IMPICCATO IN IRAN ARMAN ABDOLALI, L’UOMO CHE VISSE SEI VOLTE
27 novembre 2021: Sergio D’Elia su Il Riformista del 26 novembre 2021 Arman Abdolali era ancora piccolo al momento del fatto per il quale è stato condannato a morte. Arman è diventato grande nella prigione di Rajai Shahr a Karaj, a ovest di Teheran dove, in un anno, ha superato sei prove di impiccagione. Sono state prove crudeli e inumane, forme terribili di tortura dell’anima quelle di essere trascinato all’improvviso fuori dalla propria cella, portato in una stanza di isolamento in attesa di essere impiccato e, poi, all’ultimo momento, riportato nel braccio della morte. Per la gioia dei compagni di sventura che lo hanno rivisto vivo. Per il tormento del condannato nell’angosciante attesa di un’altra prova o di un altro finale di partita. La sua esecuzione era stata programmata già due volte, nel gennaio 2020 e nel luglio 2021, ma è stata interrotta in entrambi i casi dopo una protesta internazionale. Poi altre due volte, alla metà di ottobre e i primi di novembre, gli era stato tolto il cappio al collo grazie a un appello urgente mosso dalle Nazioni Unite. Era stato trasferito di nuovo nell’anticamera del patibolo il 21 novembre scorso. Lì aveva atteso tre giorni e due notti, poi era ritornato in sezione. Per sei volte sull’orlo del precipizio mortale, per sei volte Arman è “rinato”. La sera tardi del 23 novembre, per la settima volta, lo hanno condotto di nuovo nella sezione di isolamento, nella stanza davanti alla forca. Sarebbe stata l’ultima prova di impiccagione dell’uomo che ha vissuto sei volte, quella che avrebbe segnato la fine della storia di Arman e della sua lenta agonia. La rappresentazione teatrale della legge del taglione avrebbe assicurato l’ultimo spettacolo: biglietto di sola entrata per l’attore principale, nessuna via d’uscita, nessuna replica, nessun ritorno alla vita del condannato a morte. Arman non è più salito in sezione dai suoi compagni di pena. Arman è salito sul patibolo il giorno dopo, alle prime luci dell’alba. Con gli occhi bendati, lo hanno portato sotto la forca, una corda gli ha cinto il collo, un calcio allo sgabello sferrato dal boia gli ha tolto l’appoggio sotto i piedi e anche la vita. Arman Abdolali era nato il 9 marzo 1996 e aveva 17 anni al momento della scomparsa della sua ragazza nel 2013. Il corpo non è mai stato ritrovato. È stato condannato lo stesso per omicidio. Arman aveva già fatto l’esperienza della cella di isolamento quando è stato arrestato. Per 74 giorni è stato privato di tutto: della luce, del sonno e dell’amore materno che meriterebbe ancora un ragazzo della sua età. Anche prima di morire, solo come un cane, gli è stato tolto la luce, il sonno e l’amore materno. I suoi genitori sono stati privati del diritto sacrosanto e del senso minimo di umana pietà di un’ultima visita al figlio in attesa di esecuzione. Nella cella di isolamento, dove era stato deprivato di tutto e aveva subito di tutto, aveva confessato l’omicidio. Sulla base della confessione, senza tener conto che era minorenne e che non era mai stato trovato un corpo, senza un giusto processo è stato condannato a morte, alla qisas, a una “ritorsione in natura”. Nel campo dei delitti e delle pene coraniche, dei torti arrecati dal reo e dei diritti maturati dalla vittima, la qisas islamica prevede proprio questo: una “restituzione dello stesso tipo”, una punizione analoga al delitto, la legge del taglione, il prezzo del sangue: chi sbaglia paga, una vita per una vita, chi ha ucciso dev’essere ucciso. Non sappiamo se Arman ha ucciso davvero la sua ragazza. Quel che sappiamo è che aveva meno di 18 anni al momento del fatto e condannarlo a morte è una violazione grave del diritto internazionale, del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e della Convenzione ONU sui Diritti del Fanciullo. L’Iran ha firmato sia l’una che l’altra carta, ma evidentemente le considera carta straccia. Difatti, la Repubblica islamica è uno dei pochi paesi al mondo che ancora applica la pena di morte per i minori di 18 anni ed è responsabile di oltre il 70% di tutte le esecuzioni di minorenni negli ultimi 30 anni. Arman Abdolali è il secondo minorenne a essere giustiziato quest’anno. L’anno scorso ne ha impiccati otto. Il regime dei mullah è rimasto praticamente solo a violare questo diritto umano universale, la sacra consuetudine di non uccidere persone troppo giovani per capire il male di uccidere. E la civilissima Europa dei diritti umani, dell’abolizione della pena di morte e della pena fino alla morte, non ha mosso un dito per Arman e i ragazzi come lui condannati per fatti avvenuti quando erano troppo giovani d’età. Anzi, l’Europa tollera questi crimini contro l’umanità, blandisce e legittima un regime che continua a praticare la tortura dell’isolamento, a infliggere l’agonia dell’attesa all’ombra della forca e la pena fuori dal tempo e fuori dal mondo di un cappio che si stringe intorno al collo.
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