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Troy Anthony Davis
Troy Anthony Davis
GEORGIA (USA): CORTE D’APPELLO FEDERALE RESPINGE RICORSO TROY DAVIS

17 aprile 2009: negandogli la possibilità di un nuovo processo, la Corte d’Appello dell’11° Circuito di Atlanta, in Georgia, ha respinto 2-1 il ricorso di Troy Davis, 40 anni, nero, accusato dell’uccisione di un poliziotto bianco nel 1989.
Si tratta di una vicenda complessa, riassumibile nel fatto che quasi tutti i testimoni nel frattempo hanno ritrattato le accuse contro Davis, indicando invece un’altra persona come colpevole, ma i ricorsi basati su queste novità emerse recentemente sono stati respinti in base a problemi di forma, che sembrano impedire un vero riesame della vicenda.
Davis è stato condannato a morte nel 1991 per l’omicidio del poliziotto Mark Allen MacPhail avvenuto il 19 agosto 1989 durante una rissa.
Secondo i suoi difensori, sarebbe stato “incastrato” dai colleghi della vittima. L’arma del delitto non è mai stata ritrovata, né altre prove “fisiche” collegavano Davis all’omicidio. Una serie di testimoni oculari, alcuni poliziotti e 9 “civili”, avevano identificato Davis, il quale, dopo aver a lungo proclamato la sua innocenza, alla fine del processo aveva confessato, nella speranza, ha in seguito spiegato, di ottenere almeno l’attenuante sufficiente a non essere condannato a morte. Dopo il processo la sorella di Davis, Martina Correia, ha ricontattato i testimoni “civili”, e tra il 1999 e il 2003 ha ottenuto da 7 di loro una deposizione giurata in cui ritrattano la testimonianza, spesso sostenendo di essere stati “forzati” dalla polizia. Altri 3 testimoni non ascoltati all’epoca del processo hanno invece testimoniato sotto giuramento di aver ricevuto confidenze da una persona che potrebbe essere la vera colpevole dell’omicidio.
I nuovi testimoni indicano come probabile responsabile Sylvester “Red” Coles, che è bianco, e soprattutto è uno dei due testimoni oculari che non hanno ritrattato. Queste testimonianze sono state usate per dei ricorsi davanti alla Corte di stato, alla Corte Suprema di stato, e alla Corte d’Appello dell’11° Circuito. I ricorsi sono stati tutti respinti per questioni procedurali, sostenendo sostanzialmente che c’erano dei difetti di procedura nei tempi e nei modi in cui le nuove testimonianza sono state raccolte e presentate, e che si trattava inoltre di ricorsi incentrate su parti del processo contro il quale l’imputato aveva già fatto ricorso in precedenza. A parziale spiegazione dell’impasse procedurale c’è l’entrata in vigore, nel 1996, dell’Antiterrorism and Effective Death Penalty Act (anche conosciuta come AEDPA), una serie di leggi speciali emanate dal Parlamento Usa dopo l’attentato di Oklahoma City e ratificate dal presidente Clinton. Per adeguarsi a quelle leggi la Georgia emanò subito dopo leggi simili, che pongono molti limiti ai ricorsi che possono essere presentati da chi è condannato per reati capitali.
Il sommarsi della legge federale e della legge nazionale ha fin qui portato sia la corte Suprema di Stato che la Corte Suprema degli Stati Uniti a bocciare i ricorsi di incostituzionalità presentati dai difensori di Davis. Uno dei tre giudici che ha discusso il caso di Davis oggi ha voluto formalizzare il proprio dissenso.
La giudice Rosemary Barkett, votando contro il rigetto del ricorso, ha scritto: “Il concetto di punire un imputato innocente con la pena di morte semplicemente perché non ha presentato i suoi ricorsi in maniera adeguata è draconiano.
In quei casi in cui un imputato può presentare elementi concreti di quello che potrebbe essere un reale caso di innocenza non ci si può rifare ad una applicazione inflessibile dell’Effective Death Penalty Act, e dovrebbe essergli consentito di presentare una seconda serie di ricorsi, ed anche serie successive”.
Solidarietà a Davis negli ultimi anni è stata espressa dall’ex presidente Jimmy Carter, da Desmon Tutu, dal Parlamento Europeo, dal Partito Radicale Nonviolento. (Fonti: Associated Press, 17/04/2009)

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