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ANALISI DEI DATI DEL RAPPORTO 2016 E OBIETTIVI DI NESSUNO TOCCHI CAINO

3 agosto 2016: Come abbiamo visto emergere dai dati del Rapporto 2016 di Nessuno tocchi Caino, l’evoluzione positiva verso l’abolizione legale o di fatto della pena di morte in atto nel mondo da oltre quindici anni, si è confermata nel 2015 e nei primi sei mesi del 2016.
Ciò nonostante, sono aumentati i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali (sono stati 25 nel 2015, rispetto ai 22 del 2014) e sono aumentate anche le esecuzioni (sono state almeno 4.040 nel 2015, a fronte delle almeno 3.576 del 2014).
Ciò è dovuto in particolare al significativo aumento delle esecuzioni registrato in Iran, Pakistan e Arabia Saudita, e alla loro ripresa in Ciad e Oman dopo, rispettivamente, 12 e 6 anni di moratoria di fatto.
La “guerra alla droga” e la “guerra al terrorismo” hanno dato un contributo consistente all’escalation della pratica della pena di morte anche nel 2015 e nei primi sei mesi del 2016.
In Iran, il tasso di esecuzioni è nettamente aumentato a partire dall’elezione di Hassan Rouhani come Presidente della Repubblica Islamica nel giugno 2013 (almeno 2.214 prigionieri sono stati giustiziati tra il 1° luglio 2013 e il 31 dicembre 2015). Circa il 46% di quelli ammazzati nel 2014 sono stati impiccati per reati legati alla droga, e questa cifra è schizzata al 65,2% nel 2015.
In Arabia Saudita, l’ondata di esecuzioni è iniziata verso la fine del regno di Re Abdullah, morto il 23 gennaio 2015, accelerando sotto il suo successore Re Salman, che ha adottato una politica di “legge e ordine” in particolare nei confronti dei trafficanti di droga. Nel 2015, oltre il 40% delle decapitazioni nel Regno saudita sono state effettuate per reati di droga. Inoltre, l’Arabia Saudita ha effettuato almeno 47 esecuzioni per atti di “terrorismo” nei primi sei mesi del 2016.
Dopo una pausa registrata nel 2014, l’Indonesia ha ripreso le esecuzioni nel 2015 e ha giustiziato 14 condannati a morte, tutti per reati di droga. Svuotare in tal modo il braccio della morte dai detenuti per reati di droga era una delle promesse elettorali del nuovo Presidente indonesiano Joko Widodo che si è insediato nell’ottobre 2014.
L’Iraq ha giustiziato almeno 30 persone nel 2015, di cui 27 per fatti di terrorismo. Almeno altre 55 persone sono state impiccate nel 2016 (al 30 giugno), tutte per fatti di terrorismo.
In Pakistan, delle almeno 326 persone impiccate nel 2015, 30 erano state condannate per terrorismo o fatti di violenza politica.
Nell’agosto 2015, dopo dodici anni di sospensione della pena di morte, il Ciad ha fucilato dieci membri del gruppo islamista nigeriano Boko Haram.
In Somalia, nel 2015, sono state effettuate almeno 25 esecuzioni, tra cui 9 per atti di terrorismo. Altre 13 esecuzioni sono state effettuate nel 2016 (al 30 giugno), tra cui 3 per terrorismo.
In Egitto, sono state impiccate almeno 22 persone nel 2015, di cui 7 per fatti di violenza politica.
Nel 2015 e nei primi mesi del 2016, nuove leggi anti-terrorismo che prevedono la pena di morte sono state approvate in Corea del Sud, Guyana e Tunisia.
Secondo il diritto internazionale, i Paesi che mantengono ancora la pena di morte devono limitare la sua applicazione ai reati più gravi.
Secondo la definizione di terrorismo che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità nel 2004 e che il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla lotta al terrorismo e diritti umani ha successivamente adottato, il terrorismo è un atto commesso con l’intenzione di uccidere, provocare gravi lesioni personali o prendere ostaggi, con l’obiettivo di intimidire o terrorizzare una popolazione o fare pressione su un governo o un’organizzazione internazionale.
Le nuove leggi antiterrorismo adottate in molti Paesi superano di gran lunga tale configurazione e violano anche un principio fondamentale delle norme internazionali sui diritti umani secondo il quale le leggi devono essere redatte con precisione e comprensibili come salvaguardia contro l’uso arbitrario e in modo che la gente sappia quali azioni costituiscono un crimine.
