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POVERE, ABUSATE, EMARGINATE, LE DONNE PRIGIONIERE NEL MONDO

13 dicembre 2025:

Valerio Fioravanti su l’Unità del 13 dicembre 2025

Secondo l’Institute for Crime and Justice Policy Research di Londra, sono almeno 733.000 le donne in stato di detenzione in tutto il mondo. Si ritiene che il numero effettivo sia molto più elevato, poiché i dati relativi a cinque paesi (Cuba, Eritrea, Somalia, Uzbekistan, Corea del Nord) non sono disponibili, e quelli relativi alla Cina sono incompleti.
Le donne sono sempre una minoranza nella popolazione carceraria: nel 2024 costituivano solo il 6,8% a livello globale. Eppure il numero cresce, e a un ritmo più rapido rispetto a quello degli uomini. Dal 2000, le donne in prigione sono aumentate del quasi 60%, e pare che il motivo principale sia la povertà. I reati commessi dalle donne sono spesso per la sopravvivenza della famiglia. Una ricerca ha rilevato che le leggi criminalizzano gli atti di sopravvivenza, e le donne sono sproporzionatamente colpite perché sono sovrarappresentate tra i settori più poveri della società. La stessa mancanza di proporzione vale per i reati per cui vengono incarcerate, come il furto di cibo per bambini, l’accattonaggio, la “guerra alla droga” e il lavoro nell’economia informale, termine sotto il quale rientra anche la prostituzione “per necessità”.
Gli Stati Uniti hanno il maggior numero di detenute: 174.607. Al secondo posto sembra ci sia la Cina, le cui statistiche non sono del tutto affidabili, ma che approssimativamente dovrebbe avere circa 150.000 donne carcerate. Seguono Brasile (50.441), Russia (39.153), Thailandia (33.057), India (23.772), Filippine (17.121), Turchia (16.581), Vietnam (15.152), Messico (13.841) e Indonesia (13.044).
In 17 nazioni, le donne costituiscono oltre il 10% della popolazione carceraria. Quelle con la percentuale più alta sono Hong Kong-Cina (19,7%), Qatar (14,7%), Macao-Cina (14,1%), Laos (13,7%), Myanmar (12,3%), Vietnam (12,1%), Brunei Darussalam (11,9%), Emirati Arabi Uniti (11,7%), Thailandia (11,5%) e Guatemala (11,3%). In Italia, le donne costituiscono il 4,3% della popolazione detenuta, che è composta anche da poco meno di 62.000 uomini (31,6% dei quali, stranieri). Sempre in Italia, secondo i dati del Ministero di Giustizia, nel novembre 2025 le donne detenute erano 2.718, con 26 bambini. In Europa, Italia compresa, sono 95.000.
Oltre il 75% delle donne è in carcere per reati non violenti. Le donne spesso subiscono un “circolo vizioso” di brevi pene detentive, troppo brevi per poter accedere a opportunità significative di istruzione, formazione o lavoro. Apparentemente le pene brevi sono un vantaggio, ma poiché non comprendono nessun tipo di risocializzazione, hanno, nel sistema carcerario mondiale, un altissimo tasso di recidiva.
Secondo l’OMS, fino all’80% delle donne detenute in tutto il mondo soffre di un disturbo mentale identificabile. In molti paesi però, questa non è un’attenuante.
Alcune donne stanno anche peggio: sono nel braccio della morte. Si stima che tra le 500 e le 1.000 donne siano nel braccio della morte in almeno 42 paesi. I paesi che giustiziano più donne sono anche quelli che giustiziano più persone in generale, ovvero Cina, Iran, Iraq e Arabia Saudita. Secondo Amnesty International, nel 2024 almeno due in Egitto, 30 in Iran, una in Iraq, nove in Arabia Saudita, due nello Yemen e i numeri della Cina sono imprecisi. Nessuno tocchi Caino conosce bene i dati relativi all’Iran, e può affermare che non sono 30, ma almeno 35 le donne impiccate in Iran nel 2024, e 56 alla data del 30 novembre 2025. Si sa che ricorrono di frequente alle esecuzioni paesi come la Corea del Nord, il Vietnam e il Qatar, ma non si trovano dati affidabili.
I due principali reati per cui una donna è condannata a morte sono l’omicidio e il traffico di droga. Gli omicidi, come in Iran, sono quasi sempre “uxoricidi”, commessi da donne che le famiglie hanno dato in sposa da adolescenti, e che a un certo punto della loro vita non sopportano più la prevaricazione sistemica. Metà delle donne condannate a morte in Asia ha commesso il reato di “trasporto di droga”. Spesso condannate perché non confessano il nome di chi ha affidato loro il “pacchetto” da trasportare. Non sono narcotrafficanti, ma quelli che in gergo si chiamano “muli”, il gradino più basso della gerarchia criminale, che nel caso delle donne non è una scelta esistenziale, ma un disperato tentativo di sopravvivenza.
Alcune donne detenute hanno figli. Si stima che nel mondo 19.000 vivano in prigione con la madre, e, di contro, poco meno di un milione e mezzo di bambini sono “liberi”, con la madre in carcere. Come se non bastasse la madre-detenuta dopo una pena detentiva, anche breve, non è raro che perda la custodia dei figli.

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