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IL CAMBIAMENTO ATTRAVERSA TUTTI: LIBERI E PRIGIONIERI

3 dicembre 2022:

Giulia Ferranti su Il Riformista del 2 dicembre 2022

“Spes contra Spem”, questo il motto del laboratorio del Cambiamento che, da sei anni, Nessuno tocchi Caino tiene con cadenza mensile nelle sezioni di alta sicurezza degli istituti penitenziari italiani. L’iniziativa si rivolge tanto ai detenuti quanto ai partecipanti esterni, ne promuove l’incontro e il dialogo, con l’obiettivo comune di difendere il diritto alla speranza negato ai condannati all’ergastolo ostativo.
Raggiungo il carcere di Opera, è il 15 novembre e Milano non ci ha fatto dono di una delle sue giornate migliori: un primo gruppo di partecipanti si ripara dalla pioggia nella stanza adibita al controllo documenti, presto troppo affollata per contenerci tutti. Mi sembra un buon segno. Si fanno le 13, è ora di entrare. Lasciamo borse, zaini e i tanto immancabili quanto invadenti “dispositivi elettronici”, qualcuno dimentica un caricabatterie portatile in una tasca della giacca e viene fermato al metal detector: mi viene spontaneo pensare a quanto sia difficile per noi esterni liberarci del superfluo o anche solo renderci conto di cosa lo sia.
Con me ho un taccuino e una matita, «Posso portarli?» penso. Passo il controllo senza problemi e mi imbarazzo per l’ingenuità del mio stesso dubbio. Proseguiamo nel nostro tragitto, attraversiamo il lungo corridoio dell’area pedagogica con le finestre dipinte, le pitture che decorano le pareti, ci lasciamo alle spalle l’austerità grigia dell’edilizia carceraria, lo spazio si trasfigura a distanza di pochi metri grazie ai colori.
Finalmente raggiungiamo il teatro. Le prime file sono già occupate dai partecipanti interni, sono tanti e subito ci accolgono, mani calde che stringono le nostre, mani grate di ritrovare quelle note, ospitali con le nuove. Ci sediamo e prende la parola l’avvocato Maria Brucale, risponde alle domande dei partecipanti sulla decisione pilatesca dell’8 novembre della Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo: benché ne avesse a suo tempo accertato l’incostituzionalità, la Corte ha deciso di non decidere restituendo alla Cassazione gli atti per la valutazione del decreto.
Tiro fuori il taccuino e la matita, controllo la mina, è appuntita e mi pungo un polpastrello. Comincio a scrivere ossessivamente perché la memoria è inaffidabile, rielabora, ricostruisce e quasi mai riporta la verità delle cose.
Sale sul palco Sergio D’Elia che ci parla di cambiamento, delle sue molteplici dimensioni e della necessità di intervenire su ognuna di queste, da quella istituzionale a quella personale, affinché si concretizzi. Il laboratorio è proprio questo: un percorso di creazione e conquista del nuovo, del diverso da sé, dentro e fuori la coscienza del singolo grazie all’intreccio di storie e di vite, all’impegno condiviso per il superamento dello status quo illegale e crudele che condanna e dimentica, isola, vendica, uccide.
Lo conferma Rita Bernardini con la brutalità dei numeri: 78 suicidi in carcere al 15 novembre, giorno del laboratorio, 80 a poco più di due settimane, da gennaio 2022. Un record tragico della storia penitenziaria italiana che supera quello raggiunto nel 2009: 72 in un anno. Questi sono i nostri morti di prigione. Quanto tempo dobbiamo ancora aspettare per ristabilire la legalità di questo sistema putrescente? Quante morti può sostenere ancora la nostra coscienza? Esiste un numero? Dentro alla convenzione del segno matematico, 80, ci sono le vite interrotte di uomini e donne di cui ora, mentre scrivo, vorrei riuscire a immaginare i visi, dar loro un corpo per sottrarli all’astrazione dell’unità anonima.
Spes contra Spem significa essere speranza, dare forma nel corpo dei detenuti al diritto negato, farlo vivere di carne e ossa così come ci ha insegnato Marco Pannella, opporre l’umanità alla disumanità della sentenza a morte dell’ergastolo ostativo. Nel teatro del carcere di Opera ascolto le parole dei partecipanti interni. Mi colpisce l’intervento di Massimo, anche lui condannato al “fine pena mai”, che ci invita a riflettere sul senso di quest’espressione, come se fosse possibile che il tribunale dell’Uomo possa eternare la punizione e quindi lo stigma della colpa.
D’Elia cita Aldo Masullo (che a sua volta aveva citato Marguerite Yourcenar) definendo il tempo come “il grande scultore”: siamo la creta modellata dalle mani dei giorni, dei mesi, degli anni. Nasciamo materia informe e moriamo opera d’arte. Esistiamo nel mutamento della forma che diventa sostanza, questa è la condizione umana e definisce tanto i liberi quanto i detenuti. Il laboratorio del Cambiamento ce lo ricorda.

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