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Melissa Lucio
Melissa Lucio
UN GRIDO NEL FEROCE TEXAS: ‘SALVATE MELISSA LUCIO’

23 aprile 2022: Francesca Mambro su Il Riformista del 22 aprile 2022

Quando si giustizia un criminale, spesso, si fa felice qualcuno, ma infelice qualcun altro. Un caso emblematico di questa ambiguità è Melissa Lucio, una donna di 53 anni nata in Texas, di origini messicane. Madre di 14 figli, Melissa potrebbe essere messa a morte il 27 aprile in Texas. È accusata di aver maltrattato la più piccola delle sue figlie, Mariah Alvarez, di due anni, fino a causarne la morte nel 2007.
Il 22 marzo, gli avvocati di Melissa hanno presentato una richiesta di clemenza. “Clemenza” è una formula convenzionale che può portare a una semplice “sospensione” dell’esecuzione, a una commutazione (non più pena di morte ma ergastolo senza condizionale), più raramente anche a una ripetizione del processo oppure alla “grazia” vera e propria. I difensori sostengono, con validi elementi a riscontro, che un riesame dell’autopsia fatto alla luce delle migliorate conoscenze scientifiche dimostrerebbe che la bambina è plausibilmente morta per una caduta accidentale dalle scale di casa. Le nuove risultanze sembrano anche spiegare i molti lividi trovati sul corpo della bambina, plausibili con una ipersensibilità dovuta a una malattia genetica della coagulazione del sangue.
Nei giorni e nelle settimane successive, a sostegno della richiesta di “clemenza”, è sorto un movimento molto forte, o meglio, un movimento “molto forte considerato che siamo in Texas”, lo Stato più feroce degli Stati Uniti, lo Stato che da solo ha effettuato il 37% di tutte le esecuzioni Usa in epoca moderna, lo Stato che qualche anno fa contrastò a muso duro anche il conservatore Bush junior che come Presidente degli Stati Uniti chiedeva più prudenza con le esecuzioni.
A favore di Melissa si sono schierati alcuni vip, quasi metà dei giurati popolari che pure l’avevano condannata, alcuni pubblici ministeri (quello che aveva gestito il processo nel frattempo è stato condannato a 13 anni di carcere per gravi irregolarità in altri processi) e gruppi di pressione a favore delle minoranze etniche, contro le violenze domestiche, per i diritti dei minori.
Una petizione popolare, alla quale ha partecipato anche Nessuno tocchi Caino, ha raccolto oltre 235.000 firme.
La cosa abbastanza sorprendente, trattandosi del Texas, ma anche in generale, è che a favore della “clemenza” si sono pronunciati, firmando un appello esplicito, il 60% dei parlamentari texani. E il parlamento texano è a forte maggioranza conservatrice (57%), così conservatrice che un gruppo di parlamentari, per rendere più evidente il supporto a Melissa, è andato in carcere e si è fatto fotografare mentre tutti insieme si erano raccolti in preghiera. Insomma quasi a far capire che anche Dio era dalla loro parte.
Dopo che anche i 13 figli vivi della Lucio hanno testimoniato di non essere mai stati maltrattati, anche il giovane pubblico ministero che ha ereditato il caso dal collega arrestato si è detto favorevole a rivederlo. A questo punto, è forse davvero possibile che in Texas avvenga un miracolo: la “clemenza” per una donna povera, di origine messicana e con un passato di droga.
Fin qui la cronaca. Poi, come dicevamo all’inizio, bisogna considerare che, spesso, quando si giustizia un criminale, si fa felice qualcuno, ma infelice qualcun’altro. In questo caso siamo al paradosso che per “vendicare” la piccola Mariah Alvarez si
dovrebbero rendere orfani i suoi 13 fratelli.
Il 27 aprile, di loro non vi sarà traccia anche se hanno raccontato come la madre li abbia curati e gli abbia voluto bene. Senza colpa, saranno puniti, vittime di una necessità giuridica che li cancella e li relega all’invisibilità.
Il Comitato per gli affari legali e i diritti umani del Consiglio d’Europa, nel 2019, evidenziava per i figli dei condannati a morte come “questi bambini, spesso dimenticati e socialmente svantaggiati, possono subire un trauma in ogni fase del processo che porta all’esecuzione del genitore”: è un “fardello emotivo e psicologico” che “viola i loro diritti”. Il Consiglio raccomandava di dare “massima importanza all’interesse superiore del bambino” nelle sentenze sui genitori e rispettare il divieto della pena di morte per chi aveva meno di 18 anni al momento del presunto reato. Come richiamato anche nella Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia del 20 novembre 1989.
Nella storia di Melissa, nello Stato del Texas, non sembra esservi spazio per raccomandazioni né per una pietas che sappia riconoscere il senso del tragico e una compassione che tenti di ricomporre l’irreparabile. È la storia di un meccanismo che nel presumere di voler tutelare la vittima priva di dignità e speranza altri esseri umani, altri figli. È la storia della pena di morte che perpetua quell’indicibile tragico in una frattura irredimibile. Sperando contro ogni speranza, confidiamo che il 27 aprile segni l’inizio di un’altra storia.

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