TEXAS (USA): ANNULLATE LE ACCUSE CONTRO JERRY HARTFIELD
19 gennaio 2017: la Corte d’Appello del Texas per il 13° Distretto ha annullato tutte le accuse contro Jerry Hartfield, un ex condannato a morte.
Hartfield, 60 anni, nero, con un quoziente intellettivo molto basso, tra i 50 e i 60 punti, venne condannato a morte nel 1977 con l’accusa di aver molestato sessualmente e ucciso, il 17 settembre 1976, a scopo di rapina, una donna bianca di 55 anni, Eunice Lowe.
Il verdetto di colpevolezza venne annullato nel 1980 dalla Texas Court of Criminal Appeals per irregolarità nella formazione della giuria popolare. L’annullamento venne impugnato dalla pubblica accusa, e divenne definitivo solo nel 1983. Nel frattempo, qualche mese prima che l’annullamento divenisse definitivo, l’allora governatore Mark White commutò la condanna a morte in ergastolo senza condizionale. Da allora, e fino al 2006, Hartfield è rimasto in carcere in base ad una lunga serie di equivoci, primo tra tutti il fatto che gli è stato fatto scontare l’ergastolo per un reato per il quale invece avrebbe dovuto ripetere il processo.
Nel 2006 un compagno di detenzione lo aiutò a scrivere (a mano) un ricorso, in cui chiedeva di essere riprocessato, oppure liberato perché contro di lui non era stata rispettata la norma costituzionale che dà diritto ad ogni cittadino di ricevere “un processo in tempi rapidi”.
La Corte d’Appello rigettò il ricorso, che venne però accolto successivamente da una giudice federale (Lynn Hughes), la quale confermò che l’annullamento del verdetto di colpevolezza aveva la precedenza sulla commutazione, che anzi deve essere considerata nulla (e nullo quindi l’ergastolo) perché emessa in assenza di un verdetto di colpevolezza.
Dopo una ulteriore serie di ricorsi, nel giugno 2013 la Texas Court of Criminal Appeals confermò che allo stato Hartfield era detenuto senza una sentenza. La pubblica accusa espresse l’intenzione di ripetere il processo e Hartfield venne tenuto in carcere.
Nel 2014 un giudice statale (Craig Estlinbaum) negò la scarcerazione sostenendo che il ritardo nel ripetere il processo era imputabile all’imputato che non lo aveva sollecitato. Venne quindi riprocessato, e una nuova giuria popolare nell’agosto 2015 emise un verdetto di colpevolezza.
Nel frattempo negli Usa è diventato incostituzionale condannare a morte un portatore di disabilità mentale, e all’epoca del reato non esisteva la pena dell’ergastolo senza condizionale, quindi la pubblica accusa, anche nella speranza di smorzare le polemiche, si “accontentò” di una condanna a 99 anni. Se una condanna del genere fosse stata emessa nel 1977, Hartfield avrebbe già ampiamente maturato i termini per la libertà condizionale. Ma oggi la Corte d’Appello ha deciso che le imputazioni devono essere lasciate cadere perché non si è mai visto nella storia dello stato un tale ritardo nel garantire un processo a un imputato.
La Corte infatti ha ricordato di essersi in precedenza occupata di casi in cui il ritardo contestato era di 3 anni, 6 anni, 8 anni. Non era mai successo prima che si dovesse discutere di un ritardo di 32 anni. Se la decisione odierna reggerà all’eventuale ricorso della pubblica accusa davanti alla Corte d’Appello di stato (la corte d’appello di grado superiore rispetto alla corte d’appello distrettuale che ha deciso oggi), Hartfield sarà scarcerato.
Non è chiaro se nel corso dei decenni i rappresentanti della pubblica accusa che si sono avvicendati nell’incarico siano stati consapevoli delle gravi irregolarità nel caso Hartfield, di certo c’è solo che nessuno ha fatto niente. La pubblica accusa, in occasione del nuovo processo del 2015 ha sostenuto che quella di rimanere in silenzio sia stata una strategia voluta dall’imputato, che preferiva la condizione di limbo alla possibilità di essere ri-condannato a morte. Di fatto però i “vecchi” difensori d’ufficio di Hartfield lasciarono l’incarico nel 1993 convinti di aver esaurito il loro compito, e un nuovo avvocato gli venne nominato solo nel 2008 da un giudice federale. Il primo processo fu incentrato su una confessione (poi ritrattata) dell’imputato, e soprattutto sul fatto che, a dire degli inquirenti, Hartfield dette informazioni utili per il ritrovamento dell’automobile della vittima. I difensori all’epoca contestarono il comportamento della polizia, sostenendo che il basso quoziente intellettivo dell’imputato lo rendeva particolarmente “manovrabile”. Nel nuovo processo del 2015 la pubblica accusa è riuscita a riportare in aula solo uno dei 16 elementi probatori iniziali: l’arma del delitto (un’accetta) nel frattempo è stata smarrita, sono stati smarriti i reperti fisiologici (sangue e sperma per eventuali test del DNA mai effettuati), manca l’auto della vittima, i testimoni sono quasi tutti morte, e uno è affetto da demenza senile. Eppure Harefield venne di nuovo processato, e condannato. Oggi quella sentenza è stata annullata, con l’obbligo per la pubblica accusa di ritirare tutte le imputazioni. (Fonti: DPIC, nytimes.com, 19/01/2017)
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