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STORIA DI UNO SPECCHIO. E DI ANDREA CHE S’È IMPICCATO

21 dicembre 2025:

Cesare Battisti su l’Unità del 20 dicembre 2025

Certe volte, quando di notte non scalcio i muri e mi sveglio apposta per pensare, il ronfo del mostro che mi accompagna piano piano, mi faccio passare per la testa cose astruse.
Pensieri di rassegnazione, dei quali dovrei vergognarmi, già che un prigioniero che si rispetti dovrebbe odiare le catene per dovere, invece di inventarsi iperboli da scrittore, nel volersi convincere che il male basta accettarlo per ricavarne il bene. Come se il carcere, invece di essere castigo, ci potesse liberare dal peso del superfluo, dal sovraccarico dei preconcetti, dalle idee prefabbricate e dai pregiudizi. Ma, talvolta, nel notturno vacillare della mente, lo stare dentro diventa quasi una liberazione dall’insicurezza generale: qui siamo al sicuro! E anche dalla paura della rinuncia e del successo. In carcere l’anima è così stanca da non essere più in grado di nuocere. Siamo a posto.
Non sempre, siamo troppi e ci stiamo stretti, la tensione sale e gli incidenti sono inevitabili. Può succedere di tutto perfino a causa di un innocuo specchietto. È stato requisito ad Andrea, lui è andato a reclamarlo ed è scoppiata la bagarre. Per evitare le botte e poi l’isolamento, Andrea si è tagliato con la Gillette.
Il lavorante ha dato poi una ripulita al corridoio e sulle scale, ma l’odore del sangue impregnava l’aria. E tutto per il sequestro di uno specchietto durante una perquisizione di routine. Forse un eccesso di zelo, o per noia, un capoposto se l’è portato via. Un innocuo pezzo di plastica, una bagatella, ma che per il povero Andrea rappresentava un problema serio.
In ogni cella abbiamo un piccolo rettangolo di specchio incollato al muro. Serve a deformarci la faccia quel tanto da non vederci le tracce di galera e anche a farsi la barba prima del colloquio. È fissato a un’altezza media di persona adulta, solo che Andrea non supera il metro e mezzo e se sale sullo sgabello sarebbe troppo alto. Data la statura, gli era stato accordato l’acquisto di uno specchietto mobile, fatto di materiale inoffensivo che lui custodiva con amore.
Se fosse successo un giorno qualsiasi, chissà, Andrea avrebbe reagito con più tatto, magari chiedendo di parlare all’ispettore. Ma era giorno di colloquio, di barba fatta a contropelo, con spruzzate di profumo e tute ginniche firmate. E con la barba ancora da rasare! Troppo per il povero Andrea.
La sua famiglia avrà versato qualche lacrima, prima di capire e tornare a casa con la borsa piena. Non è la prima volta che succede, quando non è il loro Andrea è un altro carcerato a gettare lo scompiglio nella sala colloqui. Di famiglie piangere ne hanno viste tante, hanno imparato a sopportare, si ritrovano così a scontare la stessa pena dei loro cari che stanno dietro le sbarre.
A chi non è mai stato chiuso in una cella, cose simili sembreranno una bestialità, una follia criminale; un altro argomento per benpensanti a piede libero sono la bocca e dicono che cosa aspetta lo stato a buttar via le chiavi. E si capisce, c’è chi sbraita alla TV di “hotel a 5 stelle dietro le sbarre”. Brave persone, ignorano che il colloquio con i familiari in carcere è ossigeno, il solo momento di affettività monitorata, la cerimonia per la quale il detenuto si prepara come farebbe lo sposo atteso in chiesa. Qui, ogni mercoledì mattina di buonora.
Al detenuto è solo dato parlare di malanni, socializzarli amplificandone il contenuto e l’influenza; socializzare futuro, speranza, fare critica costruttiva è ritenuta attività sospetta. Qui è tutto così pigiato, perfino i pensieri e gli umori sono difficili da districare. Si passa dall’euforia all’abbattimento da un minuto all’altro e così diventa difficile gestire il rapporto con l’altro.
Traggo da un romanzo di antropologia: “Dove le società sono fortemente concentrate, sono in uno stato critico d’effervescenza e di super attività. Perché gli individui sono più strettamente ravvicinati gli uni agli altri, azioni e le reazioni sociali sono più numerose, più continue; le idee si scambiano, i sentimenti si rinforzano e si riaccendono mutualmente, il gruppo, sempre in azione, sempre presenti agli occhi di tutti, rafforza il sentimento di se stesso e ha anche un maggiore spazio nella coscienza degli individui”.
Dopo aver letto queste righe, mi sono rannicchiato sulla branda in posizione fetale resistendo alla voce della coscienza che, da anni contenuta tra quattro mura, rischia di esplodere in un urlo che mi lacera la gola.
E ora mi chiedo perché sto qui a raccontare queste cose tristi, quando potrei citare episodi meno truculenti, talvolta tanto anche spassosi. Ma non mi viene, mi sembra di tradire un ordine di idee. Mi sembra di tradire Andrea che, l’hanno detto alla tv, si è impiccato ieri.

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