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LA RUSSIA CONDANNA UNA PRATICANTE DEL FALUN GONG, MENTRE AUMENTANO I LEGAMI CON PECHINO

1 agosto 2025:

Elisabetta Zamparutti

“Il carcere non è la cosa peggiore che possa capitare a una persona. Perché è molto peggio perdere sé stessi rinunciando ad agire secondo coscienza”. Questo ha scritto Natalya Minenkova, praticante del movimento spirituale Falun Gong, che è stata condannata lo scorso 23 giugno a quattro anni di carcere da un tribunale a Mosca, rea di aver condotto attività per una “organizzazione indesiderata”. Questa la definizione introdotta nel 2015 con cui si limitano, se non proibiscono, le organizzazioni non governative impegnate a tutela dei diritti umani e la libertà di espressione.
È dunque attività indesiderata in Russia la promozione dei principi della verità, della compassione e della tolleranza promossi dal Falun Gong, pratica spirituale, ormai entrata a far parte della vita di milioni di persone in tutto il mondo e che è radicata nella tradizione buddista. Una pratica millenaria cinese che si caratterizza per due componenti principali: il miglioramento personale, attraverso delicati esercizi che ricordano il qigong e la meditazione.
Questa donna di 47 anni, vicedirettrice di un centro odontoiatrico, pratica il Falun Gong da oltre un decennio e ne aveva tratto giovamento rispetto ai suoi problemi di stomaco, al mal di gola e alla tonsillite cronica di cui soffriva. Anche il suo carattere era migliorato perché meno litigiosa e più in armonia con gli altri. Aveva così deciso di partecipare a forum medici e ad altri eventi per testimoniare questi benefici e per richiamare l’attenzione sulla persecuzione in corso del Falun Gong, compreso il prelievo forzato di organi, in Cina, ai danni dei detenuti in ragione della loro pratica spirituale. Perché nel 1999 il regime cinese proibì questa pratica considerandola nemica del Partito comunista. “Non potevo – ha detto Natalya Minenkova – rimanere in silenzio di fronte a tanta violenza.” E quando è giunta la notizia del suo arresto, Natalya ha detto che per lei era molto doloroso vedere che il suo Paese, invece di proteggerla dalla persecuzione del regime cinese e di aiutarla a denunciare la tortura e il prelievo forzato di organi in Cina, si dimostrava uno strumento nelle mani di quel regime e persecutore dei suoi stessi cittadini.
In effetti anche su questo si gioca l’allineamento di Mosca con Pechino. La repressione contro i praticanti del Falun Gong in Russia è aumentata nell’ultimo anno: da marzo 2024, altri sette praticanti sono finiti in carcere. A essere condannati per meditazione di recente non c’è solo Natalya. A fine giugno, anche il cittadino russo Zhu Yun è stato condannato a tre anni di carcere in base alla stessa legge e, nel novembre 2024, Oksana Shchetkina, della città russa meridionale di Pyatigorsk, è stata condanna a due anni di carcere per gli stessi motivi.
Il fatto che la Minenkova sia stata condannata tre giorni dopo il 26° anniversario dell’inizio della persecuzione in Cina del Falun Gong può essere una coincidenza. Ma penso che non vi sia nulla di più certo che le coincidenze, quando si tratta di regimi. Tant’è che il suo arresto è avvenuto nel maggio 2024, due settimane prima di un incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping, culminato con la promessa da parte dei due di una “nuova era” di partenariato. Un copione che è andato in scena anche in Serbia e Malesia nell’ultimo anno, con arresti di praticanti il Falun Gong in vista dell’arrivo di Xi in questi Paesi. Espressione di una tendenza alla repressione transnazionale legata all’influenza di Pechino, come ha commentato Levi Browde, direttore esecutivo del Falun Dafa Information Center.
Repressione che, al di là delle detenzioni temporanee registrate in Serbia e Malesia, in Russia è più grave. Mosca ha dichiarato illegali sette organizzazioni legate al Falun Gong e ha vietato diverse pubblicazioni legate a questo movimento. Nel 2017, alcune città russe hanno vietato una mostra d’arte che esponeva dipinti che raffiguravano casi di tortura e persecuzione del Falun Gong in Cina. Un tribunale locale ha fatto riferimento all’opportunità di “preservare buone relazioni internazionali” a giustificazione della decisione di censura.
E allora, nell’assenza di uno Stato di Diritto, potere politico e giudiziario si fondono e confondono, usando la repressione come valuta diplomatica, al prezzo della verità, della compassione e della tolleranza. La storia di Natalya Minenkova, della sua dolce tenacia, diventa metafora della forza della verità e della conoscenza. Quella che rende liberi anche se detenuti, quella in cui è insita la forza del cambiamento. Quella che ci deve far esigere il rispetto, in Russia come in Cina, del diritto umano a esercitare la libertà di religione o di credo come forma di tutela della nostra stessa libertà.

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