PER SALVARE GUANTANAMO I PM AMERICANI INVENTANO UN SOFISMA
23 luglio 2023: Valerio Fioravanti su L’Unità del 23 luglio 2023
Gli statunitensi, in maniera molto simile a tutti i costruttori d’imperi, sono forti, sono ricchi, e a loro tanto basta per ritenere di poter fare quello che vogliono. Non ci stupiremo dell’arroganza di chi è molto ricco (davvero ce se ne può meravigliare?), piuttosto studieremo se le loro strategie funzionano. Ventun anni dopo la sua apertura come “campo di detenzione”, oggi Guantanamo ospita “solo” 14 uomini che gli Stati Uniti definiscono “di alto interesse nazionale”. Cos’è “alto interesse nazionale” visto che da 21 anni e più sono in totale isolamento e quindi non custodiscono certo segreti pericolosi? Ostentazione di forza. Questi islamici sono stati presi per mostrarli, sconfitti, alla nazione, come i condottieri Romani che facevano sfilare i re nemici in catene nel loro “triumphus”, prima di farli sopprimere nella penombra di qualche carcere. È controintuitivo, ma i prigionieri di Guantanamo sono stati fortunati. Nella roulette del destino, erano stati scelti per essere mostrati in televisione prima di venir giustiziati. Ma mentre si cercava di impostare i processi, con i droni gli americani hanno giustiziato in gran segreto altri 12.000 “terroristi”, uccisi da remoto, senza un processo, senza nessuna forma di legalità. E che fossero “nemici irriducibili” dobbiamo crederlo sulla parola, perché sono stati individuati utilizzando informatori segreti, delatori, algoritmi. Insomma applicando le eterne, sommarie, leggi della guerra. I 14 rimasti a Cuba invece se la caveranno. Circa 15 tra giudici e pubblici ministeri militari assegnati ai processi di Guantanamo hanno dato le dimissioni, frustrati dall’impossibilità anche solo di fissare una prima udienza dibattimentale. Il prossimo ad andarsene, a settembre, sarà il colonnello Lanny J. Acosta. Ma prima di lasciare Guantanamo si è ripromesso di decidere sul tema cruciale di tutti questi anni di impasse: se e in che misura si possono usare le uniche prove contro gli imputati: le loro (parziali) confessioni estorte sotto tortura. Non si tratta di un sussulto di garantismo. In guerra (o nella malavita) i prigionieri si torturano, e poi si fanno sparire. La Cia invece ha dovuto stilare verbali e rapporti, che per quanto al momento “secretati”, prima o poi da qualche parte compariranno. E allora questa cosa della tortura va in qualche modo sistemata. Dicevamo che non si tratta di garantismo: è evidente che se in un processo venissero prese per buone le informazioni ottenute “under duress”, si creerebbe un precedente che poi metterebbe in pericolo diplomatici e militari Usa all’estero, a rischio di essere rapiti e a loro volta torturati, e processati in base alle informazioni loro estorte. Il colonnello Acosta ora è alle prese con il sofisma che sta utilizzando la pubblica accusa ormai a corto di argomenti: il ‘principio di attenuazione’. Si tratta di una regola in vigore nei processi normali, secondo la quale è plausibile che il primo interrogatorio di un arrestato contenga elementi di “intimidazione”, il che di per sé non inficia totalmente eventuali confessioni, ma perché esse possano essere correttamente utilizzate all’interno di un processo è necessario che al primo interrogatorio ne faccia seguito un secondo, in condizioni “più attenuate”, in cui il sospettato non sia più sotto effetto di eventuali psicofarmaci o droghe, e non sia più interrogato dagli agenti che magari lo avevano inseguito, atterrato, ammanettato, insomma in qualche modo “stressato”. Ma il “principio di attenuazione” a Guantanamo suona come un sofisma. Per mesi la base navale è stato un carcere segreto della Cia e qualche mese dopo è stata ristrutturata come un “normale luogo di detenzione”. Ma fino al 2007 risulta “per tabulas” che la Cia ha avuto a disposizione locali separati dove condurre i “propri” interrogatori. Oggi i pubblici ministeri parlano di interrogatori condotti da “squadre sporche” e da “squadre pulite” (capiamo facilmente a cosa ci si riferisce), e pretendono che almeno le informazioni ottenute dalle “squadre pulite” debbano essere ritenute valide. La difesa sostiene che gli imputati erano comunque talmente spaventati che venendo riportati nello stesso posto erano convinti che le torture potessero ricominciare in qualsiasi momento. Nell’ultima udienza che si è tenuta sull’argomento il giudice Acosta si è mostrato poco convinto della logicità delle tesi dell’accusa secondo cui gli “interrogatori delle squadre pulite a Guantanamo dal 2007 hanno soddisfatto lo standard legale di un cambiamento di orario, cambiamento di luogo e cambiamento di identità dell’interrogante”. Acosta, pensando a voce alta, ha riepilogato tutto quello che gli imputati avevano subito in precedenza in quegli stessi locali prima che alle pareti venisse cambiato il colore della vernice, e scuoteva la testa. A settembre Acosta emetterà sentenza. Non credo che riterrà valido il “principio di attenuazione” per come è stato applicato a Guantanamo. E davvero inizierà una nuova fase.
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