportuno ricorrere in Cassazione, il 5 giugno del 2018, questa sentenza passò irrevocabile. Il fatto che il P.G. non fece ricorso in Cassazione la dice lunga sulla fondatezza delle accuse (e non solo…) … Dopo circa un paio di mesi, il tempo di preparare tutta una serie di documentazioni, i miei avvocati presentarono al Tribunale di Sorveglianza di Bologna la richiesta della semilibertà. La Camera di Consiglio ci viene fissata il 5 novembre del 2019; la decisione di rigetto di questa Camera di Consiglio mi è stata notificata il 7 febbraio dell’anno in corso. Gli Avvocati, ovviamente, ci sono rimasti anche loro male e subito presentarono ricorso in Cassazione… È dura ed è molto penoso vedersi imprigionato ingiustamente anche quando si viene addirittura assolti dal reato per cui si è stati arrestati. Si sa che la legge non ragiona col cuore, perciò è inutile “snocciolare” la mia situazione familiare per riottenere un diritto meritatamente acquisito dopo tantissimi anni di carcerazione che con i giorni di liberazione anticipata vado oltre i 50 anni, ci pensi? Da quello che si desume dal ragionamento che ha fatto il Tribunale di Sorveglianza di Bologna nel concedermi o meno il beneficio che ho chiesto, mi sembra di capire che io dovrei ricominciare da zero (come un detenuto che chiede per la prima volta questo beneficio) non tenendo conto né dell’errore che ha commesso la Procura, né del mio trascorso (prelevato e rinchiuso nella semilibertà senza aver commesso mai una sola infrazione). In altre parole, dovrei passare di nuovo nel crudele gioco delle “forche caudine”: ti sembra giusto?”
La lettera di Mario Serpa a Musumeci è del 18 maggio del 2020. Al testo di Mario, ai tempi di carcerazione, di attesa e di decisioni non prese, quindi, vanno aggiunti almeno due anni, durante i quali sono accaduti fatti gravi. Nel dicembre del 2020, la Corte di Cassazione aveva censurato la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna di richiudere in una gabbia un condannato a vita che aveva cambiato vita. La Suprema Corte aveva anche chiesto al Tribunale di restituire subito il maltolto. Ma, di rinvio in rinvio, sono passati un anno e mezzo. L’udienza della riparazione era stata fissata per il 14 luglio. Troppo tardi. Il 28 giugno Mario se n’è andato via per sempre.
Questa è l’ultima lettera di Mario, non è quella che avremmo voluto pubblicare, ma è l’unica che lui ci ha lasciato. Abbiamo scelto di pubblicare le parti più belle, quelle in cui esprime parole animate da un senso di giustizia, di fiducia e di grazia nei confronti di chi non gli ha reso giustizia, non gli ha manifestato fiducia, gli ha negato la grazia.

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