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IN UN SOLO GIORNO 3 IMPICCATI E 2 FUCILATI. RIECCO IL BOIA DI HAMAS

17 settembre 2022:

Sergio D’Elia su Il Riformista del 16 settembre 2022

Tre sono stati impiccati, altri due sono stati fucilati. In un solo giorno, lo Stato-Caino che detta legge nella Striscia di Gaza ha recuperato il tempo perduto. Da quando ha preso il potere nel 2007, Hamas aveva placato la sete di vendetta del suo popolo mandando ogni anno al patibolo almeno un paio di presunte spie del suo nemico giurato e assassini comuni. Dopo cinque anni di tregua, la “giustizia riparativa” della forca ha ripreso il suo corso mortale.
Per i musulmani, la domenica non è il giorno del Signore, riservato al riposo, all’amore, alla grazia. All’alba della prima domenica di settembre, il boia di Hamas è stato richiamato al lavoro per “giustiziare” cinque palestinesi condannati in casi diversi di omicidio e presunta collaborazione con Israele. A due di loro, entrambi membri delle forze di sicurezza palestinesi, è stato concesso il “privilegio” di essere uccisi da un plotone di esecuzione. Gli altri tre sono stati ammazzati come cani, con il cappio al collo. Tutte le condanne a morte sono state eseguite intorno alle cinque di mattina nell’Ansar Security Compound, nella parte occidentale della Città di Gaza. Il Ministero dell’Interno non ha fornito i nomi completi dei disgraziati, ha solo indicato le loro iniziali, l’età e descritto sommariamente il fatto.
Il primo a essere fucilato è stato K. S., un uomo di 54 anni, residente a Khan Yunis. Era in carcere dal 2015 e secondo Hamas nel 1991 aveva fornito a Israele “informazioni sui combattenti della resistenza, sul loro luogo di residenza e la posizione dei lanciarazzi”.
Anche N. A. era sospettato di essere una spia, ma non era un militare e quindi è stato impiccato. Aveva 44 anni ed era stato condannato per aver fornito nel 2001 informazioni di intelligence che avevano portato alla presa di mira e all’uccisione di civili da parte delle forze israeliane.
E. A. aveva 43 anni e abitava nella città di Gaza. Nel 2004 era stato incarcerato con l’accusa di rapimento e omicidio. Era evaso dal carcere e aveva commesso un altro rapimento e omicidio oltre a una rapina nel 2009. È stato impiccato.
Il quarto giustiziato per impiccagione, M. Z., aveva 30 anni ed era residente nel nord della Striscia di Gaza. Era stato arrestato nell’ottobre del 2013 per un omicidio a scopo di rapina.
J. Q. era un militare delle forze di sicurezza di Hamas e quindi non ha subito l’onta della forca. Ha avuto l’onore di finire davanti a un plotone di esecuzione. Aveva 26 anni ed era stato arrestato il 14 luglio scorso per aver ucciso un uomo e una ragazza e aver ferito altre 11 persone durante una lite familiare. Hamas ha detto che a tutti gli imputati è stato “concesso il pieno diritto di difendersi, secondo le regole di procedura, davanti a un tribunale competente”.
Nel caso di J. Q. il corso della giustizia è stato tumultuoso, e la sua esecuzione avvenuta a furor di popolo. Cittadini e funzionari palestinesi l’hanno invocata con violente manifestazioni di piazza e anche sui social network con un hashtag inequivocabile: #Retribution_Life, occhio per occhio. Il prigioniero non ha avuto il tempo di chiedere la grazia o la commutazione della pena.
Questa furia di esecuzioni in un solo giorno in una stretta striscia di terra non era mai successa. Non era neanche volta a pareggiare il piatto del bene con quello del male nella bilancia della giustizia. Per Hamas le esecuzioni intendevano soprattutto “raggiungere la pace e la stabilità nella società”, anche a costo della violazione della legge palestinese e dei valori universali della giustizia.
Dall’istituzione dell’Autorità Palestinese nel 1994, sono state eseguite 46 condanne a morte: 44 nella Striscia di Gaza e 2 in Cisgiordania. Di quelle effettuate a Gaza, 33 sono avvenute senza la ratifica del presidente palestinese, come prevede la legge nazionale.
Ma, a Gaza, il regolamento dei conti tra vittime e carnefici non passa sempre dalle aule di giustizia del regime islamista. Accade anche che persone sospettate, arrestate o condannate siano “giustiziate” sul campo: nel cortile di un carcere o di una moschea, nelle strade e nelle proprie case. Se la pena capitale “legale” dei tribunali militari e civili di Gaza è stata intermittente dal 2007 a oggi, la giustizia “fai da te” di Hamas, fuori dalla legge e dai codici, ha fatto il suo corso senza interruzioni. Senza timbri e carte bollate, la colpa, la sentenza e la pena sono state scritte dagli uomini mascherati su pezzi di carta affissi sui muri accanto ai cadaveri senza nome dei nemici dello “stato islamico”, dell’ordine costituito in nome di dio.

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