IL PRESIDENTE-PADRONE L’HA CAPITO: LA FORCA NON SERVE NEPPURE AL POTERE
1 ottobre 2022: Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 30 settembre 2022 Nell’immensità del continente africano la Guinea Equatoriale è un quadratino di terra. Sembra disegnata con il righello. Solo un lato è frastagliato, quello che guarda verso l’Oceano Atlantico dove ci sono delle isole, in una delle quali, Bioko, c’è la capitale Malabo. Oltre ad avere la capitale su un’isola, senza essere un arcipelago, questo Paese annovera una serie di altre singolarità. È tra i più piccoli Stati per superficie e popolazione, ma i suoi giacimenti di petrolio, diamanti, oro, uranio e manganese sono tra i più importanti al mondo. L’attuale Presidente della Repubblica, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, è ininterrottamente in carica da 43 anni, un record mondiale battuto solo da alcune monarchie. La parabola di un potere infinito può portare anche a esiti felici e singolari. Durante i suoi reiterati mandati, Teodoro Obiang ha usato i plotoni di esecuzione, ha compiuto gravissimi abusi dei diritti umani ma, alla fine, ha deciso di abolire la pena di morte. Lo ha fatto lo scorso 19 settembre firmando la legge che libera il Paese dall’ultimo retaggio dell’era coloniale. Una legge che lui stesso aveva invocato dal 2019 e che è stata votata da un Parlamento in cui il suo partito ha 99 seggi su 100. Ha poi lasciato che a darne notizia sui canali della modernità fosse Teodorin Nguema Obiang Mangue, il figlio designato a succedergli, attuale vice Presidente. Nel suo tweet trionfale si legge: “Scrivo in maiuscolo per suggellare questo momento unico: LA GUINEA EQUATORIALE HA ABOLITO LA PENA DI MORTE”. L’antica vicenda di Caino e Abele ha conosciuto una tragica attualità in tutto il continente. Si è manifestata in forma di genocidi, guerre tribali, colpi di stato e faide di palazzo. È accaduto anche in Guinea Equatoriale da quando è diventata “grande” con l’indipendenza risalente al 1968 e in una famiglia, quella degli Nguema, avvinta come l’edera alla reggenza di questo Paese. Il Presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo è al potere dal 1979, da quando, con un colpo di stato militare, rovesciò lo zio Francisco Macías Nguema, a sua volta primo Presidente della Guinea Equatoriale post-coloniale. Francisco era figlio di un “curatore del malocchio”. La vita lo trascinò in una paranoia intrisa di violenza e crudeltà. Venne paragonato a Pol Pot e a Hitler. Coltivò un culto della personalità che lo portò ad autodefinirsi “Unico Miracolo” e a proclamarsi Presidente a vita. Vietò l’uso della parola “intellettuale”, abolì ogni riferimento a nomi stranieri in quanto espressione di imperialismo imponendo l’africanizzazione degli stessi e distrusse ogni barca per evitare che qualcuno potesse scappare dal Paese. Poi arrivò il nipote Teodoro Obiang Nguema che lo spodestò, lo fece processare da un tribunale militare speciale che lo condannò a morte per genocidio e violazione dei diritti umani. I soldati guineani avevano però così tanta paura dei suoi poteri magici che non vollero far parte del plotone d’esecuzione e si rese necessario assoldare dei mercenari marocchini. Lo giustiziarono nella prigione di Black Beach a Malabo, quella che da Presidente aveva voluto fosse proprio il nipote Teodoro Obiang a dirigere. Una volta divenuto Presidente, Teodoro Obiang modificò con un referendum la costituzione in modo da estendere i poteri presidenziali. Venne riconfermato nella carica alle elezioni del 1989, 1996, 2002, 2009 e 2016, grazie anche alla repressione di qualsiasi forma di opposizione politica. Durante tutto il suo mandato la Guinea Equatoriale ha continuato a praticare la pena capitale. Le ultime esecuzioni sono avvenute nel 2014 quando almeno otto uomini furono segretamente fucilati nel mese di gennaio. Ma da lì a poco, il 13 febbraio 2014, il Presidente Teodoro Obiang introdusse una moratoria della pena di morte con l’impegno a rispettarla fino all’abolizione definitiva. La moratoria era il passaggio obbligato della Guinea per entrare a far parte a pieno titolo della Comunità dei Paesi di Lingua Portoghese. Teodoro ha deciso insomma di sintonizzarsi sulle lunghezze d’onda di una lingua, quella del Portogallo che non solo è un antesignano dell’abolizione della pena di morte ma anche dell’ergastolo, la pena fino alla morte. Una lingua che lo zio Francisco, introvertito e chiuso, non avrebbe certamente voluto sentire, leggere, parlare. E così, con la moratoria, Teodoro Obiang si è aperto al mondo. Nulla di singolare, di strano: quello della moratoria è il percorso naturale, pragmatico, democratico che quasi tutti i Paesi hanno seguito per arrivare all’abolizione. Dopo averla conosciuta, praticata nel suo Paese e nella sua stessa famiglia, Teodoro Obiang ha compreso che la pena di morte non serve più, non serve neanche a mantenere il potere. Non serve a lui, non servirà al figlio Teodorin. Possiamo davvero dire che la pena capitale è un ferro vecchio della storia, se anche nella terra degli Obiang è giunta la fine dello Stato-Caino.
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