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La prigione Al-Hout di Nassiriya
La prigione Al-Hout di Nassiriya
LE CARCERI SONO AL COLLASSO E L’IRAQ VARA L’AMNISTIA: LIBERI OLTRE 19.000 PRIGIONIERI, INCLUSI EX MEMBRI DELL’ISIS

24 maggio 2025:

Sergio D’Elia

Non si sono fatti paralizzare dalla ossessione del mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. Non si sono fatti ingannare dall’illusione autoritaria di uno stato di emergenza perenne. Non hanno agitato e propagandato la certezza e la deterrenza delle pene. Non sono neanche uno stato democratico, illuminato da un elevato stato di coscienza orientato al diritto e ai valori umani universali. Eppure, l’Iraq ha fatto l’amnistia.
“Bisogna aver visto” e “Conoscere per deliberare”. Pietro Calamandrei e Giulio Einaudi. Gli iracheni non ne hanno mai sentito parlare, ma hanno seguito i loro motti. Hanno visto che nelle 31 prigioni del Paese erano ammassati circa 65.000 detenuti, il doppio di quelli previsti dalla capienza regolamentare delle celle. Hanno preso coscienza che i loro diritti umani fondamentali, non solo la libertà, anche la salute e la stessa vita, erano minacciati dal sovraffollamento.
“Quando abbiamo assunto l’incarico, il sovraffollamento era al 300%”, ha dichiarato il Ministro della Giustizia Khaled Shwani. “Dopo due anni di riforma, l’abbiamo ridotto al 200%. Il nostro obiettivo è di portarlo al 100% entro il prossimo anno, in linea con gli standard internazionali”. Quattro nuove prigioni sono in costruzione, mentre tre sono state chiuse negli ultimi anni. Altre due sono state aperte e sei prigioni esistenti sono state ampliate. Le carceri irachene ospitano centinaia di cittadini stranieri. Alcuni di loro sono stati rimpatriati.
Fatto questo, gli iracheni hanno fatto anche l’amnistia. Non hanno fantasticato su futuri immaginari piani-carcere, riaperture di caserme dismesse e deportazioni di massa dei detenuti nei luoghi di origine. Hanno visto, riconosciuto, deliberato. Non hanno emanato decreti sicurezza per il mantenimento della legge e dell’ordine nelle carceri e punire i torturati per la loro “resistenza anche passiva” alle condizioni di tortura. A gennaio hanno promulgato la legge sull’amnistia e alla fine di aprile erano già stati liberati 19.381 prigionieri, inclusi detenuti condannati per accuse di terrorismo. La stragrande maggioranza è uscita dalle prigioni del Ministero della Giustizia, altri sono stati rilasciati dalla custodia delle agenzie di sicurezza dove erano rinchiusi per la mancanza di posti nelle carceri.
La legge sull’amnistia ha anche bloccato tutte le esecuzioni, comprese quelle nei confronti dei terribili militanti sunniti che, dopo aver invaso l’Iraq nel 2014, hanno controllato un terzo del suo territorio, conquistato importanti città come Mosul, Tikrit e Falluja, ucciso migliaia di persone, sfollato centinaia di migliaia, decimato la popolazione yazida e lasciato vaste aree in rovina. Sconfitti nel 2017, migliaia di loro sono stati arrestati e rinchiusi nella prigione di Nassiriya, l’unica in Iraq dove c’è il braccio della morte. Gli abitanti del luogo chiamano la prigione “al hout”, la balena, perché inghiotte le persone, ma non le sputa fuori.
Con l’amnistia di gennaio, invece, un po’ alla volta, sono usciti da Nassiriya anche i “terroristi”, sputati fuori dalla pancia della balena come Pinocchio. La nuova legge consente anche ad alcuni condannati di chiedere il rilascio, un nuovo processo o l’archiviazione del caso. La legge ha ricevuto un forte sostegno da parte dei deputati sunniti, i quali sostengono che la loro comunità sia stata presa di mira in modo sproporzionato dalle accuse di terrorismo, con confessioni talvolta estorte sotto tortura.
Tutto il mondo è paese. Neanche in Iraq sono mancati gli oppositori dell’amnistia perché avrebbe significato il “colpo di spugna” per reati commessi contro la pubblica amministrazione, di corruzione pubblica e appropriazione indebita. Non mancano neanche quelli contrari all’amnistia nei confronti di militanti che hanno commesso crimini di guerra. Tra i contrari vi sono persino quelli che per vocazione dovrebbero avere a cuore, con la sicurezza pubblica, la tutela dei diritti umani fondamentali anche di chi è stato o è sospettato di essere un pericolo pubblico. “L’attuale versione della legge di amnistia generale solleva profonde preoccupazioni sulle sue potenziali conseguenze legali e di sicurezza”, ha dichiarato in una nota l’Osservatorio Iracheno per i Diritti Umani.
L’amnistia non è una “resa dello Stato” nei confronti di chi può costituire una minaccia all’ordine e alla sicurezza. È innanzitutto un atto di buon governo ma anche di grazia che lo Stato concede a sé stesso, una piccola tregua alla sua, a volte tremenda, potestà punitiva.
L’Iraq rimane sempre un paese tra i primi al mondo per l’uso della pena di morte e per le esecuzioni di massa effettuate spesso senza preavvisare avvocati e familiari dei prigionieri. Ma oggi dobbiamo riconoscere l’avvenimento in Iraq di un fatto di segno diverso, più umano e civile di quelli che si manifestano nei paesi cosiddetti civili.

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