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LA MIA ODISSEA, POI IL CARCERE. MA CREDO ANCORA NELL’ITALIA

5 luglio 2025:

Imran Faisal* su l’Unità del 5 luglio 2025

Faccio parte di una famiglia pakistana numerosa. Sono il terz’ultimo di sette figli. Ho quattro sorelle e due fratelli. Il più grande dei miei fratelli aiutava mio padre ad accudire il pascolo. I terreni non erano di proprietà di mio padre, ma venivano presi in affitto. Verso la fine del 1999 Tasadiq, il mio fratello maggiore, lascia il Pakistan, rimane per tre anni in Grecia, e poi raggiunge l’Italia, dove ancora vive. Così decido di aiutare mio padre nei campi, quindi studio e lavoro, fino a quando, dopo il 2004, mio padre si ammala a causa dell’uso di prodotti chimici e di fertilizzanti che gli rovinano gli occhi. Sono quindi costretto a lasciare la scuola per dedicarmi totalmente al lavoro nei campi e con gli animali. Ma dopo pochi anni i proprietari delle terre iniziano a far costruire case e a ridurre le terre da destinare a pascolo.
Non vedendo un futuro in Pakistan, ho cercato di raggiungere la Grecia attraversando l’Iran a piedi, ma sono stato arrestato e imprigionato in un carcere militare per una settimana, e poi rispedito in Pakistan. Dopo venti giorni ho riprovato ad attraversare l’Iran a piedi e in macchina, sotto la guida di trafficanti che avevo pagato. Per attraversare l’Iran ho pagato duemila euro, la stessa somma per attraversare la Turchia e la Grecia.
Il viaggio è durato 23 giorni, e ho dormito sulle montagne, nei campi e nelle stalle. Arrivato a Tino, in Grecia, sono andato a dormire nella casa di un amico di mio padre. C’erano sei persone e io mi occupavo di cucinare e pulire per tutti perché non conoscevo la lingua e non avevo un lavoro. Non trovando lavoro sono andato a Rodi, avevo in tasca 75 euro e ho dormito per tre giorni nei parchi; poi, un pakistano, che ho poi scoperto essere un trafficante, mi ha ospitato in una casa con altri suoi complici. Per stare lì dovevo pagare con i soldi che avrei avuto una volta trovato lavoro. Quando ho trovato lavoro come imbianchino, avrei voluto lasciare la casa gestita da quelle persone, ma Rodi è piccola ed era sotto il controllo delle stesse persone che mi ospitavano.
Un giorno mi hanno chiesto di andare a prendere al porto un pakistano che era appena arrivato da Tino. Tornato a casa dopo il lavoro, sono stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rilasciato dopo quattro giorni. Per un mese siamo stati sottoposti a fermo obbligatorio; dopo, i veri trafficanti sono scappati, io invece sono rimasto perché pensavo che non ci fossero più problemi. Un parente del mio datore di lavoro mi ha offerto una mansarda dove vivere perché apprezzava il mio lavoro. A Rodi incontro una donna italiana di nome Veronica, ci innamoriamo e ci sposiamo. Dopo un anno, dopo aver ottenuto il visto, partiamo per l’Italia. Sono arrivato in Italia alla fine del 2011. In Italia ho trovato lavoro come giardiniere.
Prima lavoravo in nero e poi, nel 2017, sono stato messo in regola. Alla fine del 2017 ho chiesto la cittadinanza italiana, mi hanno chiesto la fedina penale e in quel frangente ho scoperto che il processo era andato avanti e nel 2022 mi hanno arrestato anche se per un solo giorno. Tornato in libertà ho continuato a lavorare in attesa della pronuncia della Cassazione.
Il 19 giugno 2024 è arrivata la sentenza definitiva della Cassazione e sono stato arrestato. Fino ad allora abitavo a Saronno con mia moglie, che nel 2022 ha subito un grave danno a una gamba a causa di un incidente automobilistico. Di recente ho ottenuto il trasferimento dal Carcere di Opera al Carcere di Bollate, più favorevole per mia moglie per venire a colloquio. La mia unica ragione di vita è mia moglie Veronica. Io so di essere una buona persona e spero di poter ottenere quanto prima i benefici di legge che mi permettano di starle vicino.
In Italia ho trovato persone che mi hanno accolto, sono stato apprezzato e valorizzato nel mio lavoro, soprattutto nella cooperativa Ozanam che mi ha assunto. Ho sperimentato con i miei compagni di lavoro la forza di lavorare in squadra fidandosi l’uno dell’altro. Importante è stato il ruolo di Gianluca, il mio responsabile del lavoro, dal quale ho imparato tanto. E poi, quando arrivavo stanco dal lavoro c’era mia moglie, che mi incoraggiava a buttare il cuore oltre l’ostacolo e sognare di diventare italiano. Veronica mi ha preso per mano e mi ha fatto affrontare tutto con la forza dell’amore.

* attualmente detenuto nel carcere di Bollate

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