STATI UNITI: 172 INNOCENTI LIBERATI DAL BRACCIO DELLA MORTE. FALSE PROVE DELL’ACCUSA, FALSI INFORMATORI, PREGIUDIZI RAZZIALI
5 dicembre 2020: Sergio D’Elia su Il Riformista del 4 dicembre 2020 Data la fallibilità del giudizio umano, c’è sempre stato il pericolo di condanna ed esecuzione di una persona innocente. Non esiste un sistema di giustizia perfetto che possa scongiurare un tale pericolo. Lo stesso sistema americano, forte di tutele, garanzie e ricorsi infiniti, non ha mai rappresentato l’antidoto agli errori giudiziari. La presunzione che quasi tutti nel braccio della morte fossero colpevoli è svanita quando agli imputati sono stati concessi avvocati più esperti, giurie non prevenute, test scientifici obbligatori. Da allora molti casi di innocenti sono emersi. Dal 1973, sono state liberate più di 170 persone ingiustamente condannate a morte, tra cui cinque nel 2020. Il 24 gennaio del 2020, la Corte Suprema del Nevada ha confermato il proscioglimento di Paul Browning che era stato condannato nel 1986 per la rapina e l’omicidio di un gioielliere di Las Vegas. Nel processo era stato difeso da un avvocato che praticava da meno di un anno. Un’indagine difensiva un po’ competente avrebbe rivelato i difetti nelle prove dell’accusa e la falsità di dichiarazioni di testimoni che l’accusa aveva presentato alla giuria. “Quando vedo una persona di colore penso che si assomiglino tutte”, aveva detto uno di loro che poi al processo avrebbe testimoniato senza esitazione che Browning era l’uomo visto sulla scena del delitto. Walter Ogrod è stato esonerato dal braccio della morte della Pennsylvania il 10 giugno 2020, ventotto anni dopo l’arresto per l’omicidio di una bambina di quattro anni. Il processo era viziato alla base da cattiva condotta della polizia e dell’accusa, da false prove forensi e testimonianze di informatori detenuti. Lo avevano “incastrato” due detective di Filadelfia con un curriculum di abusi e false confessioni. Privato del sonno nel corso di 14 ore di interrogatorio, Ogrod aveva alla fine confessato di aver picchiato la vittima con un bilanciere. La bimba invece era morta di asfissia e non era stata picchiata, ma i pubblici ministeri avevano nascosto alla giuria il referto del medico. Kareem Johnson è stato prosciolto il 1° luglio 2020. Era stato condannato nel 2007 sulla base di false prove del DNA che lo avevano collegato all’omicidio. La Corte Suprema della Pennsylvania aveva stigmatizzato la cattiva condotta del pubblico ministero che aveva mostrato “un disprezzo consapevole e sconsiderato per il diritto dell’imputato a un processo equo”. Il 4 settembre 2020, dopo sei processi segnati da cattiva condotta dell’accusa e pregiudizio razziale, Curtis Flowers è stato prosciolto dagli omicidi avvenuti nel luglio 1996 di quattro dipendenti di un negozio di mobili di proprietà di bianchi a Winona, Mississippi. Per il combinato disposto di un informatore detenuto testimone principale dell’accusa e giurie di soli bianchi o a stragrande maggioranza composte da bianchi, accuratamente selezionate dall’ufficio del procuratore distrettuale, Flowers, un afroamericano, era stato ripetutamente condannato a morte. Il 14 settembre 2020, un tribunale della contea di Hillsborough, in Florida, ha esonerato Robert DuBoise 37 anni dopo la condanna per stupro e omicidio di una ragazza di 19 anni basata su prove scientifiche spazzatura e false testimonianze di un informatore della prigione. DuBoise deve la vita agli avvocati dell’Innocence Project of Florida che hanno presentato al giudice le prove della sua innocenza. Sulla vittima non c’erano i segni di morsi evidenziati nelle perizie accusatorie, mentre le prove del DNA nascoste alla giuria scagionavano DuBoise e implicavano altri due uomini. Con Robert DuBoise, a oggi, sono 172 i detenuti del braccio della morte prosciolti da condanne ingiuste che li hanno portati a un passo dalla sedia elettrica, dalla camera a gas, dal plotone di esecuzione o dal lettino dell’iniezione letale, l’ultima invenzione, più “umana e civile”, di supplizio capitale. Il rischio di condannare un innocente è insito nel giudicare ma, a ben vedere, l’errore giudiziario di fondo sta nel peccato d’origine di una giustizia concepita come una catena di causa ed effetto, perpetua e indiscutibile, che va dal giudizio alla condanna e, quindi, alla pena. Da un tale pericolo, letteralmente mortale in caso di una pena capitale ma non meno letale in caso di “fine pena mai” o di pena carceraria, ci si può liberare una volta per tutte solo se si coltiva la visione di Aldo Moro, la sua invocazione non tanto di un diritto penale migliore, ma di qualcosa di meglio del diritto penale. La riforma radicale della giustizia è nella abolizione degli istituti di pena, nella conversione strutturale degli apparati di giudizio e punizione in forme più ecologiche, sociali e civili di riparazione e riconciliazione, in sistemi non di pene alternative ma di alternative alla pena.
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