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I NOSTRI CORPI IN SCIOPERO CONTRO IL SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO, PER UN ANNO DI RIDUZIONE DI PENA PER TUTTI I DETENUTI

24 maggio 2025: Chiara Squarcione*
Laura Di Napoli**

Dal 10 maggio abbiamo intrapreso uno sciopero della fame a oltranza per sostenere, rafforzare, dare corpo all’azione radicale nonviolenta di Rita Bernardini a favore della proposta di Nessuno tocchi Caino di un anno di riduzione di pena per tutti i detenuti. Rita ha sospeso il suo sciopero al 22° giorno in seguito all’apertura manifestata dal Presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha riconosciuto il sovraffollamento carcerario come problema prioritario e ha indicato come possibile soluzione la proposta di legge di Nessuno tocchi Caino sulla liberazione anticipata presentata alla Camera da Roberto Giachetti di Italia Viva. Anche il Vice Presidente del CSM, Fabio Pinelli, ha espresso sostegno alla proposta, sottolineando la necessità di affrontare con urgenza il problema del sovraffollamento. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha più volte richiamato l’attenzione sulle condizioni inumane e degradanti nelle carceri italiane.
La Presidente di Nessuno tocchi Caino ha chiesto di continuare la mobilitazione nonviolenta come noi stiamo facendo insieme ad altre persone che portano avanti il digiuno a staffetta, per mantenere alta l’attenzione sull’emergenza carceraria e sostenere l’adozione della proposta Giachetti.
Rita non è sola, e non lo è nemmeno la battaglia di Nessuno tocchi Caino. I nostri corpi, insieme a quelli di altri militanti radicali, sono un tutt’uno per chiedere un atto concreto di giustizia, legalità, umanità: una riduzione di un anno della pena per tutti i detenuti e il ritiro delle parti incostituzionali del Decreto Sicurezza. Il ritorno a uno Stato di Diritto pieno. Non si tratta di un atto di clemenza. È un atto di giustizia. Una risposta necessaria a un sistema carcerario che ha smesso da tempo di rispettare la Costituzione, ed è al collasso.
Sovraffollamento, trattamenti inumani, suicidi: questa è la quotidianità delle carceri italiane. Non un’emergenza, ma una condizione cronica di illegalità. Una crisi democratica. E ad aggravarla, arriva un decreto che invece di riparare, punisce; invece di ascoltare, reprime. Colpisce chi protesta senza violenza, chi dà voce alla sofferenza. La nuova fattispecie di “resistenza passiva” introduce pene da uno a cinque anni per chi, in carcere o nei CPR, si oppone in modo nonviolento alle condizioni di detenzione. È incostituzionale. E rappresenta il segno di una mentalità repressiva, securitaria, punitiva che attraversa tutto l’approccio del Governo su carcere, sicurezza e diritti.
Ecco perché siamo in sciopero della fame. Anche nel nome di chi ci ha insegnato che i corpi sono strumenti di lotta e di verità. Marco Pannella ci ha lasciato l’eredità della nonviolenza ed è da lui che abbiamo imparato che il silenzio delle istituzioni si può rompere solo con la radicalità della azione nonviolenta. E oggi, con Rita Bernardini, raccogliamo quella eredità e chiediamo, appoggiando l’appello di Nessuno tocchi Caino, ciò che è giusto, non ciò che è comodo: in memoria anche di Papa Francesco, che fino all’ultimo ha avuto parole e gesti di compassione verso chi è recluso, un anno di riduzione della pena per tutti i detenuti, in occasione dell’anno giubilare. Un gesto di civiltà e di maturità democratica.
L’appello ha già ricevuto il sostegno di parlamentari di diversi schieramenti, dal PD a Forza Italia, da Azione ad AVS, da Fratelli d’Italia a +Europa e alla Lega. È la dimostrazione che certi valori possono – e devono – essere trasversali. L’umanità non ha colore politico. E la giustizia non può ridursi a una vendetta codificata. Noi non chiediamo indulgenza. Chiediamo rispetto per la dignità delle persone. Chiediamo che si guardi alla realtà: chi sconta tutta la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 70%, mentre per chi accede a misure alternative il rapporto si inverte. È lì che vive la vera sicurezza: nella rieducazione, non nell’annientamento. Le misure alternative, oggi adottate da circa 100.000 persone, tengono in piedi un sistema penitenziario altrimenti al collasso.
Il loro tasso di revoca è basso: 12,6% nel 2024, e appena 8,2% per chi lavora all’esterno. Eppure, invece di valorizzarle, si promuove una visione repressiva che fa dell’eccezione la regola. Per questo digiuniamo. Non solo perché non si può tacere sul carcere, ma perché i corpi sono lo strumento che abbiamo per dare voce a una comunità reclusa che non trova ascolto. Il Parlamento ha oggi l’occasione di compiere un atto di responsabilità. Di dire che in Italia la pena non è tortura, e la giustizia non è vendetta. Che il carcere non è uno spazio di legalizzata disumanità. Che chi chiede giustizia, chiede legge, sicurezza, dignità, civiltà.
* Europa Radicale, Associazione Radicale Adelaide Aglietta
** Sardegna Radicale - Associazione Tonino Pascali

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