Un progetto di Nessuno tocchi Caino, intitolato “Contenimento della pena di morte in tempo di ‘guerra al terrorismo’ in Egitto, Somalia e Tunisia”, è stato presentato e accettato dalla Commissione europea.
Prevede una serie di azioni a sostegno della introduzione di una moratoria delle esecuzioni capitali in vista dell’abolizione e della riduzione dell’uso della pena di morte attraverso il rispetto degli standard minimi internazionali in materia di giusto processo e pena di morte nel quadro di un rafforzamento della protezione e del rispetto dei diritti umani, della giustizia e dello Stato di diritto.
L’azione verrà condotta in collaborazione con partner locali, l’Agenda delle Donne Somale (SWA) in Somalia, l’Istituto Arabo per i Diritti Umani (AIHR) in Tunisia e l’Organizzazione Araba per i Diritti Umani (AOHR) in Egitto.
Sono previste azioni di monitoraggio, attraverso questionari destinati a detenuti, sulle condizioni di vita nei bracci della morte ed in carcere; di raccolta dati e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica; difesa legale di casi capitali particolarmente emblematici; formazione di magistrati, difensori legali e politici in materia di standard e obblighi internazionali. L’azione avrà una durata di tre anni.
La campagna di Nessuno tocchi Caino per l’abolizione della pena di morte nel mondo non può non includere quella per l’abolizione della pena fino alla morte e cioè dell’ergastolo.
La questione dell’ergastolo è stata al centro del Congresso di Nessuno tocchi Caino che si è tenuto nel Carcere di Opera nel dicembre 2015. “Spes contra spem” era il titolo del Congresso ed è tratto dal motto contenuto nel passaggio della Lettera di San Paolo ai Romani sull’incrollabile fede di Abramo che “ebbe fede sperando contro ogni speranza”.
Il Progetto di Nessuno tocchi Caino ha tre obiettivi.
Il primo è accrescere la consapevolezza dei detenuti che il loro cambiamento nel modo di pensare, di sentire e di agire può essere la chiave per mutare, non solo il proprio modo d’essere, ma anche la realtà in cui vivono di condannati al “fine pena: mai”. Il risultato tangibile del Progetto può essere non solo la rottura esplicita con logiche e comportamenti del passato, ma anche una maggiore fiducia nelle istituzioni.
Il secondo, a livello giurisdizionale, è presentare, a partire da casi concreti, ricorsi nazionali – Corte Costituzionale – e sovranazionali – Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e Comitato Diritti Umani dell’ONU – volti a superare l’ergastolo, quantomeno nei suoi aspetti più duri: il cosiddetto “ergastolo ostativo” (sui 1.576 condannati a vita ben 1.162 sono ostativi, cioè esclusi per legge dai benefici carcerari) e l’isolamento in regime di 41 bis (circa 700 detenuti). Tali ricorsi sono volti anche a documentare gli effetti sullo stato psico-fisico del detenuto della lunga permanenza in condizioni di isolamento in attesa di un “fine pena: mai”, analogamente a quanto la letteratura scientifica ha già ampiamente documentato nel caso dei condannati a morte (il cosiddetto “fenomeno del braccio della morte”). Al fine di percorrere la via giurisdizionale interna, il Prof. Andrea Pugiotto ha predisposto una Ipotesi di atto di promovimento alla Corte costituzionale, mentre per i possibili ricorsi in sede CEDU Nessuno tocchi Caino si avvale della collaborazione con il Prof. Davide Galliani della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano, coordinatore del progetto europeo “Right to Hope”.
Il terzo obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica. A tal fine, in collaborazione con Nessuno tocchi Caino, il regista e documentarista Ambrogio Crespi ha realizzato il Docu-film Spes contra spem – Liberi dentro, che è il frutto del dialogo e della riflessione comune di detenuti e operatori penitenziari della Casa di Reclusione di Opera. L’opera si compone di immagini e interviste con detenuti condannati all’ergastolo, il direttore del carcere Giacinto Siciliano, agenti di polizia penitenziaria e il capo del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo. Dalle loro testimonianze emerge con chiarezza non solo un cambiamento interiore dei detenuti, ma anche che l’istituzione-carcere può rendere possibile il cambiamento e la ri-conversione di persone detenute in persone autenticamente libere. Il Docu-film Spes contra spem – Liberi dentro verrà presentato al Festival del Cinema di Venezia nel settembre 2016.

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