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COLPO DELLA MALESIA ALLA PENA CAPITALE: NON E’ PIU’ OBBLIGATORIA

15 aprile 2023:

Sergio D’Elia su Il Riformista del 14 aprile 2023

Siti Zabidah Muhammad Rasyid ha pianto e pregato per 23 anni, e ha sperato in un miracolo per salvare suo figlio Razali dal braccio della morte. Era stato condannato per aver violato le dure leggi sulla droga in vigore in Malesia. Non aveva ucciso nessuno. Era stato solo sorpreso con 851 grammi di cannabis, un reato capitale che come accade a Singapore o in Iran può portare dritto alla forca.
Per una madre il figlio è sempre innocente. Sarebbe stato un amico a costringerlo a trasportare la droga per poi farne un capro espiatorio dopo essere stato arrestato.
I giudici non hanno voluto sentire ragioni e hanno respinto ogni tentativo della famiglia di ricorso contro la sentenza. La donna è crollata alla lettura del verdetto, temendo che le vie legali per suo figlio fossero definitivamente chiuse.
Ma le preghiere di Siti Zabidah sono state esaudite ai primi di aprile quando il parlamento ha approvato radicali riforme legali per abolire la pena di morte obbligatoria in Malesia.
Quando la buona novella legislativa l’ha raggiunta nel suo povero appartamento nello stato di Selangor, vicino alla capitale Kuala Lumpur, le lacrime di dolore di oltre vent’anni sono diventate in un attimo lacrime di gioia. “Di mio marito posso anche fare a meno, dei miei figli no.”
Le leggi dell’era coloniale sono state riformate e le riforme conferiranno ai giudici maggiore discrezionalità sulla condanna. La nuova legge si applica retroattivamente, per cui gli 11 reati che in precedenza prevedevano la morte come pena obbligatoria possono invece essere puniti con l’ergastolo, che in Malesia però non significa “fine pena mai”, perché la legge rivista elimina anche la pena della “reclusione vita natural durante” e la sostituisce con una pena detentiva compresa tra i 30 e i 40 anni.
Reati gravi come il tradimento (“fare la guerra contro il re”), il terrorismo, il possesso di armi da fuoco e la presa di ostaggi erano tra i crimini che comportavano la pena capitale senza via di scampo. Ma più del 60% dei detenuti nel braccio della morte sono stati condannati per traffico di droga, una chiara violazione degli standard internazionali, secondo i quali la pena di morte non può essere applicata a fattispecie come questa che non raggiungono la soglia dei reati “più gravi”.
L’emendamento abolizionista è passato con un semplice “voto vocale” nel quale la forza e il volume delle chiamate di ‘sì’ hanno subissato quelle dei ‘no’. Ed è arrivato quasi cinque anni dopo che la Malesia ha imposto una moratoria su tutte le condanne a morte come parte dell’impegno dell’amministrazione di Mahathir Mohamad del 2018 di eliminare del tutto la pena di morte.
La moratoria è sopravvissuta al tumultuoso panorama politico della Malesia che dalla crisi politica del 2020 ha visto quattro primi ministri nell’arco di tre anni.
Ma la liberazione della Malesia dal passato coloniale britannico non è stata completa. I giudici possono ancora emettere la condanna a morte a loro discrezione in casi particolari. In alternativa, oltre all’ergastolo, possono infliggere 12 colpi di bastone, forma di punizione corporale proibita dal diritto internazionale, una reliquia del passato ancora venerata in molti Paesi dell’ex impero britannico, incluse le vicine Singapore e Indonesia.
Comunque, in base alle nuove regole, più di 1.300 persone che rischiano la pena di morte o l’ergastolo – comprese quelle che hanno esaurito tutti i ricorsi legali – possono chiedere una revisione della condanna. Il destino del figlio di Siti Zabidah è ora nelle mani dei tribunali, che decideranno su un’eventuale condanna o punizione alternativa.
Siti Zabidah ha detto che sarebbe stata al fianco di suo figlio qualunque cosa fosse accaduta. “Finché sarò viva, gli darò forza”.
Se Siti Zabidah ha prosciugato quasi tutte le sue lacrime di dolore per la sorte di suo figlio, un’altra donna non ha mai smesso di piangere. Con in mano un ritratto di sua figlia Annie Kok Yin Cheng – violentata e uccisa all'età di 17 anni nel 2009 – Tan Siew Ling si è pronunciata contro l’emendamento in una conferenza stampa organizzata dai parlamentari dell’opposizione. Singhiozzando, non riusciva a completare le sue frasi e doveva essere consolata.
Come spesso avviene in questi casi, le famiglie delle vittime predicono che in base alla nuova legge gli assassini saranno liberi di circolare nelle strade poiché i giudici hanno sbagliato nell’emettere condanne a morte invece di pene più leggere. Anche se, fino al 2019, secondo le statistiche carcerarie, non c’erano prove di recidiva da parte di detenuti a lungo termine ed ergastolani che erano stati graziati e liberati.

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