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NELLE PRIGIONI SI CONSUMA UNA MATTANZA, ABBATTIAMO I MURI DELLA VENDETTA

8 marzo 2025:

Livio Ferrari su l’Unità dell’8 marzo 2025

Le 189 carceri per adulti sono diventate camposanti, 246 morti e tra questi 90 suicidi nel 2024, 53 morti con 15 suicidi dall’inizio dell’anno, questo per quanto riguarda i reclusi, se poi aggiungiamo anche il personale della polizia penitenziaria il numero diventa ancora più alto, per una mattanza che non si placa e per un dramma che non interessa quasi a nessuno, governo e parlamento compresi.
Tanto, quale interesse rivestono i poveri?
I 17 istituti per i minori stanno assiepando da un paio d’anni sempre più giovani vite, soprattutto straniere, senza un senso reale per questo accanimento nei loro riguardi, se non quello del mostrare i muscoli. Come per ogni azione che calpesta i diritti delle persone però basterà attendere perché comporterà una azione contraria, sta nella logica dei fatti e delle reazioni a questi.
L’attualità dei drammi e morti che si consumano nelle carceri italiane, pur se per un po’ di tempo questo ha fatto eco nell’opinione pubblica, non ha prodotto alcuna modificazione del sistema, neppure la denuncia di tortura presentata dal tesoriere dei Radicali Italiani, Filippo Blengino, che accusa Nordio di consentire condizioni di vita disumane e degradanti nel carcere di Sollicciano e in molti altri istituti penitenziari italiani, ha avuto effetto.
In fondo, a parte alcune eccezioni e certi frangenti storici, ai governi non interessano i reclusi, in quanto portano solo perdita di consenso e, nella stragrande maggioranza dei casi poi, sono poveri, molti stranieri, spesso la stessa persona, vite a perdere per una società che non è in grado di integrare, soprattutto non coloro che hanno il torto di essere soprattutto ai margini.
E nonostante le informazioni da bollettino di guerra dei morti, l’opinione pubblica è stata ancora una volta privata di un’autentica conoscenza di quali siano le reali condizioni di povertà, di privazione, di sofferenza e dolore in cui versano le persone recluse.
La vulnerabilità sociale e la mancanza di risorse, per chi è ristretto nelle carceri italiane, è l’elemento caratterizzante della distanza che li separa dal resto della società, del disinteresse o peggio dell’odio nei loro confronti da parte dei liberi che non hanno nessuna predisposizione ad approfondire la questione.
Pensiamo poi a come ora che, anche se la realtà la edulcoriamo, siamo in guerra, come possono sentirsi in un luogo che all’eventuale scoppiare di ordigni li troverebbe senza vie di scampo, condannati a morte!
La prigione umilia, annulla, stigmatizza e impone il dolore, la sofferenza, è crudeltà, crea la mancanza di responsabilità verso il proprio comportamento e aumenta la pericolosità di tutti coloro che vi transitano, che diventano a loro volta moltiplicatori irreversibili e potenziali della violenza ricevuta.
Il carcere ha una funzione falsa e ideologica perché finge di controllare, evitare e prevenire i reati, mentre li produce e riproduce, con l’aggravante di organizzare scientemente con pretesa fondatezza ed efficacia un’istituzione sostanzialmente improduttiva, se non controproducente, in cui i diritti fondamentali dei suoi ospiti sono pressoché violati.
Niente di nuovo, comunque, anche le violenze di questi anni, documentate dalle immagini e suffragate da faldoni di carte processuali, non hanno smosso l’inerzia governativa, come non stanno producendo alcunché da parte dell’attuale compagine che non ha una cultura ancorata alla Costituzione, che nonostante tutto è comunque ancora vigente, e nella quale non troviamo da nessuna parte il termine carcere, cosa che dovrebbe far assai riflettere.
Continuare a sostenere il sistema carcerario significa in fondo autorizzare la pratica della cattiveria di Stato, con l’imposizione del dolore e della sofferenza ai ristretti. È possibile vivere in un mondo migliore, invece di reprimere è più utile, sicuro e degno investire in politiche pubbliche per ridurre le diseguaglianze sociali.
È urgente scegliere percorsi di pace, in tutti gli angoli del mondo, per ridare dignità alle persone che commettono reati, ridurre la sofferenza e la vendetta di questi luoghi disumani che alimentano solo l’odio, ridare ai condannati la responsabilità per quanto hanno commesso affinché possano essere messi in grado di produrre gesti di restituzione del danno e di riconciliazione.
Solo se saremo capaci di abbattere questi muri di vendetta la repubblica Italiana tornerà, almeno per questo verso, a essere uno Stato di diritto.
* Portavoce “Movimento No Prison”

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