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LO SPETTRO DI UN NUOVO MASSACRO INCOMBE SULL’IRAN

6 settembre 2025:

Virginia Pishbin su l’Unità del 6 settembre 2025


Sono un medico educato a osservare e valutare sintomi. Vedo i sintomi di una febbre mortifera del passato tornare nel mio Paese, l’Iran. E allora lancio l’allarme prima che sia troppo tardi. I presagi del massacro del 1988, quando 30.000 prigionieri politici furono sistematicamente giustiziati, si stanno manifestando. Scrivo oggi perché so che cinque prigionieri politici sono stati condannati a morte e separati dagli altri, un terrificante indicatore, questo della separazione, della loro imminente esecuzione. I loro nomi sono: Vahid Bani Amerian, Pouya Ghobadi, Shahrokh Daneshvarkar, Babak Alipour e Mohammad Taghavi. Sono stati condannati per la loro appartenenza al principale gruppo di opposizione, i Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI/MEK), dopo aver subito processi farsa. La notizia della loro condanna a morte segue di poche settimane quella della esecuzione di altri due prigionieri politici, Mehdi Hassani e Behrouz Ehsani, appartenenti allo stesso movimento. Notizie di morte che si susseguono in un Iran che quest’anno ha già superato le 950 esecuzioni secondo il monitoraggio di Nessuno tocchi Caino.
Amnesty International ha scritto: “Behrouz Ehsani e Mehdi Hassani sono stati giustiziati arbitrariamente nel mezzo della terribile crisi delle esecuzioni in Iran. Sono stati giustiziati in segreto, senza che né loro né le loro famiglie venissero informati, dopo un processo gravemente iniquo tenuto da un tribunale rivoluzionario. È stato loro negato l’accesso agli avvocati per quasi due anni, prima di un processo durato solo cinque minuti e durante il quale non è stato loro permesso di parlare in propria difesa. Confessioni forzate, estorte tramite percosse, prolungato isolamento e minacce di ulteriori danni a loro e alle loro famiglie, sono state utilizzate come prove per condannarli”.
Da medico dico che non si tratta di un atto isolato di repressione ma del ritorno di una febbre letale. I media statali iraniani hanno iniziato a elogiare e rivendicare apertamente il massacro del 1988, segnalando l’intenzione del regime di ripetere quanto compiuto in passato quando l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, emise una fatwa che ordinava l’esecuzione di tutti i prigionieri politici che non avessero, di fronte a speciali “commissioni della morte”, rinnegato le loro convinzioni. Parliamo di crimini contro l’umanità e genocidio, come più volte considerato dall’ex Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, il professore Javaid Rehman. Il quotidiano statale Kayhan, il cui direttore è nominato dalla Guida Suprema Ali Khamenei, ha recentemente difeso quelle uccisioni del 1988 definendole un atto “decisivo” e “coraggioso”, invocando sostanzialmente la stessa risolutezza contro i prigionieri politici di oggi.
Stiamo dunque assistendo alla metodica preparazione di un altro massacro sancito dallo Stato. Annovero tra questi preparativi anche l’annuncio delle autorità di Teheran di trasformare la sezione 41 del cimitero di Behesht-e-Zahra in un parcheggio.
La sezione 41 del cimitero di Behesht-e-Zahra è luogo di sepoltura di migliaia di militanti dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK), giustiziati durante i primi anni della rivoluzione e lì sepolti in segreto, spesso in fosse comuni. Un annuncio, presentato come forma di sviluppo urbano, che mira in realtà a trasformare quel cimitero di martiri in un cimitero della conoscenza e della verità.
Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), di cui il MEK è membro, la cui piattaforma politica per un Iran libero, laico e democratico è sostenuta dalla maggioranza del Parlamento italiano, ha esortato le Nazioni Unite e gli organismi internazionali a intervenire immediatamente e ha chiesto un’indagine internazionale indipendente su quelle decine di migliaia di esecuzioni. E mentre il regime cerca di mettere a tacere il suo popolo, di annientare chi osa dar corpo e voce a ogni benché minima opposizione, la voce della diaspora iraniana non resta in silenzio. Infatti il 6 settembre decine di migliaia di iraniani si riuniranno a Bruxelles per chiedere alla comunità internazionale di fermare le esecuzioni in Iran invocando un cambio di regime che avvenga senza intraprendere la via violenta delle armi né quella altrettanto insopportabile della politica di accondiscendenza con il regime dei Mullah, ma attraverso il riconoscimento polit ico della Resistenza iraniana quale movimento di opposizione e liberazione dell’Iran.

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